Un viaggio dal sapore di sfida. Tre intensi giorni attraverso i fiordi norvegesi fronteggiando temperature rigide, pioggia e neve per provare la resistenza e la qualità fotografica del nuovo Oppo Find X8 Pro.
Sono già trascorse circa due settimane da quando Oppo ha fatto il suo rientro nel nostro mercato con Find X8 Pro, top di gamma con cui cerca di riprendersi una posizione al vertice degli smartphone fotografici lasciata vacante due anni or sono. Find X5 Pro fu infatti il primo in assoluto a sedersi sul trono della mobile photography assieme Huawei ma fu purtroppo anche l’ultimo device europeo dell’azienda prima che questioni legali la costringessero a chiudersi all’interno del territorio asiatico. Ora, in cima a quella piramide, su quel trono si sta molto stretti dato che sono riusciti a sedercisi anche Xiaomi e vivo..e Oppo dovrà sgomitare non poco.
Durante un viaggio stampa solitamente il tempo dedicato alla prova della fotocamera è uno slot di qualche ora che avviene dopo la presentazione del prodotto, le relative interviste e momenti di convivialità dove si può discutere di “cose da nerd”. Questo con Oppo alla volta di Tromsø invece è stato un vero e proprio viaggio fotografico, una cosa non usuale quando ad organizzarla è un produttore di smartphone: l’ultima volta per me fu con Xiaomi per la presentazione di 13 Ultra per la quale volammo direttamente in Cina, poco più di un anno fa. Questa però è stata connotata da difficoltà maggiori, in primis per la località prescelta: il nord non lascia scampo a causa delle sue rigide temperature contraddistinte da pioggia, neve e vento, un miscuglio di casistiche che potrebbero far cedere uno smartphone qualora non fosse decisamente affidabile. Il primo nemico da fronteggiare, ad esempio, è la possibile condensa che si potrebbe formare all’interno delle lenti, dovuta ai rapidi passaggi tra caldo e freddo; in seconda battuta la longevità della batteria, sempre messa alla corda dai continui cambi foto/video; infine, ovviamente, la qualità generale dell’immagine.
I paragoni con una fotocamera di qualunque tipo per quanto mi riguarda sono totalmente senza senso, inutili e fuorvianti. Per un simile viaggio un’attrezzatura basilare dovrebbe comprendere un buon corpo macchina ed almeno due ottiche zoom luminose come un medio tele ed un tele; ma, a parte chi nel corso degli anni ha risparmiato tanto o ha deciso di farsi regali molto costosi, in quanti, e mi rivolgo ai più giovani che sono anche il target di un simile dispositivo, sono in grado di spendere da un minimo di € 4000 in su per un simile corredo Full Frame? Seguendo questo ragionamento torna il sempreverde discorso delle opportunità, quella famosa frase che recita che “la miglior fotocamera è sempre quella che hai con te”. E oggi, quella fotocamera, è molto spesso uno smartphone. Ci si può quindi fidare di un dispositivo così semplice? Questa è la domanda a cui cercherò di rispondere.
Per alcuni particolari le forme del design ricordano molto i device di OnePlus ed Apple. L’alloggiamento fotocamera, chiamato Cosmos Ring, riprende invece il form factor del precedente Find X7. Ma ora rispetto a quel modello, nonostante il Dual Periscope interno, è più sottile del 40% con uno scalino di soli 3.6mm, forse anche grazie alla rinuncia ad un sensore da 1″. La scocca posteriore, che ricorda quasi il marmo, è realizzata in vetro leggermente curvo su tutti e quattro i lati racchiuso in una cornice in alluminio: è spesso solo 8.4mm (Cosmos Ring compreso) e pesa solo 215 grammi. La particolarità della versione Pearl White, da cui si nota non solo la scelta stilistica ma anche l’intento di creare un dispositivo abbastanza unico, è la sua lavorazione: i singoli pannelli di vetro vengono tagliati casualmente da lastre più grandi con venature differenti. In questo modo ogni dispositivo sarà diverso dall’altro.
