A conti fatto P20 Pro è stato sicuramente il miglior “cameraphone” mai prodotto da anni a questa parte. Almeno fino a quando non ho messo mano a Huawei P30 Pro.
La situazione odierna di Huawei è sotto gli occhi di tutti da giorni ormai, da quando Trump ha posizionato il colosso cinese delle telecomunicazioni in una blacklist commerciale con restrizioni che renderanno estremamente difficile per la società fare affari con controparti statunitensi, in primis con Google ma anche con Intel Corp, ARM, Qualcomm Inc, Xilinx Inc e Broadcom Inc. Se è vero che in Cina non risentiranno della mancanza di Google (a questo link la lista dei siti bloccati in Cina), il contraccolpo verrà invece percepito sia in USA ma soprattutto in Europa, dove Huawei fa la voce grossa da anni a questa parte. Ma questo probabilmente sarà un problema futuro, la situazione è ancora molto incerta e non ci sono conferme per cui gli odierni possessori di un Huawei o chi avrà intenzione di acquistare uno smartphone che l’azienda ha presentato e commercializzato prima di maggio (Huawei P30 Pro ad esempio è stato presentato in data 26 marzo) non dovranno temere alcun malfunzionamento. E questa puntualizzazione arriva proprio da Google: “Per gli utenti dei nostri servizi, Google Play e le protezioni di sicurezza di Google Play Protect continueranno a funzionare sui dispositivi Huawei esistenti, compresi gli aggiornamenti.”
Sono ormai due mesi che ho questo device. Fino a prima di ricevere P30 Pro ho utilizzato per circa un anno P20 Pro e, come dimostra anche la prova che ho scritto a suo tempo, sono stato entusiasta di questo device: ok, non sono mai stato un fan della AI in abito fotografico, ma a conti fatti P20 Pro è stato sicuramente il miglior “cameraphone” mai prodotto da anni a questa parte. Almeno fino a quando non ho messo mano a Huawei P30 Pro. Tre aspetti che identificano i miglioramenti fatti sono il nuovo sensore RYYB, la tecnologia a periscopio che permette uno zoom 5x di qualità e il doppio chip di intelligenza artificiale NPU.
Huawei P30 Pro si presenta con un display Oled Full HD + con supporto HDR (2340 x 1080) da 6.5” leggermente curvo ai bordi, processore Kirin 980 con doppia NPUe 8 GB di Ram, connettore USB-C, ricarica SuperCharge (40 W) e Wireless Quick Charge (15 W), certificazione IP67 e Android 9.1 Pie installato. A differenza di Mate 20 Pro non presenta un notch importante sulla parte superiore dello schermo, bensì solo un piccolo foro che contiene la fotocamera frontale da 32 Mpxl. Il display, essendo un Oled, garantisce livelli perfetti di nero praticamente assoluto, un rapporto di contrasto infinito e una temperatura colore che sfora i 7500K; inoltre copre il 100% dei valori sRGB, il 90% di Adobe RGB e il 99% DCI-P3 per cui, nell’ipotesi che qualcuno voglia stampare le immagini scattate con P30 Pro queste non presenterebbero grosse differenze da quelle viste in anteprima sullo schermo. Huawei P30 Pro ha tre fotocamere nella parte posteriore: la principale con ottica grandangolare equivalente ad un 27mm con sensore da 40 Mpxl, la ultra grandangolare equivalente ad un 16mm con sensore da 20 Mpxl e quella adibita allo zoom equivalente ad un 125mm con sensore da 8 Mpxl. A fianco dei tre sensori principali c’è il flash Led. Subito sotto il flash però troviamo il quarto sensore chiamato ToF (Time of Flight) che è specificatamente stato implementato per migliorare la resa dello sfocato sui soggetti o il panorama in secondo piano.
