Si è conclusa la quattordicesima edizione del Mia Photo Fair negli spazi del Superstudio Più a Milano. Una fiera più vivace del solito, con la presenza di 77 espositori e una grande affluenza di pubblico. Tante le gallerie milanesi, ma non solo; c’è stata la partecipazione di vari Paesi, tra cui Spagna, Gran Bretagna, Svezia, Turchia, Stati Uniti, Iran e Australia, in tutto 21 gallerie che hanno contribuito a rendere più internazionale le proposte. La sezione Focus è stata dedicata alla Svizzera e ha sviluppato un percorso per esplorare il panorama artistico elvetico ricco di autori interessanti.
In generale, la qualità delle immagini esposte è stata molto buona e ha offerto un giusto mix di fotografie iconiche e nuovi autori. Da segnalare anche la presenza di sintografie realizzate con l’intelligenza artificiale e di esperimenti con nuovi materiali e tecniche.
Il tema di quest’anno era Dialoghi ed è stato interpretato dai partecipanti in diversi modi. Come spiega Francesca Malagara, direttrice artistica della fiera: “Abbiamo voluto offrire alle gallerie e agli artisti una piattaforma per esplorare connessioni inaspettate intrecciando passato e presente, tecniche antiche e moderne, culture e linguaggi differenti.”
Ricca anche la sezione editoria dove case editrici, editori indipendenti e librerie specializzate hanno portato il meglio dei loro cataloghi e presentato in anteprima le pubblicazioni del 2025. Il pubblico ha dimostrato di gradire molto le proposte editoriali affollando l’area dedicata ai libri.
Ho esplorato gli stand delle gallerie
Una delle prime gallerie sul percorso di visita era l’australiana Lightworks. Da Sidney fino a Milano? “Sì”, mi risponde la gallerista Diana Maier, “siamo venuti anche l’anno scorso, la fiera ci è piaciuta e abbiamo deciso di tornare. Siamo molto attivi sulla scena internazionale per incontrare di persona collezionisti, curatori e professionisti del settore in modo da colmare il divario tra gli artisti e i nuovi mercati”.
Ligtworks propone una selezione attentamente curata di opere di autori affermati ed emergenti, interessante l’offerta di edizioni aperte postume che affiancano le stampe firmate e numerate. A Milano ha portato – tra l’altro – delle immagini del sudafricano Sam Haskins (1926-2009). Un fotografo con una vasta produzione e una carriera movimentata che – curiosamente – è stato scoperto e corteggiato dalle redazioni di moda solo dopo il suo 77esimo compleanno.
Tra le nuove proposte più interessanti, le opere del fotografo turco Ali Bilge Akkaya, presentato dalla galleria X-ist di Istanbul. Sono immagini di architetture fotografate in modo impeccabile nelle quali ci sono sempre delle presenze umane e sempre di spalle. L’artista era presente e gli ho chiesto come mai questo interesse per l’architettura: “Sono laureato in industrial design”, mi ha spiegato, “e mi sento attratto dalle geometrie e dalle strutture. Quando individuo un soggetto interessante, studio bene l’impatto visivo e scatto molte foto aspettando anche il passaggio di esseri umani, poi scelgo con cura l’immagine che mi sembra rappresenti meglio l’essenza della mia esperienza e progetto la cornice che completa l’opera.”
Le sue cornici, infatti, sono parte integrante dell’opera e ricordano un po’ quelle di Masaki Nakayama che negli anni Settanta faceva proseguire le linee presenti nell’immagine fotografica al di fuori dei confini della stampa utilizzando diversi materiali e creando delle sculture.
Ali è tutto vestito di nero e le sue immagini sono solo in bianco e nero, è un caso? “Non mi sento particolarmente attratto dai colori”, mi dice, “e il bianco e nero si adatta bene alle geometrie”. Poi mi spiega che è dislessico e fotografando in questo modo ha trovato il linguaggio ideale per esprimersi.
Tanti pallini rossi vicino alle foto nello stand di Young Art Hunters, la galleria milanese specializzata nella scoperta e promozione di nuovi autori che si sta affermando per le scelte coraggiose e lungimiranti. La gallerista Barbara Basile mi spiega che hanno voluto interpretare il tema del Dialogo proponendo le immagini di una fotografa più esperta insieme a quelle di giovani promesse che hanno interpretato le forme della natura. “La prima volta che ho visto una delle immagini di Emma Vitti“, racconta, ”ho pensato che si trattasse della veduta aerea di una spiaggia. Invece si tratta di un muro scrostato fotografato da vicino. Le sue immagini sono come luoghi sospesi, all’interno dei quali ci immergiamo completamente senza sapere esattamente dove ci troviamo. Altri autori, invece, sono stati più vicini alle forme della natura e si sono lasciati ispirare da quelle. Negli scatti di Giulia Frump, la natura domina l’essere umano ricordandogli le sue origini e facendolo tornare embrione all’interno di un ventre composto da terra e muschio. Negli autoscatti di Marta Grimoldi la natura si fonde col corpo e negli scatti in bianco e nero di Raffaele Sperandeo l’elemento naturale è così forte da poter cambiare forma, trasformandosi”.