Nella parte inferiore si trovano il connettore USB-C, il cassetto per la Sim e una serie di fori per i microfoni; lato sinistro un unico cursore (Alert Slider) che gestisce la modalità audio in suoneria, vibrazione, silenzioso; lato destro oltre al classico bilanciere per il volume ed il tasto di accensione/spegnimento, anche uno slider chiamato Quick Button che con un doppio tocco permette di avviare la fotocamera in soli 0.4 secondi: con una singola pressione si può scattare una foto, con una prolungata pressione fa partire una raffica continua e sfiorandolo verso destra o sinistra da accesso allo zoom. Il display OLED Pro XDR rivestito in Gorilla Glass misura 6.78″ (1264 x 2780 pixel) con 450 ppi, una luminosità variabile da 800 nits a 4500 nits ed un refresh rate variabile fino a 120 Hz; scendendo però a 70 nits supporta un dimming PWM ad altissima frequenza da 2160 Hz, riducendo al minimo il disagio e l’affaticamento degli occhi. Dato che è certificato IP68/IP69, quindi garantito per l’immersione in acqua dolce fino ad una profondità di 1.5 metri per un tempo di massimo mezz’ora e a prova di getti fino ad una temperatura di 80°, l’utilizzo dello schermo tattile è garantito anche con la presenza di gocce sulla sua superficie.
Find X8 Pro è mosso da un processore Mediatek Dimensity 9400 con una struttura design all-big-core con un core Cortex-X925 “prime” (fino a 3.63 GHz), tre unità Cortex-X4 (2.3 GHz) e quattro core Cortex-A720 (2.4 GHz): garantisce il 35% ed il 41% di velocità in più su CPU e GPU rispettivamente nei confronti della precedente versione. Su questo chip la cache è aumentata, il che si traduce in una bassa latenza ed in consumi drasticamente ridotti che impattano anche sulla batteria. Quest’ultima, al silicio e carbonio da ben 5910 mAh, promette infatti un’autonomia da record che va ben oltre la classica giornata lavorativa.
Il comparto fotocamera è sviluppato assieme ad Hasselblad, proprio come avviene per Xiaomi con Leica e per vivo con Zeiss: l’apporto è sia lato hardware che lato software. Sotto al Cosmos Ring, così è chiamato il gruppo ottico, ci sono ben quattro sensori da 50 Mpxl e altrettanti obiettivi che danno un’escursione focale equivalente ad un 15-135mm F1.6-4.3: il principale è un Sony LYT808 da 1/1.4″ dietro ad un’ottica wide 23mm F1.6 stabilizzata OIS, il secondo è un Sony LYT600 da 1/1.95″ dietro ad un’ottica tele 73mm F2.6 stabilizzata OIS, il terzo è un Sony IMX858 da 1/2.5″ dietro ad un’ottica tele 135mm F4.3 stabilizzata OIS ed infine il quarto è un Samsung ISOCELL JN5 da 1/2.7″ dietro ad un’ottica ultrawide 15mm F2. Nonostante le dimensioni della scocca siano così sottili, all’interno del Cosmos Ring è celato un Dual Periscope: entrambe le focali tele sono infatti dotate di una struttura periscopica.
La novità ingegneristica, quella che ha permesso di contenere i volumi pur rispettando la distanza necessaria tra lente e sensore, è l’utilizzo di un triplo prisma dicroico per l’obiettivo da 73mm equivalenti che fa rimbalzare la luce ben tre volte sulle 4 microlenti di cui è composto prima di arrivare ala superficie sensibile; nonostante questo percorso sia “più lungo”, il fascio non perde informazioni e le dimensioni della struttura sono del 33% più piccole di quelle standard a parità di qualità del file ottenuto. Standard che invece ritroviamo per la focale da 135mm equivalenti: un’ulteriore pila a 6 microlenti e con un singolo prisma. Una simile architettura studiata da Oppo, azienda che ha letteralmente inventato la struttura periscopica che oggi troviamo all’interno di ogni smartphone, potrebbe diventare comune nei prossimi anni fornendoci dispositivi sempre più sottili e di altissima qualità.
Attraverso il lab test possiamo fare luce sulla qualità di questi sensori da 50 Mpxl perché è una misurazione pura, ovvero non tiene conto degli interventi della AI: tutte e tre le focali principali si comportano in maniera eccellente, soprattutto per quanto riguarda l’analisi del rumore. Quello principale è un Sony LYT808 da 1/1.4″ dietro ad un’ottica wide 23mm F1.6 stabilizzata OIS: potendo contare su dimensioni maggiori, è quello che fornisce una risoluzione maggiore ma soprattutto incredibilmente costante anche al salire del valore ISO; il rumore digitale, seppur presente, non è mai visibile neanche a 3200 ISO.
