Ad ottobre Google ha presentato i suoi nuovi smartphone, Pixel 4 e Pixel 4 XL: entrambi con doppio sensore – uno grandangolare Dual Pixel da 12 Mpxl e uno tele da 16 Mpxl, modalità Live HDR, modalità Astrofotografia per le foto notturne al cielo stellato, nuovi algoritmi di Deep Learning e controlli aggiuntivi per il tone mapping nell’interfaccia fotocamera.
Nella quarta generazione Pixel, Google introduce quindi il secondo obiettivo..ma non solo, perché rispetto ai Pixel 3 gli algoritmi di machine learning sono stati aggiornati ed ora il risultato fotografico è molto più preciso rispetto al passato. Inoltre la seconda fotocamera non è utilizzata singolarmente, ma lavora sempre in coppia con la principale per fornire dati migliori per quanto riguarda la profondità di campo. Su Pixel non esiste una modalità manuale, non si possono variare i parametri di scatto, bisogna affidarsi completamente agli algoritmi di machine learning con i quali è stato addestrato il software per poter immortalare le scene di fronte a noi..e la cosa funziona particolarmente bene. Pixel 4 è un tributo alla fotografia computazionale.
Pixel 4 ha un corpo in alluminio con rivestimento in Gorilla Glass 5 lucido (nel caso della versione Black fornitami da Google) nella parte posteriore, un display da 5.7″ con risoluzione Full HD+ (1080 x 2280 pixel), rapporto 19:9, 441 ppi e frequenza di aggiornamento a 90 Hz con rapporto display/bordi di poco più dell’81%, un processore Qualcomm Snapdragon 855 con 6 GB di RAM e 64 GB o 128 GB di memoria interna non espandibile, porta USB-C e batteria da 2800 mAh. Il tutto in un corpo da 147mm di lunghezza, 69mm di largezza e con uno spessore di soli 8mm, dimensioni incredibilmente compatte per uno smartphone, pur se di piccola taglia come questo. Ma se sulla carta queste specifiche sono interessanti, ci sono dei contro tutti legati alla scarsa autonomia data dalla batteria – molto probabilmente una scelta legata alle dimensioni della scocca nella quale è stata inserita e forse il più grande limite di questo device.
Strettamente collegate alla batteria sono infatti le prestazioni del display: da Motion Sense alla frequenza di aggiornamento. Motion Sense è una suite di funzioni permesse da un particolare sensore (chiamato radar) posto sul notch superiore del display: dall’utilizzo del viso per i pagamenti digitali alla navigazione sulle app tramite gesture. Ma il riconoscimento facciale avviene principalmente attraverso il sensore ad infrarossi, radar serve più come un sensore di prossimità: Pixel 4 infatti riesce a “capire” quando si è vicini al telefono e quando si allunga la mano per prenderlo, preparando il display ad assere sbloccato. Motion Sense funziona davvero bene, talmente bene che accende il display anche solo voltandosi verso di esso e ciò comporta un costante altalenarsi di acceso/spento che va ad infierire sull’autonomia della batteria. Altro aspetto che incide non poco è la frequenza di aggiornamento che non è costante a 90 Hz come vogliono i comunicati stampa ma oscilla tra i 90 Hz e i 60 Hz non solo a seconda del contenuto visualizzato – sia esso un’app, un gioco od un video – ma anche a seconda della luminosità presente nell’ambiente circostante. Visivamente il cambio di frequenza non si nota ma si “sente” in quanto il telefono perde di reattività e fluidità rispetto a ciò che si sta vedendo sia esso un video o un gioco. Google ha comunicato ufficialmente che il mantenere una frequenza di 90 Hz andrebbe a drenare eccessivamente la batteria, ma anche un continuo passaggio da una frequenza all’altra di certo non sembra la soluzione ottimale. Principalmente per questi due motivi la batteria da 2800 mAh è messa molto sotto stress, talmente tanto che nell’arco di una giornata bisognerà caricare questo device almeno una volta per arrivare comodamente a sera. Il connettore USB-C di Pixel 4 ne consente la ricarica veloce tramite il cavo fornito nella confezione ma bisogna stare attenti ad averlo sempre con sè perché questo device non supporta tutti i caricabatterie indistintamente: ad esempio quello dei telefoni Huawei non lo è, quello dei Samsung sì. Cosa davvero pregevole a livello hardware è sicuramente l’impianto audio posto nella parte inferiore della scocca. Pixel 4 produce uno dei suoni più puliti che io abbia mai sentito su uno smartphone sia in cuffia sia tramite altoparlante, che sia stia guardando un film oppure ascoltando musica..anche tramite app.
