Sono 400 le cartoline in mostra a Milano, piccole grandi opere d’arte realizzate da persone comuni e nomi noti che hanno risposto al progetto di mail-art e riflessione sul razzismo del fotografo Giangiacomo Rocco di Torrepadula.
Apre a Milano la mostra “A Postcard for Floyd. A Blind Sight Story”, nata da un’idea del fotografo Giangiacomo Rocco di Torrepadula.
La data di inaugurazione della mostra, il 25 maggio, segna anche l’anniversario dei tre anni dalla morte di George Floyd, il 46enne afroamericano ucciso da un agente di polizia a Minneapolis. Una morte filmata e fotografata da testimoni che ne hanno poi diffuso le immagini sul web, contribuendo alla nascita del movimento di protesta Black Lives Matter.
Proprio vedendo quelle immagini, Giangiacomo Rocco di Torrepadula aveva istintivamente scattato una sequenza fotografica di una candela privata della sua fiamma: 9 fotografie, una per ciascuno di quei drammatici minuti. Nelle immagini, la fiamma si spegne gradualmente e il fumo disegna una traccia prima di scomparire nel nero profondo.
A partire da questo lavoro fotografico, l’artista ha avviato un progetto di mail art spedendo circa 600 cartoline con uno scatto della sequenza della candela. Ai destinatari ha chiesto di restituire una frase, un disegno, un’immagine o qualunque idea o emozione che quella fotografia potesse suggerire loro.
Il suo scopo era generare una riflessione corale sul problema del razzismo, proprio perché lui stesso si era reso conto di avere avuto un atteggiamento inaspettatamente razzista nei confronti di un senzatetto afroamericano.
Era stato quell’episodio, precedente all’omicidio di George Floyd, a spingerlo ad iniziare un’indagine su sé stesso ed a fargli capire come il razzismo sia presente dentro di noi anche in modo inconsapevole. A Postcard for Floyd è stata un naturale evoluzione di un processo già in atto.
Incuriosito, ho voluto fargli qualche domanda.
Come mai le cartoline?
Ho scelto le cartoline per diversi motivi. Innanzitutto sono un mezzo lento, e questa lentezza è un modo di riappropriarsi del tempo sottratto a Floyd. Anche i danni che subiscono durante il viaggio sono un modo per simboleggiare la sofferenza che gli è stata inflitta.
Inoltre le cartoline sono un mezzo fisico. Arrivano sulla scrivania delle persone, si impongono all’attenzione, richiedono gesti materiali. Non solo nella performance compilativa, ma anche nella spedizione. Tutto questo è un modo per portare chi la riceve a riflettere con maggiore ponderazione sull’accaduto. Cosa sempre più rara in tempi di velocità digitale. Una email sarebbe stata molto più facile, ma non avrebbe avuto la stessa efficacia. Aggiungo che è anche stato un mio modo personale di reagire al fenomeno degli NFT. L’arte per me è innanzitutto fisica. E la cartolina è stato un po’ il mio modo per rimarcarlo.
Perché un’immagine metaforica per rappresentare quella tragedia?
Dagli studi che faccio nel campo delle neuroscienze comportamentali, mostrare la violenza attiva i centri della paura e della violenza nella testa di chi la guarda. Se io ti mostro le immagini di Floyd dell’inginocchiamento, è inevitabile che tu sia così scioccato da allontanarti dal problema. Ti crei una barriera verso quel problema: quella cosa è talmente violenta, talmente orribile, che a quel punto la condanni senza rifletterci ulteriormente. Non può essere un problema tuo. Tu non sei quella roba lì. Ma questo significa che sei talmente sulle difensive da rinunciare a fare un’analisi più profonda di quel problema e di come ti possa toccare.
Usando una metafora dolce, come la candela, io spero di portare le persone ad un ragionamento più incondizionato. La candela non è paurosa. Ti consente di ragionare prendendo meno le distanze, con maggior disponibilità. Questa almeno è la mia ipotesi di lavoro. E dalle reazioni raccolte sinora mi sembra che abbia funzionato.
Come è stato coinvolgere così tante persone in un progetto artistico e che sorprese hai avuto, se ne hai avute?
Da una parte è stato complesso, ma dall’altra entusiasmante. Ho conosciuto molte persone, ho imparato molte cose, mi sono confrontato singolarmente davvero con tutti e da ciascuno ho ricevuto ricchezza. Tutto questo più che compensa lo sforzo della complessità.