A stupire è il comportamento dei sensori dietro alle focali medio tele e tele stabilizzate, ovvero 73mm F2.6 e 135mm F4.3 equivalenti: il primo è Sony LYT600 da 1/1.95″ mentre il secondo un IMX858 da 1/2.5″. Nonostante le piccole dimensioni, soprattutto del secondo, il rapporto tra risoluzione e rumore è estremamente costante nella flessione: non ci sono mai cadute vertiginose di qualità e anzi, il rumore diventa presente e visibile solo al massimo valore ISO di 3200. Tutto grazie alla costruzione del Dual Periscope. Ciò vuol dire che questo smartphone è affidabile ad ogni incremento ISO, regalando un file sempre di buona qualità. Come si può notare la risoluzione non è certo altissima quindi qualche difetto si potrà notare se verranno riprodotte su display di grandi dimensioni.
Questo Mediatek Dimensity 9400 tramite ISP ed NPU svolge quindi un’ottima analisi dell’immagine ma il suo buon lavoro si può notare anche da altri aspetti. La velocità è sicuramente uno di questi: Find X8 Pro è dotato di un pulsante di scatto zero lag, ovvero senza ritardo tra la pressione e l’effettivo azionamento, e da una raffica (Lightning Snap) da ben 7 fps per un massimo di 200 immagini. Ognuna di queste foto è trattata come uno scatto singolo, passa quindi attraverso l’analisi del motore HyperTone che gestisce esposizione, nitidezza e riduce il possibile sfocato dato dal movimento. Come può raggiungere simili prestazioni? Attraverso una nuova pipeline computazionale: rispetto a ciò che accade su altri smartphone dove una volta premuto il pulsante di scatto l’immagine viene analizzata completamente ed elaborata prima che se ne possa scattare un’altra, su Find X8 Pro elaborazione e scatto avvengono indipendentemente perché su canali separati.
Come detto tutto è mosso da un processore Mediatek Dimensity 9400, una scelta quella di rivolgersi al produttore di Taiwan sicuramente meno costosa rispetto al corrispettivo targato USA che però sembra in linea con quanto vuole offrire questo device; il chip è veloce, sicuro e, anche se nell’analisi dell’immagine tende ad aumentarne i contrasti, riesce ad offrire tante soluzioni legate all’AI che non fanno rimpiangere un Qualcomm nella vita di tutti i giorni. A bordo di Find X8 Pro c’è la nuova ColorOS 15 basata sull’omonima versione di Android, fluido e sicuramente più curato nei dettagli soprattutto per quanto riguarda il design, da menù alla forma delle icone. L’interfaccia fotocamera è molto classica. In alto ci sono le varie opzioni flash, modalità azione, esposizione e fa la sua comparsa anche Live Photo, come su iPhone; in basso Pro (manuale), Video, Foto, Ritratto, Notte, Hi-Res e Altro che nasconde varie modalità tra le quali anche XPan e che si possono spostare sulla barra a piacimento. Qui una grande novità legata alla lunghezza focale e forse è stata proprio Hasselblad a metterci lo zampino: di default si potrà settare la grandangolare predefinita: chi non si trova a suo agio con la classica 23mm potrà spostarsi anche ai 28mm ma soprattutto ai 35mm.
La possibilità di modifica dello scatto è completa ma l’Editor AI fa il salto di qualità in quanto a precisione e velocità di realizzazione questo perché sono tutte in cloud e non a bordo, discorso questo da tenere a mente perché non è valevole solo per le immagini ma anche per tutte le funzioni legate alla traduzione che vedremo in seguito. Una volta selezionato “Modifica”, dalle quale si ha accesso anche alle classiche opzioni che riguardano luminosità, contrasto, crop, filtri e filigrana Hasselblad, con Editor AI si potrà aumentare la nitidezza generale dell’immagine, eliminare oggetti o soggetti, rimettere a fuoco lo scatto e rimuoverne i riflessi. Il tutto con una rapidità abbastanza impressionante. Non solo, perché è anche davvero molto preciso non solo ad individuare gli elementi da eliminare ma a ricreare le texture sottostanti tanto che, a meno che non si ingrandiscano in maniera abnorme le immagini, non si avrà assolutamente la percezione che ci sia stato un intervento di editing così invasivo se non per una lieve schiarita delle alte luci e un’apertura delle ombre..ma sono davvero dettagli.