Il nuovo grande sensore principale di Huawei P30 Pro è sì un CMOS da 1/1.7” da 40 Mpxl con apertura f/1.6 e una focale equivalente ad un 27mm ma decisamente differente da quelli montati su P20 Pro (lab test a questo link) e Mate 20 Pro (lab test a questo link): il QuadBayer, denominato SuperSensitive, presente su P30 Pro è infatti stato modificato nell’architettura e al posto di due subpixel verdi ha due subpixel gialli (RYYB). Ma come mai questo azzardo? Per spiegarlo al meglio bisogna partire da lontano. Siccome il classico sensore con filtro di Bayer generava interferenze tra pixel vicini (crosstalk) a causa delle sue ridotte dimensioni (ricordiamoci che i sensori smartphone vanno da 1/2.3” a 1/1.7” massimo), Huawei ha deciso di passare al più datato Quad Bayer che raggruppa i pixel a gruppi di quattro, permettendo di sfruttare meglio superfici così ridotte.
Basandosi su questo disegno Huawei ha poi deciso di sostituire il verde con il giallo. Idea quantomeno azzardata, almeno guardando il panorama odierno della fotografia fermo al classico schema. L’idea al colosso cinese è venuta sfruttando un brevetto del 2014 (non suo): sostituendo il filtro verde con il filtro bianco a pigmenti gialli si può notevolmente migliorare la sensibilità dei fotoricettori. In svariati rumors comparsi online si vociferava che anche Leica starebbe studiando questa soluzione per le sue fotocamere, ma chiaramente sono solo voci che ad ora restano infondate – ricordiamo che Huawei ha una partnership con Leica per lo sviluppo degli obiettivi: l’azienda tedesca fornisce i disegni e ne controlla la realizzazione (siamo anche stati a Wetzlar anni fa per un approfondimento su Mate 10 Pro), l’azienda cinese li realizza attraverso la Sunny Optics.
Come anticipato Huawei P30 Pro ha tre fotocamere nella parte posteriore: la principale grandangolare con sensore da 40 Mpxl, la ultra grandangolare con sensore da 20 Mpxl e quella adibita allo zoom con sensore da 8 Mpxl. Il sensore da 40 Mpxl con obiettivo equivalente da 27mm e apertura f/1.6 si avvale però di una nuova struttura QuadBayer nella quale sono stati sostituiti i due subpixel verdi a beneficio di due gialli. Rispetto a P20 Pro, P30 Pro perde qualche linea per altezza del sensore, per cui ha una risoluzione leggermente più bassa e va a perdere alcuni minuscoli dettagli (perlopiù impercettibili all’occhio); anche il rumore è leggermente maggiore ma sale in maniera molto più graduale, il filtro di riduzione non entra drasticamente per cui è molto meglio gestito su questo modello. Di ottimo c’è che la distorsione è inesistente.
Il sensore da 20 Mpxl con obiettivo equivalente ad un 16mm con apertura f2./2 dà i migliori risultati di giorno e fino ad un masismo di 400 ISO, da questo valore in poi la risoluzione cala abbastanza drasticamente ma rimane costante fino ai 3200 ISO. In ogni caso la risoluzione rimane estremamente elevata e il rumore la segue passo passo in maniera costante.
La distorsione è a cuscinetto e, caratteristica principale delle ottiche ultragrandangolari, è particolarmente accentuata..ma è anche il suo bello.
Il sensore da 8 Mpxl con obiettivo equivalente ad un 125mm con apertura f/3.4 ha invece una risoluzione di gran lunga inferiore, come dimostrano le linee per altezza rilevate dal software, ma anche qui i valori del rumore salgono in maniera costante: fino ad 800 ISO sono nella norma, dai 1600 ISO fino ai 6400 ISO salgono abbastanza drasticamente. Guardando questo grafico, rispetto ai precedenti, sembrerebbe che un così elevato rumore renda insoddisfacente l’utilizzo della focale 5x, ma in realtà non è così.
La distorsione è invece davvero contenuta.
