La pagina FB di Efrem Raimondi recita “a ben guardare tutto è come sembra”. Leggendo blog.efremraimondi.it la vena caustica che ne caratterizza la cadenza a ‘flusso di pensiero’ ricalca appieno tale provocatoria (per un fotografo!) espressione. Ci ha lasciati ieri Efrem Raimondi, ritrattista e uomo di acutissima sensibilità.
Ci ha lasciati attoniti e fragili l’improvvisa notizia della scomparsa di Efrem Raimondi, fotografo ritrattista milanese legato a personaggi di caratura pubblica e personale di non poco conto. Cito solamente Giulio Andreotti e Vasco Rossi, Vanessa Beecroft e Ibrahimovic. Ritratti non alla portata di chiunque, meno ancora nelle rappresentazioni sempre acute e quasi confidenziali di cui Efrem è stato capace. Esattamente un mese fa lo intervistavo e questo ha reso la scomparsa ancor più agghiacciante da realizzare, per quanto slegata da logiche eppur così umane.
Lo ha conosciuto e me lo ha presentato Roberta Pastore, alla quale ho chiesto un ricordo di lui, poiché certamente più vicina a Efrem nel tempo di quanto non sia stato io.
“Guardando uno scatto di Efrem Raimondi sulla sua pagina FB (ritratto di Mario Draghi – 1996) ho avuto l’impressione che quell’immagine mi riportasse ad una fotografia di mio padre di molti anni prima e in uno scambio di commenti gli ho scritto queste parole: – Questo scatto mi ha colpita particolarmente, sai quelle foto che ti rimangono nella memoria dopo che le hai viste e ci pensi… e ci ripensi. Non so perché e neanche me lo chiedo, Efrem, ma evoca ricordi legati a mio padre.
Efrem con l’estrema delicatezza che lo contraddistingueva sempre, trova il tempo di rispondermi, da uomo, un maestro, di grande sensibilità, con parole che porterò con me sempre. Sono queste: – Roberta, ti rivelo una cosa inter nos: tutta la fotografia che mi riguarda lavora sulla memoria. Anche quando fotografo un sasso. Talvolta succede che sia una memoria condivisa. E in genere sono i margini, le cose meno eclatanti. Non c’è un perché, non una logica: è un tuffo…
Roberta Pastore
Durante l’intervista, Efrem ammette di trovare insensato il protagonismo di molti artisti ai quali oggi viene anteposto il ruolo del ‘personaggio’ da essi interpretato rispetto al contenuto del loro lavoro, fotografico o visuale che esso sia. Credo dunque che sia corretto ricordare Efrem Raimondi (1958 – 2021) tramite una fotografia realizzata da lui stesso, piuttosto che tramite una che lo ritragga. Non una qualunque. Leggete il testo, tratto dall’intervista di gennaio 2021, con cui ce la descrive. Spero che consenta anche a chi non lo conosceva di ricordarlo.
Ultimissima, Efrem: potresti scegliere una foto dal tuo archivio, anche privato, che ti è particolarmente cara, indipendentemente da genere o tecnica di realizzazione, e raccontarci qualche cosa su di essa? Come e quando l’hai scattata, perché ti è cara…
“Non ho un archivio privato, ciò che produco è sempre parte del racconto. Fosse anche un sasso. Non ho legami affettivi con le immagini, o comunque non sono mai determinanti, per esempio a livello di editing. Però sì, ce n’è una ed è il ritratto a mio padre, ottobre 1995.
Da poco sapevo che avrebbe avuto sei mesi di vita. Ero distrutto. Un dolore che chiunque può immaginare e che magari ha provato. Ho pensato di ritrarlo, non l’avevo mai fatto. In banco ottico perché questo mi consentiva di nascondermi sotto il telo nero e di gestire il trambusto emotivo un po’ meglio. L’immagine più sofferta della mia vita. E quando la incrocio il mio sguardo ancora oggi cambia. Dovevo farla.”.
[ E.R. risponde a E.G.T. gen 2021 ]