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La questione del nudo nella fotografia di danza è delicata, ma neanche tanto quanto si potrebbe pensare. Questo perché sia nei danzatori che nel pubblico appassionato prevale la consapevolezza del corpo e della sua valenza, per cui nessuno grida allo scandalo davanti al nudo in scena. Nei rari casi in cui succede, è sempre qualcuno di estraneo al mondo della danza. Naturalmente il fotografo deve cogliere il messaggio, senza travisarlo. Qui abbiamo in scena Federica D’Aversa, nello spettacolo “Cuma”. Esposizione: 1/30s, f/2,8, ISO 2500 alla focale di 52mm (equivalente a 78mm).

Come fotografare la danza: le cose da sapere

Movimento, luce e messa a fuoco. Sono questi gli aspetti condizionano le intenzioni del fotografo e mettono a dura prova il mezzo tecnico, fino a superarne talvolta i limiti.

Dario Bonazza | 6 Gennaio 2025

Come fotografo di scena, mi trovo a seguire da parecchi anni la danza (ma anche la musica e il teatro) della mia zona, soprattutto in occasione di festival. Non è infrequente che in occasione di un festival di danza mi sia chiesto di fotografare trenta-quaranta spettacoli, in ambienti e condizioni diversissime tra loro, nell’arco di dieci giorni. E tutti vanno raccontati con cura e passione, per valorizzare il lavoro che c’è dietro.

Naturalmente bisogna sempre fare i conti col movimento. È quello che valorizza il soggetto, ma è anche quello che impegna il fotografo. Ho detto una banalità? Forse, ma avrete a che fare con soggetti che si muovono in fretta, spesso con poca luce e con problemi di messa a fuoco. In effetti, non mi viene in mente nessun altro ambito dove questi aspetti condizionino così pesantemente le intenzioni del fotografo e mettano così a dura prova il mezzo tecnico, fino a superarne talvolta i limiti. Il caso più vicino è certamente quello dello sport indoor, ma almeno lì la luce è fissa. Nella danza non è detto e, anzi, nella danza contemporanea troverete le più ostiche combinazioni tra scarsa illuminazione, luci variabili per intensità e colore e movimento rapido dei soggetti, oltre a momenti di buio totale. In mezzo a tutto questo bailamme imprevedibile, non dovrete perdere il momento saliente di un’azione, quello che tante volte racconta tutta la storia. E questo potrebbe arrivare con un lampo di luce nel buio completo, perché spesso l’intento è proprio quello di sorprendere il pubblico.

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Questa è sì una foto di danza, ma organizzata in proprio dal fotografo a Times Square (New York City) in mezzo al traffico della metropoli. Ho trovato una danzatrice del posto (Kamila Reeder) e le ho spiegato le mie intenzioni. Esposizione: 1/160s, f/4, ISO 640 alla focale di 45mm (equivalente a 67mm).

Ecco, vorrei sottolineare subito le condizioni diverse e imprevedibili. Mi fanno sorridere quei fotografi che parlano di fotografare la danza come se ne avessero cognizione e poi si scopre che fotografano sempre e soltanto la stessa compagnia o artista, oppure sempre e soltanto nello stesso teatro. No signori, per poter davvero parlare di fotografare la danza occorre un’esperienza molto più varia: occorre aver fotografato singoli danzatori e grandi produzioni, da un metro di distanza o in un grande teatro, in esterni o in interni, di giorno o di notte, con la luce del palco o in un autobus, sotto il sole cocente o con la pioggia, e così via.

L’approccio possibile

Ovviamente, ciascun fotografo avrà la propria sensibilità, i propri gusti, il proprio talento e direi anche le proprie fisime, ma di base ci sono essenzialmente due modi di fotografare gli spettacoli: quello documentario e quello creativo. Questa è una distinzione fondamentale, sia perché comporta approcci e risultati ben diversi, sia perché gli stessi fotografi di scena arrivano a capirla spontaneamente solo dopo un certo tempo e alcuni non ci arrivano mai, orientandosi in un modo senza considerare l’altro. Con questo, non voglio dire che per ogni spettacolo ci vogliano due fotografi (anche se in effetti sarebbe l’ideale), ma che il fotografo deve porsi la questione e decidere di conseguenza.

