Oppo Find X5 Pro è un device che conferma le incredibili prestazioni fotografiche di Find X3 Pro ma che, a parte la modalità XPan in collaborazione con Hasselblad, non preme sull’acceleratore con grandissime novità. Maturità raggiunta o semplice conservazione della specie?
Lo scorso anno rimasi molto stupito da Oppo Find X3 Pro. Talmente tanto da ritenerlo l’unico in grado di raccogliere l’eredità lasciata sul campo da Huawei, che dal ban di Trump in poi non si è più ripresa in Europa e USA. Quale? Quella di una fotografia mobile di altissimo livello, difficilmente replicabile da altre aziende ad esclusione di Sony e, recentemente, anche di vivo. Con il nuovo Find X5 Pro si limita a cementare questa posizione di forza. Non stravolge un device vincente ma lo affina con la collaborazione di Hasselblad, che ne ha gestito il profilo colore in alcune modalità, e lo fornisce del nuovo chip Marisilicon X.
A dire il vero perde la fotocamera con la microlente per avere lo spazio necessario per dare alle ottiche principali la stabilizzazione OIS; una conformazione più classica che farà felici i più ma che toglie un po’ quell’aura di anticonformismo che mi era tanto piaciuta inizialmente. Ma qui entra in gioco Hasselblad che cuce addosso a Find X5 Pro il nuovo (o vecchio) formato XPan di cui vi parlerò bene poco sotto. In definitiva uno smartphone senza troppi ricami, solido e affidabile con il quale scattare delle ottime immagini creative.
Fermiamoci un attimo però. Da Find X3 Pro a Find X5 Pro? Manca qualcosa..giusto? E invece no. Da buona azienda cinese anche Oppo deve fare i conti con la sua storia, la sua popolazione e la sua scaramanzia. Come noi cerchiamo di evitare il numero 17 o come gli americani disdegnano il numero 13. In tutti i Paesi dell’Asia orientale, vige la tetrafobia. La motivazione è da ricercare nella fonetica: la pronuncia del numero 4 è molto simile a quella della parola morte, per cui di cattivo auspicio. In Cina, come in Giappone e Corea, non ci sono quindi quarti piani negli edifici, quarti posti al cinema o file numero quattro a teatro; i numeri civici vanno dal 3 al 3A al 5. Ovvio quindi che neanche i prodotti siano esenti da questa scaramanzia, per cui ecco spiegato perché si sia saltato il 4.
Anche il design è molto simile ma alcune piccole differenze si notano subito, come l’utilizzo di materiali premium o la presenza di smussature che consentono una presa più salda sulla scocca. In sostanza Oppo è stata molto conservativa con il suo nuovo flagship, non ha voluto rischiare andando ad affinare solo lì dove ce n’era bisogno; strano da parte di un’azienda che si è sempre contraddistinta per innovazione e lungimiranza, brevettando per prima tecnologie con il doppio display e lo zoom a periscopio.
Partiamo subito dai materiali. La nuova scocca posteriore è interamente ricavata da un unico pezzo di ceramica; ci vogliono 170 ore per poterla realizzare, delle quali 4 solo per la rifinitura. In tutto sono 45 processi di lavorazione differenti. Ma non è solo questione di stile, anche di praticità: la ceramica ha il doppio della resistenza ed è meno soggeta alle graffiature rispetto al vetro, qualunque esso sia. La lastra si curva dolcemente verso tutti e quattro i bordi e va a cingere il modulo fotocamera; qui il design è leggermente inclinato rispetto all’austero Find X3 Pro, ma è estremamente comodo per appoggiare l’indice favorendo la presa.