Rimanendo in tema, un’altra grandissima novità introdotta è un più funzionale utilizzo dell’Intelligenza Artificiale: al netto delle varie funzioni di editing a bordo di questo modello c’è una vera AI generativa sfruttata per l’innovazione AI Telescope Zoom, una particolare modalità zoom che entra in azione ai 60x di ingrandimento. Mi spiego. Solitamente ogni smartphone può arrivare a focali zoom pari a 10x, 20x, 30x e oltre; l’immagine che si ottiene però è sempre la risultante di un crop su quella scattata dalla focale tele più spinta, che poi passa attraverso un processo di upscaling che modifica i pixel rilevati per renderla il più leggibile possibile. Nonostante questo passaggio e chip molto potenti di elaborazione, il file finale risulta comunque sempre inutilizzabile. Su Find X8 Pro a 60x succede una specie di magia. Innanzitutto il frame diventa stabile anche a mano libera, l’immagine è come se venisse salvata come anteprima di un buffer il che rende possibile scattare in maniera più sicura anche a mano libera; successivamente viene salvata nella galleria e viene elaborata con un processo di upscaling che, grazie al machine learning, aggiunge informazioni creando nuovi pixel dove mancano. Sostanzialmente il modello AI capisce a cosa si trova di fronte e cerca di produrre un risultato molto realistico.
L’intelligenza basata su cloud si materializza anche con gli strumenti contenuti in AI Toolbox, una suite dedicata visualizzabile tramite una barra laterale a scomparsa: non c’è altra scorciatoia, questo widget è nascosto nel menù per cui bisognerà attivarlo dalle impostazioni per poterlo utilizzare. Tra le varie opzioni più utili, come la navigazione tra i file di sistema, ci sono le integrazioni alle app che possono sfruttare la AI: Lettura ad alta voce in grado di leggere i testi, Riepilogo AI per riassumere i testi in forma schematica e Risposta AI che suggerisce brevi risposte a mail e messaggi.
Da dove comincio? Tromsø è la terza città più grande del Circolo Polare Artico, una di quelle con il clima più mite anche durante i periodi invernali e, di conseguenza, anche quella che fa registrare le più copiose e alte nevicate. Sono stati tre giorni di “quasi buio”. Qui la notte polare non è mai totale poiché il Sole si ferma a 3° sotto l’orizzonte e permette che una minima diffusione di luce ci sia sempre: un crepuscolo che rimbalza sul bianco delle montagne circostanti e diffonde una blue hour visibile per circa 3 ore, dalle 10 alle 13. Poi il buio, quello vero, contrastato solo dal calore delle luci che provengono dall’interno delle case e dei negozi di questa cittadina dove gli abitanti vivono molto lentamente.
In queste condizioni, nella tersa aria del primo mattino, siamo partiti alla volta della zona di alimentazione delle orche e delle balene sperando che le condizioni meteo ci aiutassero..e che soprattutto loro avessero fame. La traversata avviene in mezzo al mare artico con un’imbarcazione ibrida: le vibrazioni ed il rumore dei motori sono infatti un grande disturbo per la vita marina e, per questo motivo, una volta giunti al punto di avvistamento questa passa ai motori elettrici. Il viaggio dura all’incirca otto ore, di cui tre ore e mezza per giungere al punto di interesse e altrettante per tornare. Nel mentre si passa attraverso panorami mozzafiato dei fiordi artici e qualche sparuto villaggio di pescatori. Ad accompagnarci inizialmente il buio totale, notturno, ma man mano una luce unica ed incredibile ha cominciato a far capolino dalle montagne circostanti regalandoci colori e sfumature dal blu al rosso. Un misto di alba e tramonto in un panorama di pace e tranquillità.
Una tranquillità rotta solamente dall’imprevedibilità delle onde, brevi momenti da Deadliest Catch tanto per intenderci. In queste condizioni è facile tirare fuori il meglio dalla fotocamera principale: la color correction sviluppata in collaborazione con Hasselblad è molto naturale e risalta i colori pastello di queste vedute paesaggistiche dove i contrasti non sono mai troppo accesi. Il discorso però è molto simile anche per quanto riguarda le focali tele, dato che la corrispondenza cromatica è praticamente identica. La fotocamera medio tele è forse quella che ho utilizzato di più in questi giorni ma anche quella con ottica tele ha fatto il suo. Impressionante qui la velocità di risposta del device: il pulsante di scatto è davvero zero lag e la raffica a 7 fps è azionabile con ogni singola focale, da 23mm a 135mm permettendo di catturare ogni singolo istante che si ha di fronte.
