A Roma una mostra di Fontcuberta gioca sull’impermanenza delle immagini fotografiche e sul fascino della loro trasformazione nel tempo. Inclusa la loro decomposizione.
Pensando ad una fotografia, generalmente si prende in considerazione l’immagine, il soggetto rappresentato. Raramente ci si sofferma sul suo supporto. Joan Fontcuberta lo ha fatto.
Il celebre studioso spagnolo è da anni che punta il dito sull’inevitabile ambiguità del mezzo fotografico e questa volta – anziché mettere in dubbio che la fotografia possa essere considerata lo specchio della realtà – si concentra sul fatto che un’immagine è custodita grazie ad un supporto. Quando questo supporto invecchia e si deteriora, anche il soggetto si trasforma. La mostra Cultura Di Polvere all’ICCD di Roma (titolo ispirato dalla celebre opera di Marcel Duchamp e Man Ray del 1920 “Élevage de poussière”) è curata da Francesca Fabiani ed è un invito a riflettere sulla temporaneità delle immagini e ad apprezzare proprio il fatto che si tratta di tracce provvisorie e mutanti.
Come in un museo si ammirano le antichità corrose dai secoli, nelle sale della mostra romana si possono ammirare delle grandi riproduzioni di lastre fotografiche trasformate dal tempo. L’ingrandimento e la retroilluminazione rendono ancora più evidenti tutte le scrostature, i graffi, i segni della muffa, batteri e funghi proliferati grazie all’ambiente chimicamente accogliente dell’emulsione di gelatina ai sali d’argento.
L’esposizione sembra compiacersi della decomposizione delle lastre che conferisce un aspetto così diverso da quello che dovevano avere in origine. Cosa direbbero i fotografi autori di questi scatti? Forse sarebbero un po’ stupiti di vederli esposti così danneggiati. D’altronde, anche gli scultori che avevano creato le statue policrome greche sarebbero probabilmente perplessi dalla loro esposizione in avanzato stato di deterioramento, senza più colori e, magari, senza arti.
Siamo abituati ad amare e ad apprezzare l’arte antica che mostra i segni del tempo. Però nei musei noi ammiriamo le opere d’arte che – incidentalmente – sono danneggiate dai secoli. Nella mostra romana, invece, è il deterioramento stesso ad essere esposto. Una trasformazione che ha modificato il soggetto originale e che continuerà a modificarlo.
«Questo lavoro analizza l’agonia materiale della fotografia. La fotografia è un dispositivo di memoria legato alla materia. Il suo deterioramento materiale genera una fotografia paradossalmente “amnesica”, senza più memoria»
Joan Fontcuberta
Dunque le immagini “perdono la memoria”, ma acquisiscono nuove fisionomie e un nuovo significato. Non più documentazione di un istante passato, ma testimonianza dell’impermanenza della materia.
Il mutamento nel tempo delle immagini fotografiche è un argomento che era stato sollevato già nel 1980 da Michelangelo Antonioni, sebbene in un modo molto diverso da Fontcuberta e riferito in particolar modo alla cinematografia.
Il suo Mistero di Oberwald con Monica Vitti era stato girato in video e poi riversato in pellicola. Una cosa assolutamente pionieristica per quegli anni che gli aveva permesso di fare cambiare i colori più volte nel corso delle inquadrature con risultati surreali. Il film non era stato accolto bene dalla critica, avevano accusato il regista di concentrarsi troppo sulla sperimentazione estetica. Ma il suo non era solo un esercizio di stile, il regista aveva anche voluto portare l’attenzione sul fatto che i colori delle pellicole cambiano col trascorrere degli anni.
La mostra di Roma evidenzia proprio il fatto che le pellicole, le lastre e i nostri archivi fotografici cambiano nel tempo. Non si tratta di una denuncia, piuttosto della presa di coscienza di un dato di fatto. Questa è la natura delle immagini, sembra volerci dire Fontcuberta, le fotografie si trasformano lentamente e inesorabilmente, i segni del deterioramento della materia si sovrappongono al soggetto originale.
Le immagini sulle quali Fontcuberta ha lavorato sono state selezionate tra quelle deteriorate delle collezioni storiche dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD), una istituzione nata a fine ‘800 come Gabinetto Fotografico per documentare il patrimonio culturale con fini di tutela e catalogazione.
Secondo Carlo Birrozzi, Direttore ICCD: «il lavoro di Fontcuberta rappresenta una provocazione intelligente che contrappone visioni differenti sul senso profondo della fotografia. La sfida lanciata dal maestro ci permette di raccontare il nostro incessante lavoro che consiste nel prenderci cura quotidianamente di un patrimonio fotografico inestimabile, capace di raccontare la cultura del nostro Paese e le professionalità e l’impegno necessari per preservarlo».
Nella mostra Cultura Di Polvere c’è anche un interessante video che documenta le varie fasi del progetto raccontate dello stesso Joan Fontcuberta.
Cultura Di Polvere si può visitare fino al 29 Settembre 2023
dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 18.00 (escluso festivi)
ICCD_Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione
Via di San Michele 18, Roma
Ingresso gratuito