Il display del Find X5 Pro è un OLED HDR10+ da 6.7″ con risoluzione di 1440 x 3216, formato 20:9, densità di 525 ppi, luminosità massima di 1300 nits. Ha una frequenza di aggiornamento variabile fino a 120 Hz e si può settare in due modalità: Standard e High. Con la prima il tetto di aggiornamento si ferma a 60 Hz, con la seconda invece arriva al suo massimo. Entrambe hanno uno switch down automatico, il che vuol dire che il processore, a seconda dell’attività svolta, scenderà sempre alla sua frequenza minima; il suo massimo lo raggiunge solo durante la riproduzione di video, film, serie tv e giochi, una soluzione ottimale per il risparmio batteria. Anche questo display è 10 bit ed è in grado di riprodurre oltre un miliardo di colori.
Il pannello misura 163.7 x 73.9 x 8.5mm ed è in vetro Gorilla Glass Victus: probabilmente molto resistente in caso di cadute, non mi è sembrato altrettanto ottimale nel contrastare i graffi. Nonostante io sia sempre molto attento alle cose non mie, tenendo lo smartphone nella messenger un paio di “righette” le ho viste. Per cui, dato che una copertura aggiuntiva non è prevista nella confezione, suggerisco di comprarne una.
A prescindere dall’alloggiamento fotocamera e dalla fattura della scocca, il resto rimane standard come sul 99% degli smartphone. Lato destro il pulsante di accensione/spegnimento, lato sinistro il bilancere del volume e in basso la porta USB-C, gli altoparlanti e l’alloggiamento della sim. La batteria è più grande, da 5000 mAh, con cui si può arrivare a sera tranquillamente anche se utilizzate il device per lavoro. L’interfaccia è sempre Color OS, basata però su Android 12. Continuo a ritenerla una delle migliori Android “rimaneggiate” reperibili sul mercato: è semplice, intuitiva, dal design molto curato e dalle infinite personalizzazioni possibili per app, icone e gesture. Qui c’è una funzione davvero interessante che guarda alla privacy: una volta impostato il riconoscimento del volto, se il sensore della fotocamera frontale rileva che l’utente è diverso dal proprietario non mostrerà il contenuto delle notifiche.
Il processore principale è il nuovissimo Qualcomm Snapdragon 8.1 con 12 GB di RAM, veloce e fluido in ogni situazione ma un po’ “imbrigliato”; non ho notato particolari differenze o miglioramenti rispetto allo Snapdragon 888, forse è ancora tutto da comprendere. Il chip MariSilicon X con NPU integrata è invece adibito principalmente alla fotocamera per gestire colori, riconoscimento, tracking e applicazione delle maschere.
È in grado di elaborare 18 trilioni di operazioni al secondo (TOPS) e ha una gestione separata della memoria che assicura 8.5 GB/s di banda dedicata all’elaborazione delle immagini. In realtà credo che le sue piene potenzialità le vedremo con il prossimo modello Oppo di fascia premium, che probabilmente abbandonerà il sensore RGB per quello RGBW: il chip è infatti ottimizzato per analizzare separatamente i pixel bianchi da quelli rossi, verdi e blu.
Il modulo fotografico è molto simile al precedente. La fotocamera principale e quella secondaria sono entrambe dotate di sensori Quad Bayer Sony IMX766 da 1/1.56″ e pixel da 1.0µm con risoluzione da 50 Mpxl e PDAF predittivo; la prima ha un obiettivo wide equivalente ad un 25mm con apertura F1.7, la seconda con ottica ultrawide equivalente ad un 16mm F2.2. Entrambi sono costituiti da 6 elementi dei quali il primo in vetro. Nuova è però la stabilizzazione a sensore che compensa gli spostamenti accidentali su 3 assi ma che, in combinato con quella degli obiettivi, raggiunge i 5.
Come anticipato purtroppo scompare il sensore con obiettivo “microscopico”. Confermato il terzo sensore Bayer Samsung S5K3M5 da 1/3.4″ e pixel da 1,0 µm con risoluzione da 13 Mpxl. Non è a periscopio, non è stabilizzato e ha una focale zoom 2x con apertura F2.4. Difficile comprendere il perché di questa scelta; ora tutti i produttori abbracciano una struttura ottica impilata verticalmente e riescono a raggiungere fino a 10x nativi (non considero i 60x e oltre digitali in quanto meri crop a sensore).