Pixel 4 è un vero e proprio cameraphone pur non essendolo – dato che non ha nessuna modalità Pro per cui non si possono impostare i parametri di scatto maualmente: ciò che Google è riuscita a fare con la fotografia computazionale è sorprendente. L’aggiunta di un obiettivo tele è cosa gradita soprattutto per andare a migliorare l’immagine quando si decide di zoomare, le modalità Night Sight e Astrofotografia funzionano ottimamente e l’IA migliora le immagini senza per questo rovinarle con colori eccessivamente accesi o poco reali. La fotocamera posteriore principale non è cambiata rispetto a Pixel 3: sensore Dual Pixel (con pixel da 1.4 μm) da 12 Mpxl e obiettivo con campo visivo di 77° con apertura f/1.7, messa a fuoco a rilevamento di fase e stabilizzazione ottica ed elettronica. A questa ne è stata aggiunta una seconda con sensore da 16 Mpxl (con pixel da 1 μm) e obiettivo con campo visivo di 52° con apertura f/2.4, anche lei con messa a fuoco a rilevamento di fase e stabilizzazione ottica ed elettronica. Quale fotocamera utilizzare per lo scatto non è permesso: l’obiettivo tele permette di migliorare la resa dello zoom digitale 8x, secondariamente affina la modalità Ritratto permettendo una migliore mappatura della profondità di campo – per cui in formato 4:3 si otterrà sempre un file da 12 Mpxl.
Su Pixel 4 tutto ruota attorno agli algoritmi di Deep Learning implementati grazie ai quali il riconoscimento delle scene, come la modalità notturna, e l’applicazione di effetti particolari, come lo sfocato ai ritratti, sono diventati particolarmente precisi. Google punta tutto sulla fotografia computazionale ed è praticamente certa dei risultati, dato che i Pixel 4 sono dotati della sola modalità automatica e una modalità Pro (o manuale che dir si voglia) non esiste..è per questo che il nostro lab test è stato eseguito solo sulla risoluzione, per giunta con esposizione automatica: senza la possibilità di variare parametri quali l’otturatore e la gamma ISO è impossibile poter valutare le potenzialità del comparto fotocamera. Per questo motivo mi sono dovuto basare solo sulle immagini. La cosa davvero molto interessante che si evince dall’unica misurazione svolta è l’incredibile capacità risolvente del sensore: 3680 lw/ph, un valore di molto superiore rispetto a quello rilevato su Xperia 1 (a parità di sensore da 12 Mpxl) e leggermente superiore di quello rilevato su Huawei P30 Pro (che però arriva a 40 Mpxl). Ultimamente siamo sempre più ricettivi ai grandi proclami relativi a quanti pixel ci siano su un nuovo prodotto, 20 Mpxl, 30 Mpxl, 40 Mpxl, 100 Mpxl..non che questo sia un male, ma non dobbiamo dimenticare che non sempre è tutto legato al valore nominale del sensore: questa misurazione dimostra che il 12 Mpxl, considerato fino a due anni fa il break even per avere la miglior risoluzione ed il minor rumore possibile ed ora quasi accantonato dalla maggior parte delle aziende in favore di sensori più fitti, ha ancora molto da dire soprattutto se coadiuvato da un ottimo sistema di elaborazione dell’immagine.
Per la modalità Ritratto vengono utilizzate le informazioni provenienti dai due sensori, successivamente il machine learning ne analizza i dati per fornire la più precisa immagine possibile. Il funzionamento così descritto sembra molto semplice ma in realtà così non è. Per ottenere la prima immagine da analizzare si utilizza il sensore principale da 12 Mpxl con sistema di messa a fuoco Dual Pixel: ogni fotodiodo è diviso in due per cui riceve due informazioni, due viste della stessa scena leggermente differenti che una volta allineate forniscono una singola immagine a fuoco.
Per determinare con precisione ciò che si trova in secondo piano vengono invece utilizzati entrambi i sensori, quello principale da e quello secondario da 16 Mpxl: i due si trovano molto distanti sulla scocca l’uno dall’altro, precisamente 13mm, ma questa distanza è fondamentale per aumentare la parallasse e quindi stabilire con più precisione ciò che si trova in primo e ciò che si trova in secondo piano. A questo punto il software ha due informazioni – quella ottenuta dal sensore Dual Pixel e quella ottenuta dalla doppia fotocamera – che monterà assieme per ottenere un’immagine del soggetto principale molto dettagliata e uno sfondo sfocato non esageratamente finto, molto preciso anche in angoli e trame solitamente difficili per il machine learning.
Night Sight è invece la modalità notturna che si attiva automaticamente in condizioni di luce scarsa e che permette di scattare foto praticamente al buio e senza la necessità di un piccolo treppiede o di un supporto dove appoggiare il telefono. Fino a qui nulla di particolare, già altri device sono in grado di svolgere lo stesso mestiere: una volta premuto il pulsante di scatto Pixel 4 si “congela” per circa 5 secondi, il tempo necessario per scattare più fotogrammi a diverse esposizioni che poi il software monterà in un’unica immagine correggendo i movimenti della mano e simulando così una stabilizzazione.