Se l’intento è prettamente documentario (e questa è la richiesta più comune da parte delle compagnie), il fotografo tenderà a scegliersi una postazione fissa, possibilmente frontale. Così facendo si pone nella condizione dello spettatore designato e mantiene riferimenti fissi nello spazio, raccontando come si spostano i protagonisti e come procede l’azione. Anche l’esposizione e il fuoco avranno l’intento essenziale di descrivere lo spettacolo nel modo più realistico possibile, affinché la foto racconti in modo fedele ciò che vedeva lo spettatore. Questo è quanto fa tipicamente il fotografo di cronaca del quotidiano, che arriva sul posto, fa cinque-dieci scatti e se ne va. A lui interessa solo documentare che si sia svolto quel tale evento nel tal posto. Sempre più, di pari passo con l’evoluzione tecnica dei mezzi di ripresa, c’è da pensare che questo tipo di documentazione fedele da punto fisso potrebbe diventare un compito di chi fa il video, dal quale si potrà estrarre qualche fotogramma significativo e ad alta risoluzione. Ecco perché diventano sempre più importanti l’approccio creativo e il punto di vista alternativo.

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Alcuni artisti in scena danzano solo col corpo, mentre il viso è una maschera impassibile, oppure tradisce soltanto lo sforzo fisico. Invece altri recitano in pieno il ruolo che si sono dati e il viso diventa parte essenziale del racconto, per una teatralità completa. Notarlo e farne buon uso da parte del fotografo è una cosa essenziale. Qui abbiamo in scena Chiara Ameglio, nella performance “Lingua”, dove la danzatrice interagiva col pubblico. Esposizione: 1/140s, f/2,8, ISO 640 alla focale di 50mm (equivalente a 75mm).

Infatti, se c’è (anche) un forte intento creativo, lo spettacolo diventa una possibilità interessante per creare qualcosa di proprio da parte del fotografo. Con questo secondo approccio ci si prendono maggiori libertà espressive, compatibilmente con i vincoli quasi sempre imposti dalla location e/o dall’organizzazione, oltre che da quelli suggeriti dal buon senso e dal dovuto rispetto per gli artisti e il pubblico. Così diverse foto non racconteranno fedelmente lo spettacolo, ma ne daranno piuttosto un’interpretazione personalissima.

Davanti a questi scatti, mi sono capitate reazioni diversissime da parte degli artisti fotografati: c’è chi si entusiasma per una visione così originale e inaspettata, considerandola un plus e semmai chiedendo una o più foto creative per presentare lo spettacolo. Però c’è anche chi rifiuta interpretazioni troppo personali, non gradendo che l’estro del fotografo prevalga su quello dell’artista ripreso. Non credo che esista un giusto e uno sbagliato in questo: esistono le diverse sensibilità e anche qualche, comprensibile, forma di gelosia da parte dell’artista che può sentirsi prevaricato. Del resto, un “sentire” comune tra artista e fotografo si potrà avare solo con una collaborazione continuata, che non è frequente per motivi pratici.

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Questo è un esempio di foto interpretata a scopo creativo. La luce in scena era abbastanza buona e avrei potuto scegliere un tempo di sicurezza, cosa che ho fatto per altri scatti dello stesso spettacolo. Però, le macchie di colore forte mi hanno suggerito anche questa resa più “onirica” data dal tempo lungo abbinato al movimento veloce dei soggetti. Esposizione: 1/15s, f/2,8, ISO 800 alla focale di 80mm (equivalente a 120mm).

Tutto questo per dire che, a mio parere, è giusto che il fotografo di scena faccia un po’ l’uno e un po’ l’altro. Non dovrà mai mancare la documentazione fedele e senza grandi pretese, alla portata di qualsiasi fotografo del mestiere, perché questa certamente interessa all’organizzazione e alla compagnia. Tuttavia, se ci sono le condizioni e il tempo per farla, anche una certa sperimentazione estrosa non guasta. Soprattutto se lo spettacolo è abbastanza lungo e noioso, fatte le dovute foto documentarie, cerco di dare le mie interpretazioni. Se invece la scena è veloce e molto variabile è più difficile coprire bene queste due possibili traduzioni dello spettacolo, ma un po’ ci provo comunque.

