Una sentenza autorizza l’utilizzo di una immagine già pubblicata su Instagram su altri siti web anche senza il consenso del fotografo. Come è possibile?
Ieri mattina ho ricevuto una mail dallo studio legale che difende il copyright delle mie immagini, l’ha inviata a tutti i suoi clienti e termina così “per quanto riguarda le fotografie che hanno un valore commerciale, per il momento consigliamo ai fotografi che intendono pubblicarle su Instagram di pubblicarle in modalità “privata” o non pubblicarli affatto.”
Il motivo è da ricercare in una sentenza molto importante emessa il 13 Aprile negli Stati Uniti e, purtroppo, non a favore dei fotografi. Ma andiamo per ordine:
L’11 marzo 2016, il blog Mashable aveva contattato la fotografa professionista Stephanie Sinclair offrendole 50 dollari per pubblicare una foto che avevano notato sul suo account Instagram. Sinclair declinò l’offerta e cinque giorni dopo quella fotografia venne comunque pubblicata su Mashable che aveva utilizzato la funzione “embedding” di Instagram.
La fotografa passò allora alle vie legali e la Corte ha appena stabilito che, firmando il contratto con Instagram, Sinclair aveva implicitamente accettato che la sua immagine potesse essere inserita in altri siti internet.
Secondo le condizioni d’uso di Instagram, infatti, l’utente che pubblica i contenuti in modalità “pubblica” concede ad Instagram quei contenuti in licenza trasferibile, sub-licenziabile e valida in tutto il mondo. Le stesse condizioni d’uso consentono anche agli utenti, per esempio Mashable, di accedere e condividere i contenuti.
Il caso di Sinclair per violazione del copyright è stato dunque respinto. La Corte ha rilevato che, per evitare la condivisione di un’immagine, il fotografo dovrebbe avere cura di impostare il proprio Instagram in modalità “privata”.
Chi ha letto il mio libro Marketing Per Fotografi sa che, firmando il contratto, si accetta tacitamente di dare in licenza mondiale gratuita, non esclusiva, royalty free, trasferibile e sub-licenziabile le proprie immagini ad Instagram. Cosa vuol dire? Che, in pratica, Instagram ha il permesso di fare quello che vuole con le foto caricate senza dovere rendere conto di nulla né pagare chi le ha realizzate. Tutto sommato alla Sinclair è andata ancora bene.
È vero, Instagram è il social media dedicato per eccellenza alla fotografia e moltissimi fotografi vi pubblicano tutte le proprie immagini migliori. In effetti, così facendo si acquisterà visibilità. Ma prima di fare questo passo bisognerebbe riflettere bene e leggere il contratto che Instagram chiede di firmare. In quanti lo leggono davvero?
La sentenza di qualche giorno fa, purtroppo, crea un precedente importante per future cause ed evidenzia le insidie del contratto Instagram. Ora i fotografi di tutto il mondo stanno auspicando cambiamenti nelle condizioni d’uso di Instagram che potrebbero prevedere la possibilità di disabilitare la funzione “embedding” (incorpora) e vietare qualsiasi uso commerciale da parte di terzi.
Io non ho mai veramente abbracciato Instagram e solo recentemente pubblico sul mio profilo personale delle rare stories se ci sono comunicazioni importanti. Colleghi che, invece, hanno pubblicato molte immagini importanti sul proprio profilo, in questi giorni lo stanno modificando in modalità “privata”. Altri non sono per nulla infastiditi dalla possibilità di essere pubblicati su dei siti senza il proprio consenso e senza essere pagati perché considerano l’aspetto promozionale. Di sicuro la sentenza in questione sta sollevando un problema che era già esistente ed sarebbe importante che Instagram riuscisse ad offrire ai fotografi una maggiore tutela. Lo farà?