Anche l’interfaccia è pressoché la stessa, l’unica differenza è quel pulsante di scatto giallo/arancione che fa percepire la presenza di Hasselblad. In modalità Pro ora si possono utilizzare tutte e tre le ottiche e questo poter variare i parametri manualmente in wide, ultrawide e tele è un gran bel vantaggio. Due qui le novità: la prima è la presenza di un istogramma, la seconda la possibilità di zoom. Cerco di spiegarmi meglio: in Pro, a prescindere della focale prescelta, comparirà la possibilità di selezionare valori tra 1x e 2x. Faccio un esempio. Se state utilizzando l’obiettivo ultragrandangolare, schiacciando 2x non andrete a scegliere quello tele ma solo ad eseguire un crop sull’inquadratura mantenendo però le proporzioni. Stesso discorso per l’obiettivo grandangolare. Perché mai? Perché un crop su un sensore da 50 Mxpl ha un risultato migliore di quello ottenuto su un 13 Mpxl. Una scelta buona che va però ad incrementare le mie perplessità sulla volontà di non dotare Find X5 Pro di una focale zoom a periscopio.
Permane la possibilità di applicare filigrane, scattare in High Res a 50 Mpxl (di default l’immagine è da 12.5 Mpxl dato che viene utilizzato il Pixel Binning) e di salvare file HEIF con profondità colore 10-bit per essere visualizzati anche su monitor esterno professionale oltre che su quello dello smartphone. Identiche anche le capacità video: 4K 30/60fps e Full HD 30/60fps con possibilità di registrare in Log.
Possiamo considerare le misurazioni di laboratorio una fotocopia di quelle fatte su Find X3 Pro? Ebbene sì, senza ombra di dubbio. Il chip MariSilicon X va infatti a gestire i processi di elaborazione attraverso la AI che però per i miei test viene esclusa. Rimane quindi l’eccellente qualità nella gestione del rumore che tanto mi stupì lo scorso anno.
La fotocamera principale ha un sensore Quad Bayer Sony IMX766 da 1/1.56″ e pixel da 1.0µm con risoluzione da 50 Mpxl con obiettivo grandangolare equivalente ad un 25mm con apertura F1.7. Quel piccolo passo avanti in termini di luminosità è solo nominale, non vi è un effettivo apporto al miglioramento o al deterioramento dell’immagine; una conferma l’incredibile tenuta della risoluzione fino a 1600 ISO.
La fotocamera secondaria ha lo stesso sensore Quad Bayer Sony IMX766 da 1/1.56″ e pixel da 1.0µm con risoluzione da 50 Mpxl; qui l’obiettivo è ultragrandangolare equivalente ad un 16mm F2.2. La gestione del rumore è invidiabile per un ultrawide, nonostante la risoluzione la lettura lw/ph sia inferiore.
Buono è anche il sensore Bayer Samsung S5K3M5 da 1/3.4″ con pixel da 1,0 µm e risoluzione da 13 Mpxl posto davanti alla focale zoom 2x con apertura F2.4.
XPan everything. Mai più senza. Ma prima, una brevissima cronistoria. Hasselblad XPan fece il suo debutto sul mercato nel 1998 con la particolare caratteristica di essere una 35mm in grado di scattare in doppio formato sullo stesso rullo: 24×36 e 24×65. All’epoca questa soluzione aveva del rivoluzionario. Permise ai fotografi di avere un panorama completo della scena con un’attrezzatura che pesava meno di un chilogrammo ma soprattutto di non doversi porre il problema della pellicola. Il progetto originario era però marchiato Fujifilm: XPan era una versione identica in tutto e per tutto di una TX-1. Uniche differenze tra le macchine della casa svedese e di quella giapponese è che la prima distribuì quel modello in tutto il Mondo mentre la seconda lo costrinse unicamente al mercato nipponico.