Il rischio è che il fotografo più esperto e smaliziato diventi egli stesso un coreografo e un critico, notando alcune situazioni e scelte discutibili da parte della compagnia. La situazione si risolve in due modi: nel corso del lavoro, cercando di compensare con la propria competenza i limiti rilevati nella scena. Oppure, in altra sede, realizzando set e spettacoli in proprio, su ispirazione positiva o negativa di ciò che si è visto. L’ispirazione positiva è quella che ti affascina e ti spinge a realizzare qualcosa di tuo. Quella negativa deriva invece dall’aver visto una buona idea maltrattata e quindi sprecata. Per la serie “adesso lo faccio io”. Così, a volte, gli spettacoli che fotografo mi danno spunti che poi troveranno realizzazione compiuta in occasioni successive, anche come progetti personali. Credo che, oltre che inevitabile, sia molto bello recepire i messaggi lanciati da un altro artista, farli propri e reinterpretarli alla luce della propria sensibilità ed esperienza, meglio se dopo un adeguato periodo di sedimentazione durante il quale si fondono con altre idee e stimoli.

Darsi dei limiti

Capire, capire, capire! Questo è lo slogan del fotografo di scena. Il fotografo deve capire e adeguarsi alle esigenze degli artisti e dell’organizzazione, anche quando questi non le avessero esplicitate. E poi c’è il rispetto per il pubblico, che ha il diritto di vedere lo spettacolo senza trovarsi un fotografo sempre nel mezzo, che si agita e disturba. Lo dico perché ne ho visti. Così il fotografo dovrà fare di tutto per “sparire” e non disturbare in alcun modo, per cui abbigliamento scuro e movimenti lenti e felpati (sempre ammesso che sia il caso di muoversi), evitando del tutto luci e rumori. Dando per scontato che flash e illuminatori AF saranno sempre tassativamente esclusi, da quando esistono le mirrorless con lo scatto silenzioso non è più ammissibile nemmeno il disturbo dato dallo scatto di una reflex, per quanto smorzato. Se non lo fate come forma di rispetto verso il prossimo, fatelo per non farvi cacciare dalla sala.

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In questo caso il coreografo e danzatore Pablo Ezequiel Rizzo mi chiese prima dello spettacolo di fare particolare attenzione a questo breve momento dove dietro di lui sarebbe apparsa dall’ombra la testa della danzatrice (Alessandra Cozzi), perché ai fotografi precedenti era sfuggito. Missione compiuta. Esposizione: 1/15s, f/2,8, ISO 12800 alla focale di 74mm (equivalente a 112mm).

Capire significa anche rendersi conto che i limiti del fotografo non sono gli stessi ovunque: ad una “prima” dello spettacolo o in occasione di un concorso in una sala buia si dovrà evitare in qualsiasi modo di attirare l’attenzione, perfino col semplice uso dei display della fotocamera. Altrove ci si potranno prendere maggiori libertà: ad esempio, in esterni aperti al pubblico di passaggio, il fotografo avrà piena libertà di movimento e, anzi, può essere che siano proprio i passanti a creargli problemi continui, col rischio di non trovare un punto di vista valido o perdere qualche momento significativo. In ogni caso, è bene chiarire prima questi aspetti con chi organizza l’evento.

La questione del nudo

Il nudo nella fotografia di danza va gestito con la delicatezza del caso, ma non crea i problemi che si potrebbe pensare e, anzi, di solito non ne crea proprio. Se qualcuno si scandalizza, è sempre qualcuno di estraneo al mondo della danza e che per qualche strana ragione si è ritrovato in sala. Questo perché sia nei danzatori che nel pubblico degli appassionati c’è consapevolezza del corpo e delle sue implicazioni, senza vederlo sempre e soltanto dal lato sessuale. Forse lo dimostra anche il fatto che nella danza il nudo è presente in ugual misura tra uomini e donne, cosa che non avviene negli altri campi della comunicazione. Del resto, un bel corpo nudo che danza è facile che risulti elegante e pulito; se invece chi danza fosse un po’ sovrappeso, anziano e/o con lineamenti pesanti, la volgarità si evita comunque grazie allo spirito del soggetto. Questo sempre perché chi danza ad un certo livello è consapevole del proprio corpo ed è difficile che lo proponga in modo inappropriato. Perlomeno, a me è sempre capitato così e ho sempre apprezzato moltissimo chi sa mettersi in gioco con la giusta ironia.