Il nuovo sensore montato su P30 Pro sembra funzionare in maniera perfetta. Ed è una cosa estremamente positiva visto il rischio che si è presa Huawei, soprattutto se si pensa che già la fotocamera di P20 Pro era forse la migliore sul mercato..e non solo al momento del lancio, ad ora, ovvero un anno dopo, è ancora di gran lunga più performante di quella montata su altri device concorrenti lanciati mesi e mesi dopo. Ma Huawei pare avercela fatta anche questa volta. Nell’utilizzo quotidiano è una grande conferma: di giorno le foto sono molto nitide, cromaticamente fedeli, ricche di dettagli e mai troppo contrastate anche se si utilizza la AI. Ma se è vero che di giorno gli scatti risultano quasi perfetti, di notte qualche pecca relativa a questa estrema sensibilità c’è. Night Mode risulta ottimale in condizioni di luce praticamente assente e in modalità video, ma chiaramente il rovescio della medaglia è che in presenza di molteplici fonti di luce (come per esempio lampioni o palazzi illuminati) le foto risultano davvero tropo chiare, quasi a giorno.
Ciò che però contraddistingue di più Huawei P30 Pro, almeno per un utilizzatore finale che non si fa troppi problemi sul come un sensore è sviluppato, è lo zoom “ottico”. Facciamo un passo indietro di qualche anno però, poiché questa nuova tecnologia la dobbiamo ad Oppo che ha pensato di brevettare lo zoom a periscopio. Fino a poco tempo fa infatti i device high end erano in grado di eseguire zoom “(non proprio) decenti” fino ad un massimo di 2x. Chiaramente i limiti su sensore così piccoli erano evidenti, per cui in molti (in primis Huawei) hanno deciso di sopperire utilizzando sensori più grandi e più capienti di pixel, come appunto P20 Pro, superando momentaneamente i limiti dello zoom: perché scattare con la fotocamera zoom quando il sensore principale fornisce un file estremamente definito e possibile di crop? Io stesso ho sempre utilizzato questo escamotage, andando a ritagliare l’immagine che volevo da un file più grande. Questo era chiaramente un “aggirare il problema”, cosa risaputa nel settore. Oppo ha avuto il pregio di studiare un’altra architettura: sensore e obiettivo verticali rispetto alla scocca e prisma in grado di riflettere la luce sulle lenti. Grazie a questo nuovo form factor infatti risulta possibile avere uno zoom digitale fino a 5x, un ingranditore. Ma non era “ottico”? No, non propriamente. Il termine ottico è utilizzato in maniera impropria in quanto non ci sono elementi ottici mobili all’interno dello smartphone, la struttura è fatta di lenti fisse delle quali alcune convesse disposte verticalmente (una struttura orizzontale avrebbe aumentato a dismisura lo spessore del device) con un prisma che riflette la luce con un angolo di 90°: in sostanza, all’interno di P30 Pro c’è un’ottica fissa da 125 mm davanti ad un sensore di 8 Mpxl, sostanzialmente quindi il device ha una seconda focale. E sia ben chiaro, i pregi derivanti da questa architettura sono davvero tanti. Questa puntualizzazione, doverosa anche perché io stesso al momento del lancio ho parlato di zoom ottico, per mettere i puntini sulle i.
Ma tra 1x e 5x ci sono tanti passaggi intermedi e per creare un’immagine per esempio a 3x, P30 Pro utilizza la fotocamera principale da 40 Mpxl (fattore zoom 1x) e quella zoom da 8 Mpxl (fattore zoom 5x) contemporaneamente durante lo scatto: l’ottica 5x fornisce l’immagine al centro mentre quella 1x si occupa dell’ambiente circostante, infine il software ritaglia dove serve. Se su P20 Pro zoomare senza perdere qualità non era un’opzione percorribile, su P30 Pro invece il file non è affatto male: la qualità c’è, l’immagine risulta pulita e cromaticamente fedele Due limiti però ci sono: l’elevato rumore – il sensore ha una bassa risoluzione e le numerose lenti dell’obiettivo vanno solo ad ingrandire la scena, non certo a migliorarla – e la ridotta profondità di campo. Però rispetto al classico “digitale”, non c’è assolutamente paragone: questa nuova struttura a periscopio dà un piacevolissimo risultato e il file è assolutamente utilizzabile – utopia per i modelli precedenti. Tanto per fare un esempio, il file ottenuto con zoom 5x è nettamente migliore del risultato ibrido dello zoom 2x – esageratamente piatto – sia in interni che in esterni. Il poter finalmente utilizzare un 125 mm equivalenti senza dover lesinare sulla qualità generale è davvero un grande passo avanti per l’industria smartphone, una cosa che prima mancava e che sicuramente verrà fortemente sviluppata in futuro, almeno spero.
