Con l’aereo sopra il vulcano Kilimanjaro.
Un bel giorno mi telefona uno degli editori francesi con cui lavoravo molto e mi propone l’idea di un libro aereo sulla Tanzania. Non mi sembra vero e ovviamente dico OUI. Parlando meglio dei dettagli tecnici e finanziari mi dice che è solo un progetto per un loro cliente e quindi l’idea è di andare in Tanzania, noleggiare un aereo da turismo o qualcosa che vola e scattare una trentina di belle foto poi mandargliele. Se la cosa funzionerà con il loro committente dovrò tornare e completare il lavoro.
Detto fatto, telefono a Mark Ross, un mio amico americano che gestisce una società di safari in Kenya e Tanzania, anche lui pilota ed esperto di burocrazia africana (seconda solo a quella Italiana). Mark mi trova un Cessna 172 da 160 HP, con marche tanzaniane (la targa degli aerei) e accetta di accompagnarmi e organizzare la logistica a terra, in pratica un fuoristrada che ci precede con la benzina e il meccanico.
Infatti non prevediamo di frequentare aeroporti, ma di usare come base tra un volo e l’altro le piste in terra battuta di proprietà dei lodge dove passeremo la notte. Il budget è per 7 giorni di lavoro e quindi significa che non dormiremo mai due notti nello stesso letto e dovremo volare e scattare tanto.
La Tanzania è un paese grande tre volte l’Italia con magnifiche bellezze naturali, vulcani estinti, montagne, tanti fiumi e laghi, tra cui il Lago Vittoria e coste con spiagge infinite bagnate dall’Oceano Indiano. Uno di questi vulcani è il Kilimanjaro che si trova a Nord Est sul confine con il Kenya e proprio qui a 5.895 metri di quota mi capita uno dei maggiori spaventi della mia vita. Abbiate pazienza ve lo racconto alla fine, del resto tutte le storie iniziano dall’inizio.
Decolliamo da Nairobi, Wilson Airport, ci dividiamo i compiti, io mi siedo a sinistra e piloto, Mark si siede a destra e si occupa della navigazione, poi quando devo fotografare prende lui i comandi. Abbiamo pianificato tutte le zone da fotografare in modo di coprire tanto territorio con le circa cinque ore di autonomia del velivolo, pari circa a 500 miglia, se voli dritto, cercando di farle coincidere con la luce migliore.
Quando si fanno questi lavori aerei in zone che non hai mai visto, devi anche considerare del tempo extra per i possibili e probabili soggetti che non conosci e che valgono la pena di essere fotografati. Per l’occasione avevo anche acquistato uno dei primi GPS aeronautici che aveva in memoria tutti gli aeroporti e piste del mondo (escluso quelle in terra battuta).
Breve sosta ad Arusha per fare dogana e documenti di entrata. Subito dopo la prima zona da fotografare sarà il Lago Natron poi il parco nazionale del Serengeti, ambedue al confine con il Kenya, per poi proseguire per il Lago Vittoria.
La seconda tappa sarà volare verso Sud fino al parco nazionale del Ngorongoro, scattando quello che capita lungo la rotta.
Dopo il cratere una terza tappa verso Est fino alla capitale Dar Es Salaam, a seguire volando a Sud lungo la costa per finire nel parco del Selous, che sarà la nostra ultima tappa prima di tornare a Nairobi via Kilimanjaro con sosta ad Arusha per espletare dogana e pratiche tanzaniane e tornare a Wilson.
Fila tutto liscio fino al vulcano che è ben alto, quasi 6.000 metri, uguale a circa 18.000 piedi, (che è l’unità di misura usata in aeronautica). Il nostro aeroplanino ha una tangenza (altezza massima raggiungibile) di circa 14.000 piedi, quindi mancano più o meno 4.000 piedi per non sbatterci contro e sorvolare il cratere.
Fortunatamente ci sono delle nubi che sotto hanno delle forti correnti ascensionali e quindi saltando di nube in nube riusciamo a salire quasi fino in cima, dobbiamo anche stare attenti alla mancanza di ossigeno a quella quota che potrebbe farci qualche scherzo al fisico, quindi un passaggio e via, apro il finestrino per fotografare, fa anche un freddo tremendo ma resistiamo: è fantastico, scatto e via in discesa.
Mark mi ripassa i comandi, tiro indietro la manetta della potenza che poi volgarmente è l’acceleratore, e butto giù il muso. Scendiamo forse di mille piedi quandoil motore si spegne, l’elica si ferma e l’unico rumore oltre al vento sonno le nostre espressioni di stupore. Se qualcuno di voi ha provato questa esperienza saprà cosa intendo.
Il primo pensiero che ti passa per il cervello è: ma sta capitando proprio a me? Poi cerchi subito di ricordare cosa ti hanno insegnato a fare in una situazione simile, cioè cercare di planare con la massima efficienza, cercare di riaccendere il motore e se non parte incominciare a guardare dove poter atterrare al meglio.
Mark aveva già impostato l’aeroporto di Arusha nel GPS, mi da la rotta da seguire e fa quattro conti di discesa e distanza, forse ce la facciamo a planare fino alla pista..forse no. Vediamo di fare ripartire il motore.
Uno, due, tre tentativi niente.
Poi a tutti e due contemporaneamente torna in mente che su questo tipo di aereo bisogna tirare il manettino dell’aria calda al carburatore quando si scende con il motore al minimo in modo che non si formi ghiaccio nel carburatore.
Tirato il manettino che ha la scritta CARBURATOR, come per magia il motore riparte e voliamo via!
Testo e foto di Guido Alberto Rossi
Articolo tratto da:
È Solo un Click
192 pagine con 356 foto
Non è in commercio, ma acquistabile direttamente dalla home page del sito di Pane Quotidiano.
L’edizione digitale a cura di Simonelli Editore è disponibile sui seguenti siti:
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