La galleria Frediano Farsetti propone tre fotografi con tre visioni sul mondo molto diverse: Piero Gemelli, Antonio Biasucci e Luca Campigotto. Opere grandi che invitano lo spettatore a immergersi nei mondi degli autori.
Il bianco e nero di Antonio Biasucci, ci mostra forme della natura che diventano quasi astratte e confondono: cosa sarà? Una macrofotografia o un’immagine dell’universo?
Luca Campigotto ci accompagna a scoprire dei paesaggi urbani scattati quando le città dormono. “I risultati che ottengo di notte”, spiega, “sono più imprevedibili di quelli che potrei ottenere, almeno ai miei occhi, di giorno.” Che si tratti di fotografare Hong Kong, New York o una metropoli indiana, le sue immagini tra il documentaristico e l’onirico ci mostrano paesaggi che si intuiscono affollati di giorno e che, invece, sono vuoti come scenografie in una pausa.
Le immagini di Piero Gemelli, architetto di formazione e una delle firme più importanti della fotografia di moda in Italia, sono il frutto dell’incontro di diverse discipline. “Cerco il dialogo tra istinto e Progetto”, spiega, “Quando non fotografo disegno, faccio sculture e architetto nuove visioni di quel mondo nascosto dentro di me”. Non è un caso – dunque – se nella foto di beauty scattata per una rivista di moda, la modella insaponata ci ricorda il torso di una Venere greca. Le stampe di dimensioni molto grandi aggiungono solennità ad immagini già di grande impatto.
Molto grandi anche le immagini di Aurelio Amendola proposte dalla galleria Building di Milano, 16 in tutto. Si tratta di ritratti realizzati tra il 1970 e il 1980 a grandi artisti italiani e stranieri. Una testimonianza importante che ci mostra i volti di chi ha fatto la storia dell’arte contemporanea osservati attraverso l’obiettivo del fotografo pistoiese.
La Galerie Springer di Berlino propone le immagini straordinarie di Arnold Odermatt, il fotografo svizzero nato nel 1925 con una storia davvero particolare. Il suo amore per la fotografia si era manifestato fin da piccolo, ma solo molto più tardi riuscì ad essere conosciuto. Nato in una famiglia di 13 fratelli, Arnold si era formato per diventare pasticcere e, per quanto la sua passione per la preparazione dei dolci fosse inequivocabile, dovette smettere per una allergia alla farina che gli impediva di passare lunghe ore in pasticceria. I suoi genitori gli consigliarono allora di diventare poliziotto e fu quella la sua carriera. L’orientamento poetico e creativo del fotografo/poliziotto non riusciva ad esprimersi in quell’occupazione, eppure non smise mai di fotografare anche in servizio e fu solo agli inizi degli anni ’90 che il suo talento venne scoperto. Suo figlio, il regista Urs Odermatt, stava ricercando delle immagini quando si rese conto che suo padre aveva un archivio di fotografie formidabili. Cominciò a curare dei libri con quegli gli scatti, incluso il volume On Duty del 2006, che fecero conoscere il grande talento fotografico di Arnold Odermatt.
Nel 2001 il curatore d’arte svizzero Harald Szeemann portò 32 opere del fotografo svizzero alla Biennale di Venezia e, da allora, le sue immagini hanno cominciato a fare parte di collezioni importanti.
Chi ama la fotografia dei grandi autori leggendari (e al Mia si sono viste parecchie foto iconiche) avrà particolarmente amato la visita allo stand della galleria Podbielski Contemporary che ha proposto una serie di immagini note e meno note di Eve Arnold. Se i soggetti sono principalmente donne non è un caso. Infatti, alla galleria nata a Berlino e poi trasferitasi a Milano è in programma una mostra che si chiama Le Donne Di Eve. Le parole dell’autrice (1912-2012) ci aiutano a capire meglio il suo sguardo: “Non sono una femminista radicale, perché non credo che la mentalità dell’assedio funzioni. Ma so qualcosa dei problemi e delle ingiustizie dell’essere donna, e nel corso degli anni le donne che ho fotografato mi hanno parlato di sé stesse e della loro vita. Ognuna aveva la sua storia da raccontare, unicamente femminile ma anche unicamente umana”.
Interessante la ricerca di Marco Circhirillo presentato dalla galleria Fabbrica Eos di Milano. Sono immagini formate dall’assemblaggio di un centinaio di ritratti fotografici di diverse persone (fra cui l’artista stesso) che insieme formano un volto nuovo. Sono strisce sottili di stampe tagliate e poi accostate tra di loro. Il risultato è un ritratto che racchiude in sé tante vite e storie diverse, una sorta di mosaico dell’umanità e anche l’assemblaggio di identità frantumate.
Enzo Dal Verme