Sarà vero che gli obiettivi di plastica durano meno di quelli in metallo? Che la costruzione per l’analogico era migliore di quella per il digitale?
Gli obiettivi delle macchine digitali sono spesso fatti di plastica. Da nuovi vanno bene, ma hanno la stessa durata di quelli in metallo analogici?
– Enzo
Questa idea, che forse verrà da amici “informati”, è un bel po’ generica e anche equivoca. Intanto bisognerebbe capire se l’affermazione va intesa riferita al solo barilotto o anche alle lenti. In ogni caso c’è una casistica parecchio variegata, per cui cerchiamo di andare con ordine.
La prima puntualizzazione è che queste differenze costruttive non sono in alcun modo legate al digitale. L’uso dei materiali plastici anche per le parti strutturali degli apparecchi e degli obiettivi fotografici risale agli anni settanta e in ambito reflex vide la sua prima affermazione estesa con la Canon AE-1 del 1976. I materiali sintetici consentono di realizzare per stampaggio anche parti complesse, riducendo così il numero dei pezzi e soprattutto le lavorazioni necessarie per ottenerli. E quindi i costi di produzione. Un altro vantaggio riguarda la maggiore leggerezza e l’elasticità, che entro certi limiti consente un migliore assorbimento degli urti. In più, con materiali come il teflon ci possono essere proprietà autolubrificanti che eliminano la necessità del grasso e le sue conseguenze indesiderate nel tempo. Per contro, le plastiche vanno più soggette ad invecchiamento, anche in conseguenza di variazioni di temperatura e di esposizione alla luce, con possibilità di fessurazione e degrado generale delle loro proprietà meccaniche ed estetiche. Si aggiunga però che esiste una grande varietà di materiali sintetici, molto diversi per rigidità, stabilità dimensionale e durata nel tempo.
In generale, oggi vediamo ampie applicazioni dei materiali plastici nei barilotti degli obiettivi di fascia bassa e intermedia, mentre il loro ingresso nelle ottiche professionali è recente e non ancora generalizzato. All’estremità opposta, troviamo obiettivi completamente realizzati in metallo fra i prodotti cinesi di prezzo medio e basso e di qualità spesso sorprendente, come 7Artisans, TT Artisan e Mitakon. Sono perlopiù ottiche a fuoco manuale e prive di elettronica, realizzate “come una volta”; per cui a fronte di prestazioni meno raffinate possiamo contare su un migliore feeling operativo e una maggiore aspettativa di durata nel tempo, secondo la nota regola per cui quello che non c’è non si rompe (e la plastica che non c’è non si deteriora). Tutto questo riguarda la meccanica.
E l’ottica? Bene, fra gli anni Ottanta e i Novanta del secolo scorso vi furono limitati tentativi di introdurre elementi asferici in resina negli schemi ottici, ma si vide subito che l’ingiallimento e le deformazioni di queste lenti erano relativamente veloci e inaccettabili. Per diversi anni si trovò il compromesso di applicare un sottile riporto asferico in resina alle lenti sferiche in vetro. Così facendo, la spessa base in vetro assicurava la stabilità dimensionale e la trasparenza, mentre il sottilissimo strato in resina dava la correzione ottica asferica senza che la lente potesse diventare opaca e gialla al punto da notarsi sulle foto. Tuttavia, a distanza di pochi anni si segnalarono alcuni casi di separazione tra le due componenti dell’elemento ottico e questo naturalmente ne pregiudicava la resa. Alla fine, la soluzione è stata la messa a punto di tecnologie per lo stampaggio di precisione delle lenti asferiche in vetro, per cui oggi è possibile combinare le prestazioni ottiche con la durata nel tempo, il tutto a costi accettabili. Quindi non ci risultano casi di lenti in resina negli obiettivi degli attuali sistemi fotografici, mentre può darsi che ce ne siano nei telefonini. Ma sappiamo che questi non sono fatti per durare.
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