Mostrare gli uomini “as they are” per raccontare la società significa concorrere al suo progresso; mostrare l’esseri felici fa bene alla speranza; mostrare uomini e donne diversi fa bene alla tolleranza; mostrare le sofferenze stimola a rimuoverle.
Nei giorni scorsi si è parlato spesso di privacy e diritto a fotografare, l’argomento è tornato alla ribalta. Per capire il perché occorre un po’ di cronistoria.
Durante la presentazione della nuova X100V durante il consueto X-Summit, Fujifilm ha mostrato un video promozionale dove lo streetphotographer Tatsuo Suzuki mostrava il funzionamento della macchina e veniva filmato durante il suo utilizzo pratico nelle strade di Tokyo. Il video è stato molto criticato dagli utenti che non condividevano l’approccio di Suzuki alla fotografia di strada, considerato troppo “invasivo” per la privacy delle persone. Ciò ha portato Fujifilm a rimuovere il video incriminato nel silenzio generale. Ma nei giorni successivi la situazione non è migliorata: il profilo di Tatsuo Suzuki è stato rimosso dalla pagina ufficiale degli X-Photographers, non si sa ancora se per mano di Fuji o dello stesso Suzuki.
Ciò ha riportato a galla le criticità della streetphotography e il diritto alla privacy, polemiche che – almeno in Italia – si pensavano ormai sopite. Nel “lontano” 2016 pubblicammo un corposo articolo su Progresso Fotografico che analizzava approfonditamente l’argomento. Nel corso degli anni le cose non sono cambiate: l’allegato A del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 è ancora pienamente valido nonostante gli aggiornamenti apportati dal Decreto ministeriale 15 marzo 2019 emanato dal Ministero della Giustizia.
La fotocamerafobia ha radici profonde ed è chiaro che i primi a preoccuparsi di questo atteggiamento siano coloro che si dedicano alla Streetphotography. Vediamo dunque di fare ancora una volta chiarezza, tenendo come punto di riferimento un utilissimo articolo scritto da un bravo fotografo che un tempo è stato pure un apprezzato magistrato, Vincenzo Cottinelli. L’articolo parte da un principio fondamentale che è bene ribadire: in Italia esistono pochissimi divieti di ripresa e non riguardano i privati cittadini. Anzi la ripresa fotografica è da considerarsi un diritto costituzionalmente garantito quando si svolge in luogo pubblico. Come si legge all’interno di più di un documento dell’associazione nazionale fotografi professionisti, nessuna norma prende in considerazione il momento della ripresa, ma tutte riguardano la fase in cui viene in qualche modo resa pubblica un’immagine fotografica il cui soggetto sia riconoscibile. Nessun privato può impedire ad un altro privato la ripresa in luogo pubblico della propria persona o del proprio volto.
“In strada non ci può essere privacy, perché c’è publicity (the state of being in the public eye).” Ancora Cottinelli: “In nessuna norma costituzionale si rinviene la tutela del volto (o del corpo) dall’essere visto, guardato, osservato, ripreso, disegnato, fissato su supporto sensibile, quando, beninteso, si trovi in luogo pubblico; quando si trovi in luogo privato è protetto dall’inviolabilità del luogo. (…) La strada, la piazza, il bar, il campo sportivo, i parchi: è questo lo spazio dove i cittadini possono vivere senza timori e senza segreti (art.18 Cost.) a viso aperto, si dovrebbe dire, l’effettività dei loro diritti inviolabili (di associazione, circolazione, riunione, manifestazione e diffusione del pensiero, professione e propaganda religiosa, creazione artistica, ecc.).” Nessun privato può impedire ad un altro privato la ripresa in luogo pubblico della propria persona o del proprio volto.
Mostrare gli uomini “as they are” per raccontare la società significa concorrere al suo progresso; mostrare l’esseri felici fa bene alla speranza; mostrare uomini e donne diversi fa bene alla tolleranza; mostrare le sofferenze stimola a rimuoverle.
Questo è solo un estratto ma molto significativo e, nonostante sia datato 206, ancora estremamente attuale. L’articolo completo lo trovate in download gratuito su fotografiastore.