Alla luce di quanto sta avvenendo nel caso Elliot McGucken vs Newsweek e delle recenti dichiarazioni di Facebook, il tribunale distrettuale di New York ha deciso di riaprire la causa sulla violazione di copyright presentata dalla fotografa Stephanie Sinclair contro il sito Mashable nell’ormai lontano 2016.
Nel 2016 la fotografa professionista Stephanie Sinclair era stata contattata dalla redazione di Mashable che le aveva chiesto la licenza di una sua immagine postata su Instagram per poterla pubblicare nell’articolo “10 female photojournalists with their lenses on social justice“: la richiesta della fotografa è stata di un prezzo simbolico di $ 50, che però la Redazione non ha deciso di onorare. A questo punto Mashable ha aggirato il problema: non potendo utilizzare liberamente la foto, ha deciso di usare il codice di embedding presente su Instagram e quindi di incorporare interamente il post con l’immagine contesa all’interno dell’articolo. La denuncia di Sinclair non si è fatta attendere, ma il caso è stato chiuso in favore di Mashable: il tribunale ha stabilito “I Termini di utilizzo stabiliscono che, pubblicando contenuti sulla piattaforma, l’utente concede a Instagram una licenza non esclusiva, esente da royalty, trasferibile, concedibile in licenza in tutto il mondo ai contenuti pubblicati sulla piattaforma, soggetti all’Informativa sulla privacy.”
Ma il caso McGucken vs Newsweek ha rimesso tutto in gioco per due motivi: il primo è che non è stato archiviato come il precedente; il secondo è che è stato corroborato da alcune dichiarazioni di un portavoce di Facebook. Anzi, sono state proprio queste parole a portare alla riapertura del caso Sinclair vs Mashable: “Sebbene i nostri termini ci consentano di concedere una sub-licenza, non ne garantiamo una per la nostra API di incorporamento. Le nostre politiche sulla piattaforma richiedono a terzi di disporre dei diritti necessari dai titolari dei diritti applicabili. Ciò include la garanzia di disporre di una licenza per condividere questo contenuto, se la licenza è richiesta dalla legge.”. Di fatto, si sottintende che la sub-licenza concessa da Instagram non è valida anche per le API di incorporamento. Alla luce di queste affermazioni, il giudice ha quindi riaperto il caso: “Rivedendo la sua precedente partecipazione, la Corte ritiene che le memorie contengano prove insufficienti per scoprire che Instagram ha concesso a Mashable una licenza per incorporare la fotografia del querelante sul suo sito Web.”
Ovviamente i fotografi che vogliono proteggere il proprio lavoro possono utilizzare un profilo privato su Instagram, ma ciò andrebbe sicuramente a ridurre la loro esposizione mediatica verso possibili clienti. Come scritto precedentemente la situazione sarebbe facilmente risolvibile: aggiungere una funzione che dia facoltà ad ognuno di poter decidere se permettere o meno l’incorpoamento dei post altrove.