Il paragone tra diversi formati non sempre è facile: teoria e pratica possono differire.
Quando sviluppavo e stampavo fotografie in bianconero verificavo la grande differenza (al di là della qualità dell’obiettivo) tra un negativo 24×24 mm (es. il Rapid dell’Agfa) e il 6×6 cm della Rolleiflex. Nel primo caso dovevo ingrandire molto di più. Ciò comportava una limitazione negli ingrandimenti per non evidenziare la perdita della qualità dell’immagine e la comparsa della “grana”. Ora che fotografo in digitale, pensavo che ci fosse la stessa differenza tra l’arrotondato APS-C 16×24 mm della Nikon D300 e il 24x36mm della D700. Riflettendo però, nel digitale non viene ingrandito nessun fotogramma, ma l’ingrandimento è condizionato dal numero dei pixel generati dal sensore che riempiono l’immagine. Considerato che la D300 e la D700 generano, nel file, lo stesso numero di pixel, non le sembra che in sostanza producano la stessa qualità d’immagine? L’unica differenza è che i pixel della D300 sono più piccoli. Può questa differenza influire sulla qualità dell’immagine? In che misura? In generale quali potrebbero essere le differenze sostanziali da preferire il pieno formato a quello ridotto, tenendo conto anche che c’è una bella differenza di costi nell’acquisto di fotocamere e obiettivi. Oppure questa insistenza sul full frame è una trovata per incrementare la vendita di fotocamere e obiettivi?
– Angelo
Discorso impegnativo poiché tocca tanti diversi aspetti, sia tecnologici che applicativi. Per questo abbiamo dedicato a questo tema un intero fascicolo di Progresso Fotografico (n° 55), dove il Full Frame è visto anche in funzione degli altri formati. Qui mi limiterò a toccare gli aspetti principali.
Le diverse tecnologie per la ripresa fotografica hanno le loro peculiarità, per cui anche i paragoni tra i formati hanno sia affinità che differenze.
Come dice lei, a parità di pellicola, tra i diversi formati non cambiava la dimensione del singolo pixel (la grana), bensì il loro numero: più grande era il fotogramma e maggiore era il numero dei granelli di alogenuro d’argento resi disponibili.
Con il digitale può succedere il contrario e cioè di avere lo stesso numero di pixel, ma pixel via via più grandi con l’aumentare del formato. Però potrebbe succedere anche come con la pellicola, se ad esempio si paragonasse la D300 da 12 megapixel con la D810 da 36 megapixel. Oppure si potrebbe usare una pellicola a grana finissima sul formato 24×24 e una grana grossa sul 6×6. Insomma, c’è una certa variabilità e i paragoni possibili sono più d’uno.
Rimanendo sul digitale, nel paragonare i diversi formati si possono fare due tipi di considerazione: uno teorico/generale e uno pratico/specifico.
La teoria generale dice che, a parità di tecnologia, un pixel più grande avrà una maggiore gamma dinamica perché per passare dal fotorecettore a zero (nero assoluto) al fotorecettore saturo (bianco assoluto) occorre un maggior numero di fotoni incidenti. Questo significa maggiore gamma dinamica (o latitudine di posa che dir si voglia), per il pixel più grande.
Per lo stesso motivo, tra il nero e il bianco nel pixel più grande intercorre un maggior numero di livelli di grigio (sempre che la loro distribuzione e il numero dei bit consenta di memorizzarli). Questa più estesa gamma tonale porta ad una riproduzione più continua e quindi più fedele delle sfumature, il che si traduce in una maggiore tridimensionalità dell’immagine.
Questo è facile da capire: se nel petalo di un fiore, o nell’incarnato di un viso, avessi soltanto un colore omogeneo, il soggetto apparirebbe piatto come un fumetto e privo di tridimensionalità. Invece, quante più sfumature ci sono, tanto maggiore è il realismo dell’immagine.
Altra considerazione generale: se uso lo stesso obiettivo sui due formati, quando fotografo con il sensore più piccolo sto facendo lavorare l’obiettivo in condizioni più gravose, perché qui in effetti è come se ritagliassi dalla pellicola della Rolleiflex il fotogramma dell’Agfa Rapid e poi lo ingrandissi di più. Oppure, se uso due obiettivi equivalenti, quello per il formato più piccolo deve avere un maggiore potere risolvente, cosa che non è detto che sia. Questo potrebbe dare un ulteriore vantaggio al formato superiore.
Però attenzione! Nel fare i paragoni per un determinato soggetto e luce, occorre sempre considerare almeno cinque parametri: formato di ripresa, ISO, lunghezza focale, apertura diaframma e distanza dal soggetto. Cosa manteniamo costante, e cosa variamo?
Quando due persone non si capiscono su questi temi, spesso è perché non si pongono nella stessa condizione e ciascuno segue un proprio filo logico.
Quindi la risoluzione potrebbe essere uguale a parità di pixel, ma talvolta quella reale è superiore per il sensore e l’obiettivo più grandi, perché non sono portati al limite delle loro possibilità; mentre per la gamma dinamica e la gamma tonale il sensore più grande dovrebbe essere sempre avvantaggiato. Senza contare che la maggiore inerzia di un corpo macchina e obiettivo più pesanti spesso danno maggiore stabilità, e questo evita il micromosso; almeno finché il fotografo non si affatica troppo!
Detto tutto questo, che pare avvantaggiare nettamente il pieno formato, passiamo alla pratica, dove si verificano svariate cose interessanti e talvolta contrapposte, visto che quel presupposto di “a parità di tecnologia” non vale sempre.
Da un lato i costruttori da qualche anno stanno spingendo così tanto sul Full Frame che spesso le innovazioni principali escono prima qui che sui formati inferiori, per cui il margine di vantaggio concreto può essere perfino superiore alla differenza di formato. Una volta era vero il contrario: i sensori APS-C si rinnovavano prima e più di frequente, mentre quelli 24x36mm arrivavano sempre dopo. Così spesso il vantaggio del pieno formato era più ridotto di quanto si potesse pensare.
Inoltre abbiamo visto che un sensore Full Frame come il Sony da 42 megapixel ha una gamma dinamica più ampia del suo fratello di pari formato da 24 megapixel, il che sarebbe assurdo se pensiamo alla dimensione del singolo pixel. Evidentemente, in questo chip Sony ha profuso tutte le tecnologie d’avanguardia di cui dispone.
Le differenze possono essere ancora maggiori fra sensori di diverse marche, perché non tutti i costruttori dispongono delle stesse tecnologie. Capita anche che un dato costruttore mantenga in produzione sensori con un diverso grado di aggiornamento tecnologico, in genere dedicando quelli più vecchi ai modelli più economici. Da questo deriva che, perlomeno sotto certi aspetti, può capitare che un sensore APS-C superi un sensore Full Frame di pari risoluzione.
Tipicamente, avviene che una fotocamera al top di formato APS-C monti un sensore più moderno ed evoluto di una entry level del Full Frame. L’ho notato più volte nelle mie prove pratiche e nel caso l’ho sempre fatto notare. Se ci legge regolarmente, potrà verificarlo.
La conclusione è che la teoria generale ci dà un’idea di cosa aspettarci, ma poi sono le prove a darci conferma o meno nei singoli casi. Di sicuro, restare sull’APS-C fa risparmiare peso, ingombro e soldi.
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