Il giorno successivo è stato il più tranquillo. Tromsø è un piccolo centro urbano che si sviluppa sia sulla terra ferma che su una piccola isola collegata da un ponte e da passaggi sotterranei. La vita sembra scorrere molto lentamente, allietata dalle luci natalizie e..da una mole impressionante di turisti praticamente ovunque.
Ma la vera experience riguardo alla notte artica doveva ancora arrivare, basta uscire dal centro abitato per farsene una ragione. La meta è stata l’isola di Senya e il clima che ci ha accompagnato dalla mattina presto (noi diremmo all’alba..ma qui non c’è) alla sera tardi è stato abbastanza brutale: neve, pioggia e vento che ci hanno costretti a fare delle brevi soste veloci per poter fotografare ciò che stavamo vedendo. Viene chiamata “la piccola Norvegia” perché al suo interno il territorio presenta tutte le varietà possibili di ciò che offre la sua Regione di appartenenza ed è abitata da poco meno di 8000 abitanti, principalmente pescatori. Si raggiunge unicamente in traghetto da Brennsholmen, una traversata breve in direzione di Fjordgård per una breve sosta prima di arrivare ad Husøy, un quartiere che sorge su un piccolo isolotto più che un vero e proprio paese.
Qui la notte è scesa molto presto e i centri abitati come Husøy si sono accesi. Il calore delle luci provenienti dalle abitazioni ha fatto da contrasto al paesaggio cupo che si stagliava impietoso al suo intorno, dominato da quello che qui è conosciuto come Devil’s teeth, il dente del diavolo. Obbligatorio quindi usare la Night Mode che però ha in serbo una sopresa: una comoda modalità cavalletto da inserire alla bisogna, in modo da poter fare lunghe esposizioni fino anche a 10 secondi senza poi doversi preoccupare del mosso. Data però l’equivalenza di apertura delle ottiche tele, meglio scattare con la fotocamera principale per essere sicuri del risultato finale.
Ad essere sinceri il Raw è di buon livello anche se non è il migliore in circolazione, questo perché comunque bisogna sempre ricordarsi di essere di fronte a quattro sensori che non spiccano per dimensioni; è soprattutto cromatico e si può notare nelle fitte trame, come ad esempio quelle dei boschi, però è controllabile in post senza problemi con un programma come Lightroom. L’algoritmo di abbattimento del rumore svolge invece un risultato egregio sul file jpeg, di sicuro l’estensione che sarà più utilizzata dal pubblico più ampio.
Menzione a parte come d’obbligo alla modalità XPan, sempre molto divertente, che si fa utilizzare di gran lunga più della classica Panorama. Qui il file non spicca per qualità, sia ben chiaro, ma l’impatto che da questo tipo di formato secondo me vale tutte le possibili imperfezioni che può comportare.
Cerco quindi di rispondere alla domanda iniziale: ci si può fidare di un dispositivo così semplice? Sì. Sia ben chiaro, non sto dicendo che possa sostituire una fotocamera ma bisogna pur dare a Cesare quel che è di Cesare. La profondità di campo è sacrificata come su ogni smartphone ma il file è davvero molto buono per nitidezza, risoluzione e contenimento del rumore. Inoltre è incredibilmente affidabile, cosa non da poco, anche in una situazione limite come quella che ho vissuto in prima persona seppur solo per qualche giorno. Il discorso è molto semplice: è finita l’epoca delle “fotocamere nei cestoni di Mediaworld” (e oserei dire anche per fortuna), quelle con cui tutti si cominciava a fotografare tanti anni fa e che valeva la pena acquistare perché avevano un costo irrisorio. Oggi un investimento per un kit di buon livello costa migliaia di euro e non tutti sono disposti inizialmente a sopportarlo, non tutti hanno un grande portafoglio. Ma quello che tutti hanno in tasca dalla più tenera età è uno smartphone, un mezzo che è un primo ponte verso la fotografia ed il video, quello attraverso cui capire se si vuole seguire la propria passione e diventare fotografi, videomaker o content creator. E se lo smartphone è un top di gamma ben costruito e con una buona fotocamera come questo, il risultato è sicuro.