Altra new entry per la serie P è senza dubbio la focale grandangolare, che ha fatto la sua comparsa negli smartphone Huawei con Mate 20 Pro. Il sensore da 20 Mpxl è quindi accoppiato ad un obiettivo con apertura f/2.2 equivalente ad un 16 mm. Come ho già detto quando ho analizzato Mate 20 Pro, nonostante mi senta molto orfano del sensore monocromatico, la versatilità di questa soluzione è estrema: permette di allargare il punto di vista nella fotografia panoramica, ma soprattutto di avvicinarsi ai soggetti e creare “qualcosa di diverso” anche nella fotografia street. Anche perché, a conti fatti, il viraggio in bianco e nero è sempre possibile tramite le app di editing, cosa che non si può dire riguardo al cambio di focale.
Non sono mai stato un grande fan della AI (come ormai siamo soliti chiamarla anche se non è vera e propria intelligenza ma unicamente algoritmi) abbinata alla fotografia mobile. Ne ho parlato quando ho scritto la recensione di P20 Pro: colori troppo saturi e poco fedeli alla realtà, che in determinate situazioni (come ad esempio in presenza di forti riflessi) sfociavano in un vero e proprio purple fringe. Ma sul vecchio P la NPU era una sola e aveva i limiti della “novità”. Su Mate 20 Pro i passi avanti sono stati notevoli e i chip NPU (Neural Processing Unit) sono raddoppiati. I miglioramenti sono stati subito visibili: il software era infatti in grado non solo di riconoscere più scene ma di riconoscere gli elementi al loro interno, andando a variare le cromie in maniera precisa e non su tutto il frame come accadeva precedentemente. Unico limite, un eccessivo contrasto. Su P30 Pro le cose migliorano nuovamente: i colori sono incisivi ma fedeli, i blu e i verdi (talloni d’Achille nei modelli precedenti) non sono esageratamente contrastati, ciò merito in larga parte del sensore di nuova concezione RYYB. La AI si può sempre escludere, ma se inserita praticamente non viene percepita dall’utente: “Quando l’arbitro non si nota vuol dire che i protagonisti stanno svolgendo alla perfezione il loro compito” (citazione di un celebre addetto ai lavori contemporaneo, per non fare nomi). Inoltre ora riesce a rilevare anche situazioni complesse come “Auto” o “Auto in movimento” o addirittura “Super Macro”, segno che la NPU è stata notevolmente istruita su svariati aspetti della vita comune e non si attiene più alla semplice scena. Per cui anche io, che fino a qualche modello fa non utilizzavo il riconoscimento scene della AI, mi sono dovuto ricredere e ora in modalità automatica la lascio attiva. In modalità “Ritratto” P30 Pro fornisce un risultato molto più preciso di P20 Pro, merito del nuovo sensore ToF (Time of Flight) posizionato subito sotto il flash che analizza la scena tramite infrarossi: più tempo passa perché il dato torni al processore, più il soggetto in secondo piano sarà distante e sfocato. Questa analisi è precisa anche se ancora qualche dettaglio del soggetto in primo piano viene perso..ma sono particolari molto trascurabili. Sicuramente anche questa è una funzione che subirà notevoli aggiornamenti sui modelli futuri della serie P.
Huawei P30 Pro è uno smartphone apprezzabile per molti aspetti: display grande e definito, ricarica ultra veloce e ad induzione, resistente all’acqua (dolce ovviamente), design e materiali ricercati. Quello che eleva però i device di questa azienda è l’attenzione data al comparto fotocamera, di cui Huawei ha sempre fatto fiore all’occhiello e grazie al quale è diventata termine di paragone per la concorrenza. E a conti fatti, soprattutto al giorno d’oggi, uno smartphone si acquista anche e soprattutto per le immagini che riesce a produrre. Ben fatto quindi, Huawei P30 Pro è l’ennesimo smartphone migliore dell’azienda.