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La questione del nudo nella fotografia di danza è delicata, ma neanche tanto quanto si potrebbe pensare. Questo perché sia nei danzatori che nel pubblico appassionato prevale la consapevolezza del corpo e della sua valenza, per cui nessuno grida allo scandalo davanti al nudo in scena. Nei rari casi in cui succede, è sempre qualcuno di estraneo al mondo della danza. Naturalmente il fotografo deve cogliere il messaggio, senza travisarlo. Qui abbiamo in scena Federica D’Aversa, nello spettacolo “Cuma”. Esposizione: 1/30s, f/2,8, ISO 2500 alla focale di 52mm (equivalente a 78mm).

Spetta al fotografo fare il resto, scegliendo le composizioni e i tempi più opportuni per portare il messaggio nel modo giusto. Però qui non vorrei essere frainteso: non sto dicendo che il fotografo debba addolcire o censurare ciò che avviene sul palco; per come la vedo io, se in scena c’è provocazione, questa deve trasparire anche dalle foto. Quindi il fotografo deve cercare di capire e trasmettere ciò che ha ricevuto, senza travisarlo. Forse però questo non è facile per tutti: anche al fotografo è richiesta una certa cultura.

I saggi delle scuole

Credo che fotografare il saggio di fine anno di una scuola di danza sia, nel complesso, il caso più difficile per il fotografo. Questo perché, alle difficoltà generali del fotografare la danza, si uniscono due aspetti specifici e abbastanza tremendi.

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Questa è una foto tipica, e tutto sommato tra le più facili nell’ambito della danza. Dico che è facile perché c’è una buona luce e non ci sono troppi soggetti in scena, per cui riescono a coordinarsi quanto basta da consentire una buona composizione. Dico “quanto basta” perché la fotografia non perdona e, rispetto allo spettacolo dal vivo o al video, congela e quindi mostra ogni minima imperfezione. Dal saggio di fine anno della scuola di danza Artemisia. Esposizione: 1/250s, f/3,5, ISO 2000 alla focale di 43mm.

Il primo è che andrà in scena un numero elevatissimo di danzatori, di varie età e in ondate continue. Quale che sia il posto che sceglierete (o vi daranno) per fotografare, non ce la farete mai a fotografarli bene tutti. Alla fine, avrete un numero enorme di scatti da selezionare e lavorare, e finirete per averne una gran quantità che non vi chiederà nessuno e vi mancheranno (o ne avrete pochi) di chi invece ve li chiede. Per fare bene questa cosa, bisognerebbe essere in due a fotografare, sui due lati della sala per evitare che ci siano troppe ballerine coperte da altre e/o lontane dal fotografo. Il secondo aspetto è che si tratta di una scuola, per cui non tutte le ballerine saranno slanciate nel fisico e brave nell’esecuzione. Alcune saranno goffe nell’aspetto o nei movimenti e molte non riusciranno a coordinarsi bene tra loro, per cui quando una è all’apice del salto ce ne sarà un’altra già ricaduta sul palco e una terza in ritardo. Scattate pure a raffica, ma un fotogramma equilibrato potrebbe non esserci, e montare sulla stessa foto le ballerine prese da fotogrammi diversi è un lavorone. OK, aspettiamo che Photoshop ci dia la possibilità di scegliere le persone da foto diverse e comporle insieme in modo preciso rispetto allo sfondo e del tutto verosimile come effetto d’insieme.

