Ultra-grandangolari per la fotografia astronomica: Sigma, Canon, Samyang o Mir?
Utilizzo una Eos 6D e sono alla ricerca di un buon 20mm luminoso. A parte l’eccellente e costoso Sigma Art 20 mm f/1,4 ho difficoltà a trovare un’ottica soddisfacente. Ho provato il 20mm f/2.8 USM Canon, ma è deludente. Lo si desume anche dai test MTF, ma ho voluto provare. I Samyang hanno tutti un problema di “occhi di gatto” e coma. Dimenticavo, lo userei principalmente per foto della Via Lattea. Ho visto tra le ottiche di una volta il Mir-20M 20mm f/3.5, ma ovviamente non si trovano test MTF. Mi sapete dire qualcosa su questo obiettivo?
– Mario
Le opinioni (non misurazioni) che abbiamo trovato per quest’obiettivo sono abbastanza concordi nel definirlo buono (alcuni dicono ottimo) al centro e via via sempre più confuso procedendo verso i bordi, come è logico aspettarsi per un progetto ultragrandangolare di 50 anni fa. Questo obiettivo risulta anche particolarmente soggetto al flare, per cui, sinceramente, non è una gran soluzione per fotografare campi astronomici con le esigenze attuali.
Lo stesso si può dire dell’altra ottica d’epoca similare: lo Zeiss Jena Flektogon 20mm f/3,5 oppure f/2,8.
Certo, una volta queste ottiche, e quelle di produzione giapponese dello stesso periodo, si usavano anche per la fotografia di campi stellari, ma perché l’unica alternativa era di passare a una camera Schmidt, una soluzione ottica particolarmente macchinosa da usare (visto che il singolo fotogramma di pellicola andava applicato su una superficie curva), appositamente concepita per l’astrofotografia grandangolare professionale.
Il punto è che l’ambito dei supergrandangolari è proprio quello in cui si sono visti passi veramente da gigante dall’avvento della fotografia digitale e non ci si può aspettare che un progetto degli anni Settanta (o forse anche antecedente) regga il confronto con quelli attuali.
La “coma” è un difetto grave nella fotografia astronomica, poiché rende come comete i punti stellari. Invece non danno preoccupazione gli “occhi di gatto”, visto che questi compaiono quando si hanno soggetti su più piani relativamente vicini al fotografo. Non è il caso dell’astrofotografia.
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