Inutile dire che la modalità XPan ha subito catturato la mia attenzione. Certo, è tutto a livello software, ma mi ha sempre affascinato questo taglio panoramico molto cinematografico; e poi la color science è qui stata studiata da Hasselblad..anche se non è dato sapere sulla base di quale pellicola. In ogni caso il risultato secondo me è pregevole sia a livello creativo che cromatico, sia in orizzontale che in verticale. L’interfaccia in questa funzione ricalca fedelmente quello che si poteva vedere guardando nel mirino a telemetro della vera XPan, un rettangolo con bordi abbastanza marcati per facilitare la composizione. Si può usare solo in modalità automatica ma non è una gran pecca.
L’esposizione e la gestione di questi colori un po’ desaturati stile pellicola è piacevole sia scattando a colori che in bianconero, tanto che ho sempre duplicato le scene che avevo di fronte a me. Mi sono fatto prendere la mano, lo ammetto. Ad un certo punto mi sono addirittura obbligato a smettere, per non aver tutto solo in formato XPan.
Perché? Perchè a conti fatti tutto il resto, o quasi, è rimasto uguale al passato. Il sensore principale e quello grandangolare sono sempre al vertice della qualità. Il chip MariSilicon X che contiene la NPU (Neural Processing Unit) qui quasi non si nota se non per essere molto più preciso nell’applicare le texture alle immagini. Ricordate che su Find X3 Pro c’erano piccole sbavature nelle maschere? Su Find X5 Pro non ci sono, quindi problema risolto. I colori sono rimasti molto fedeli al reale, merito del sensore spettrale a 13 canali che offre un bilanciamento del bianco più preciso, nonostante si noti una certa saturazione e una predominanza dei blu quando il sole è alto nel cielo.
All’imbrunire continua l’ottima gestione dell’esposizione. Proprio come su Find X3 Pro anche qui il chip non va ad alzare o abbassare gli ISO, il che rischierebbe di sovra o sottoesporre lo scatto, ma agisce sugli EV anche se non si è in modalità HDR; continua ad essere l’unico smartphone a comportarsi così, benissimo. In notturna ugualmente bene anche se non ci sono grandi passi avanti rispetto al passato. Anzi, in questo caso un leggero passo indietro però c’è ed è lo zoom. Oppo crede che una struttura “classica” sia ideale per regalare immagini più nitide in condizioni di scarsa luminosità. Ma a conti fatti non risulta migliore della concorrenza; i neri sono molto chiusi, i bianchi troppo aperti e si percepisce anche un po’ di rumore.
La modalità Macro sorprendentemente non utilizza la fotocamera principale ma quella secondaria, quindi quella davanti all’ottica ultrawide, andando a ritagliare la porzione necessaria del frame. La qualità ovviamente non ne risente ma è apprezzabile “il respiro” dato all’immagine rendendo i soggetti più grandi nell’inquadratura.
Ammetto di essere in difficoltà questa volta. Questo smartphone è sempre al vertice delle aspettative: qualità d’immagine ottima, chip di elaborazione estremamente potente, una modalità XPan che verrebbe voglia di utilizzare sempre. E poi un design curato in ogni particolare, sicuramente molto difficile da realizzare. Ma Find X5 Pro ha il freno a mano tirato, o quasi. Ad effettiva parità di prestazioni fotografiche, le novità rispetto a Find X3 Pro sono la scocca, il processore MariSilicon X – pazzesco se scattate o registrate con gli automatismi e più preciso nell’applicare le texture AI ma che nella gestione giornaliera non percepirete – e una modalità fotografica dal sapore vintage. E considerando che il “vecchio” modello scenderà di prezzo..