Il punto di vista e la luce

Trovo spesso poco interessanti le riprese frontali e distanti, come quelle che si hanno fotografando in un grande teatro da un palco centrale posto sopra l’ingresso. Questo sia per la distanza e sia perché in questo modo guardiamo il palco da sopra. Pur essendo il punto di vista più normale, o forse proprio per questo, è un modo di lavorare che toglie al fotografo gran parte dei suoi margini di espressività, che invece farebbero affidamento su linee diagonali, prospettive spinte e fuoco selettivo. Anche il dinamismo della scena e lo slancio della figura ne soffrono. Se posso scegliere, preferisco stare vicino al palco; lo conferma anche la scelta delle foto che vi presento qui che, senza farlo apposta, sono tutte da vicino.

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Qui lo spettacolo di Paola Ponti era interessante, ma a mio parere penalizzato in molte fasi da una luce fissa e soprattutto troppo estesa, che distraeva dando spazio eccessivo all’ambiente. Così ho combinato tempo lungo e zoomata per rendere indefinito lo spazio dell’azione. Esposizione: 1/8s, f/4, ISO 800 alla focale di 42mm (equivalente a 64mm).

Da notare anche che, in interni, raramente al fotografo sarà concesso di spostarsi, per cui il punto di vista scelto (più spesso imposto) all’inizio resterà tale per tutta le performance. In esterni, oltre a scegliere il punto di vista andrà sempre valutata anche la luce. Naturalmente non è detto che il punto di vista ideale per lo spettacolo sia buono come luce.

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Trovarsi a fotografare in luce diurna non significa sempre avere vita facile. Quasi tutti gli anni mi trovo a dover gestire questa situazione, con danzatori che si esibiscono in forte controluce tra l’ombra della piazza e la facciata della chiesa illuminata dal sole di settembre. L’atmosfera limpidissima creava enormi differenze di luce e temperatura colore tra le aree illuminate e quelle in ombra; né mi aiutava il fatto che i danzatori della compagnia Ertza fossero neri. Perfino l’estesissima gamma dinamica del sensore Fuji a ISO 640 riusciva a malapena a gestire la situazione. Nonostante tutto, ho colto il momento clou della performance, lo scatto che racconta la storia. Esposizione: 1/950s, f/4, ISO 640 alla focale di 26mm (equivalente a 39mm).

A me capita tutti gli anni a settembre di dover fotografare uno spettacolo alle 17 in Piazza San Francesco a Ravenna, dove i danzatori sono per metà esposti alla luce forte e gialla del sole e per metà nell’ombra fredda proiettata dai palazzi alle mie spalle. Dopo un po’, i danzatori sono completamente all’ombra, avendo come sfondo la facciata illuminata della chiesa, con un’enorme differenza di luce e bilanciamento cromatico: un incubo. Meno male che abbiamo la fotografia digitale, perché in pellicola verrebbero delle porcherie!

Prepararsi

Naturalmente, per quanto possibile, si consiglia di arrivare sulla scena avendo l’idea di cosa avverrà, ad esempio visionando qualche video dello spettacolo, partecipando alle prove e parlando con gli artisti. Le cose importanti da chiedere sono la lunghezza dello spettacolo, se vi sia pochissima luce e se la performance sia molto dinamica e variata (anche come luci) oppure sostanzialmente statica e ripetitiva, anche se un artista difficilmente ammetterà di avere realizzato una cosa monotona. Qualche volta, è la stessa compagnia che suggerisce un momento clou e quindi una foto che vorrebbe, magari perché i fotografi precedenti non sono riusciti a coglierlo. Questa richiesta mi fa sempre molto piacere, oltre a tornarmi utile. Un’altra cosa che aiuta parecchio è il conoscere gli artisti da spettacoli precedenti. Alcuni sono molto creativi e imprevedibili, ma molti invece tendono a ripetersi, pur cambiando nome allo spettacolo.

Dario Bonazza
Dopo gli inizi con la fotografia astronomica analogica, ho lavorato per 20 anni nel campo dell’elettronica industriale, passando poi all’attività freelance come fotografo di scena, traduttore tecnico e copywriter per notissime aziende del settore fotografico. Ai lavori fotografici su commissione affianco svariati progetti personali. Dal 2006 collaboro regolarmente con la Editrice Progresso attraverso articoli su tecniche di ripresa, tecnologie e prove pratiche di fotocamere e obiettivi.
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