Un ottimo software è sufficiente per rendere ottime immagini ancorché riprese con un modesto obiettivo che pur fa transitare luce poi trasformata in numeri?
Con l’analogico, l’immagine si forma grazie agli alogenuri di argento, alla fotocamera, all’obiettivo ecc. e quindi cose materiali e variabili. Invece, se ben ho capito, nel digitale l’immagine viene trasformata in numeri (0, 1, 2, 3…) e poi il software trasforma i numeri in immagine. Quindi i numeri del digitale (il raw) non rimangono sempre tali indipendentemente dall’obiettivo, più o meno costoso, salvo poi essere valorizzati da un software? È il sensore, più o meno potente, che valorizza i numeri che riceve? Insomma un ottimo software è sufficiente per rendere ottime immagini ancorché riprese con un modesto obiettivo che pur fa transitare luce poi trasformata in numeri?
– Pasquale
No. Quale che sia la tecnologia di acquisizione e memorizzazione, l’immagine di partenza è sempre quella prodotta dall’obiettivo e ne riflette in pieno la qualità.
Anche i “numeri” di un file raw acquisito con una macchina e/o un obiettivo di buona qualità, saranno diversi da quelli di un’immagine dello stesso soggetto nelle stesse condizioni di luce, ma acquisita con una macchina e/o con un obiettivo più scadente. Ne consegue che il software che tratta l’immagine lavorerà su dati ben diversi nei due casi. Naturalmente un ottimo software potrà tirare fuori il meglio dai dati che ha da trattare, quali che siano; ma se quello che riceve è scarso anche il risultato non potrà essere un granché, o comunque non sarà mai pari al risultato che lo stesso identico software darebbe partendo da dati più precisi nel descrivere la scena.
Come sempre nella catena conta ogni anello e il più debole è quello che condiziona il risultato. Esempio evidente: se l’immagine è mossa, sfocata o sovraesposta, il software potrà cercare di metterci una pezza per quanto possibile, ma non potrà indovinare cosa c’era dove tutto è imbrogliato. Non potrà restituire un’immagine come quella che si avrebbe se tutto fosse a posto. Questo vale non solo per gli aspetti eclatanti come negli esempi che ho fatto, ma anche per quelli minori che, messi insieme, possono fare una bella differenza.
I “numeri” del digitale non sono proprio 0, 1, 2, 3, ecc. Ad esempio se vogliamo memorizzare 256 livelli luminosi da 0 a 255 occorrono numeri binari a 8 bit che progrediscano come 00000000, 00000001, 00000010, 00000011, fino ad arrivare a 11111111. In più, anche nella fotografia digitale all’inizio l’immagine è analogica, perché ciascun pixel restituisce un segnale elettrico il cui voltaggio è proporzionale al numero di fotoni rilevati. La differenza è che subito dopo c’è un convertitore che trasforma questo segnale in un dato digitale. Un vantaggio è che l’informazione digitale non va soggetta a degrado come quella analogica (chimica o elettronica che sia), restando immutata indipendentemente dal modo col quale viene memorizzata, dal supporto e dal numero di copie che se ne dovessero fare. Altro vantaggio è che un dato digitale si può elaborare infinite volte in tanti modi diversi, per cui dallo stesso raw si possono ottenere immagini finite che cambiano in base al risultato che ci si prefigge (es. contrasto, filtri colorati e tanto altro) oppure in base ad una diversa sensibilità che il fotografo potrebbe sviluppare negli anni. Per non parlare dei perfezionamenti tecnici resi possibili sia dal software che dalle maggiori capacità del fotografo stesso.
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