La cosa che invece altri non hanno è la modalità Atrofotografia. Si attiva anche solo montando il telefono su un treppiedi e puntandolo verso il cielo stellato in totale assenza di inquinamento luminoso – non devono esserci fonti di luce particolarmente forti nelle vicinanze, per cui bisogna allontanarsi dalla città per poter ottenere qualche risultato: anche la Luna piena può rendere difficoltoso questo tipo di scatto. Per riuscire ad ottenere una foto delle stelle mantenendole puntiformi senza che queste vengano trasformate in scie luminose a causa della lunga esposizione continua, gli ingegneri Google hanno deciso di utilizzare più scatti con tempi di esposizione abbastanza brevi: Pixel 4 scatta 15 fotogrammi da 16 secondi ciascuno, per un totale di circa 4 minuti. Il “circa” è perché nella pratica c’è qualche secondo in più da attendere per visualizzare il risultato, tempo necessario a Pixel 4 per elaborare i dati. Il software però non si limita a montare più immagini in una ma anche a correggerle: in fase di scatto la fotocamera esegue due foto per rilevare automaticamente il punto di messa a fuoco ma se il sistema AF non rileva un soggetto vicino metterà a fuoco all’infinito; in post invece, per ovviare al problema degli hot pixel, una volta rilevato un valore anomalo questo viene nascosto sostituendo il suo valore con la media dei valori dati dai pixel vicini. Tutto ciò, grazie al deep learning basato su circa 100.000 immagini campione, produce una foto notturna a dir poco spettacolare per essere fatta da uno smartphone.
Come detto su Pixel 4 non c’è un obiettivo ultragrandangolare, un peccato dato che – a partire da quei pionieri di LG – ormai tutte le aziende lo sfoggiano sui loro device di punta. Oltre a Ritratto e Astrofotografia, un occhio di attenzione è stato riservato a Macro ma non è una funzione che si può selezionare ma automatica; Pixel 4 riesce a mettere a fuoco da una distanza di pochi centimetri con risultati davvero ottimi: non solo il soggetto principale è straordinariamente a fuoco ma il secondo piano (sempre grazie al machine learning) è piacevolmente sfocato con molta precisione.
Pixel 4 scatta sempre in HDR, funzionalità che non si può escludere dalle impostazioni: il software scatta e monta più immagini con diverse esposizioni in tempo reale. Non sono mai stato un grande estimatore dell’HDR ma devo ammettere che su Pixel 4 rende bene: a prescindere da condizioni di luce limite, come le albe e i tramonti nei quali i rossi sono davvero eccessivi, durante il giorno e all’imbrunire i colori sono abbastanza reali e mai troppo saturi – un risultato davvero piacevole. L’unico modifica possibile da apportare in fase di scatto è la regolazione di luminosità e ombre attraverso due cursori posti nell’interfaccia fotocamera e visibili a display: la possibilità di aprire o chiudere le ombre è particolarmente interessante dato che è la prima volta che compare su uno smartphone.
Ma tutte queste foto vanno archiviate. Pixel 4 è disponibile in due versioni, con memoria interna da 64 GB o 128 GB non espandibile tramite Micro SD: un po’ poco per gli standard odierni che ne vogliono almeno il doppio. Inoltre in passato Google garantiva uno storage su cloud illimitato anche se le immagini venivano caricate a piena risoluzione, ora invece sembra aver fatto un passo indietro: lo spazio su cloud Google Foto è ancora illimitato ma solo per immagini ad “alta risoluzione” (non piena), ovvero non di piccola taglia ma pur sempre compresse in qualche modo. Se prima quindi ci si poteva avvantaggiare di uno spazio infinito per salvare le proprie foto, rendendo inutile l’avere un device con una grande memoria interna, ora purtroppo non è più così.
Google Pixel 4 non è una versione “base” di Pixel 4 XL, è un dispositivo di punta..solo più compatto. Nonostante questo, i Pixel hanno diviso molto l’opinione pubblica perché non sembrano un vero e proprio aggiornamento rispetto ai modelli precedenti se non per la presenza di un secondo obiettivo. In realtà condivido solo in parte queste critiche. Oltre all’esperienza Google più fluida e intuitiva possibile, Pixel 4 offre un’ottima fotocamera permeata di algoritmi automatici davvero molto affidabili: resa dei colori quasi perfetta in HDR con risultati molto fedeli al reale, effetto sfocato estremamente preciso anche in condizioni limite e modalità per l’astrofotografia inedita per uno smartphone. Sicuramente anche i Pixel 3 potranno avere queste funzioni con un aggiornamento, ma non saranno mai così precise come su Pixel 4. È vero, all’appello manca un obiettivo ultragrandangolare – che se ben utilizzato amplia la creatività del fotografo, soprattutto per le immagini a soggetti ravvicinati – ma in generale per i paesaggi è preferibile la modalità Panorama a 16:9. I limiti sono tutti nella longevità della batteria: con un utilizzo “normale” il device non arriva a sera e si è costretti a ricaricarlo..per giunta portandosi sempre dietro il suo caricabatterie, dato che la compatibilità con terzi non è garantita; dato poi che l’archiviazione su Google Foto non è più illimitata, anche il risicato spazio di memoria interna (non espandibile) non è da sottovalutare.