Non ho avuto grandi sorprese, se non forse la totale assenza di partecipazione della classe politica. Ho spedito la cartolina a diversi esponenti politici senza aver nessun ritorno. Devo però anche dire che gioca a sfavore il fatto che la maggior parte di loro non mi conosca e non è neanche detto che la cartolina gli sia pervenuta.
Quale è stata, fino ad ora, la più grande soddisfazione di questo progetto?
Sicuramente è stata la reazione calorosa al progetto fin da subito. Ho cominciato a ricevere messaggi, addirittura chiamate di persone che mi dicevano quanto quella cartolina avesse smosso le loro coscienze, come ne avessero discusso in famiglia, finanche quanto si fossero sentiti intimoriti nel farla. E tutti hanno confermato il ruolo della fisicità dell’oggetto, rimasto sulle scrivanie, sui comodini, talora sui frigoriferi di casa, a ricordare l’evento e ciò che erano chiamati a fare. Ma davvero sono tantissimi ad avermelo detto. Lo si può constatare anche nei reel che sto postando su Instagram in cui dialogo con alcuni degli autori.
E’ stata questa reazione così forte a farmi decidere a un certo punto di cominciare a spedire le cartoline anche a chi non conoscevo, dando poi al progetto la forma che vedete oggi.
In qualche modo questo significa che quella fotografia che ho scattato è riuscita ad avviare un ragionamento, una riflessione. E farò tutto quanto mi è possibile perché si possa andare avanti.
Cosa considereresti un successo di questo progetto?
Qui c’è il tema fondamentale del dialogo. Ho collaborato su questo progetto con diversi attivisti neri, che mi hanno dato fiducia. Il dialogo è stato ed è ancora continuo con loro. Anche quando ci siamo trovato in divergenze su punti fondamentali del progetto. Ma le differenti vedute non hanno mai impedito il confronto e credo che questo sia il vero valore del progetto: creare uno spazio in cui dialogare in modo aperto e non pregiudiziale su temi anche delicati. C’è un bellissimo video che abbiamo girato in presa diretta proprio di uno di questi dialoghi. Lo girammo quando si era creato un empasse ed è un bellissimo esempio di come il dialogo abbia potuto continuare nonostante tutto. Spero davvero che questo dialogo possa essere sempre più esteso coinvolgendo sempre più persone. Questo sarebbe il successo più grande.
Nei tuoi comunicati c’è scritto che la tua ambizione è quella di promuovere un movimento di consapevolezza e di azioni positive in ambito culturale, artistico e sociale sul tema del pregiudizio. Puoi già raccontarci quali sono i prossimi passi oltre alla mostra?
“A Postcard for Floyd” fa parte di un progetto più ampio chiamato “Blind Sight”, che tradotto vuol dire “vista cieca”. Una rarissima malattia per cui perdiamo la vista, mantenendo però qualche forma di vista incosciente. Chi ne è affetto reagisce a degli stimoli visivi senza aver coscienza di farlo. E’ quello che accade nel pregiudizio che spesso ci porta a comportamenti di cui non ci rendiamo neanche conto. Il razzismo alla fine è la nostra vista cieca rispetto al pregiudizio.
Sto lavorando a un progetto che si chiama “The Plot” che racconta proprio questo, sempre utilizzando l’espressione artistica.
La mia intenzione è che Blind Sight diventi nel tempo un punto di aggregazione di progetti artistici di altre persone, tutti volti a combattere il pregiudizio attraverso la conoscenza che ci deriva dalle neuroscienze.
A Postcard for Floyd inaugura il 25 Maggio 2023 alle 18:00 negli spazi di Assab One (Via Privata Assab 1, Milano). La mostra si potrà visitare fino al 18 giugno 2023.
A Postcard for Floyd è un progetto di Giangiacomo Rocco di Torrepadula e a cura di Luca Panaro, in collaborazione con Chiara Ferella Falda e Pier Paolo Pitacco, realizzata con il contributo di Fondazione Cariplo. Il catalogo è edito da Skira.
Tra le cartoline in mostra, anche opere di: Fondazione Pistoletto, Sandro Iovine, Roberto Mutti, Oliviero Toscani, Cristiana Capotondi, Gad Lerner, Carlo Verdelli, Riccardo Chailly, Ercole Pignatelli, Giulio Cappellini, Italo Rota e Margherita Palli, Maurizio De Giovanni, i musicisti Max Casacci-Subsonica, Andy-Bluvertigo, Fabio Treves, il rapper Amir Issaa e il writer Flycat, Emilio Giannelli, Beppe Giacobbe.