Ernesto Bazan è un autore di riferimento per chi osserva i suoi scatti, per chi conosce la sua vita di fotografo, per chi segue i suoi workshop. Ernesto Bazan ci parla di se, di Cuba, dei legami tra le persone.
Finalmente posso dedicare un’intervista a Ernesto Bazan. Ernesto Bazan rappresenta una sorta di esempio cui tendere per me e per coloro i quali hanno vissuto la fotografia degli ultimi decenni del secolo scorso. Bazan è il fotografo nato in Italia, trasferitosi oltre oceano, interprete di una cultura, quella sudamericana, la quale vanta un fascino irresistibile per tutti coloro che hanno partecipato alla vita politica, sociale e culturale pre-XXI secolo.
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Bazan Publishing
I workshop di Ernesto Bazan
Ernesto Bazan è il fotografo di Cuba, la Cuba di Fidel Castro, del Messico ma anche della Sicilia da cui egli proviene. Il transito professionale per il mondo delle agenzie fotografiche internazionali non lo ha cambiato, con tutti i pro ed i contro che una simile avventura può avere portato nella vita di un fotografo che pare essere, per definizione, slegato da qualunque tipo di struttura che non sia il proprio modo di vedere, di percepire e di raccontare la realtà che lo circonda.
Dal punto di vista stilistico Ernesto Bazan si riconosce per la grande partecipazione, per l’inclusione all’interno delle vicende che narra. Il suo modo di raccontare per immagini è sempre dall’interno, tramite un bianconero impulsivo, dinamico, spesso duro ma anche largamente espressivo nei confronti delle persone ritratte. E’ certamente un fotografo di gente, anzi, delle genti. E questo è anche uno dei motivi per cui i suoi workshop on-site sono tra i più gettonati anche da parte di coloro i quali si sono rivelati interpreti o autori fotografici tra i più pubblicati, anche sulle pagine delle nostre stesse testate.
Bazan riesce inoltre in un’impresa che non è così scontata per i fotografi che si sono formati e, soprattutto, che si sono imposto all’attenzione del pubblico per mezzo del proprio bianconero: trasferire nel colore, in particolare con lo splendido volume ‘Al Campo’, quello che di esemplare era riuscito a mostrare in versione monocromatica, si in ‘Bazan Cuba’, sia nella successive pubblicazioni di cui si è fatto interprete.
Dialogando con Ernesto Bazan si è veramente la sensazione che, per lui almeno, la fotografia sia in fin dei conti un effetto del vivere e il vivere uno scenario perfetto per essere narrato con la fotografia.
Buongiorno Ernesto, è emozionante rivolgerti delle domande dopo avere visto, osservato, guardato, studiato i tuoi scatti così tante volte nel corso degli anni spesi in fotografia. Per altro sei uno di quegli autori così attivi e dinamici da dare a chi ti osserva dall’esterno l’impressione di essere anche incredibilmente irraggiungibile. O forse perché hai messo in pratica quel desiderio di viaggio, di vita itinerante, che ci ha da sempre affascinato nel saperti negli Stati Uniti, a Cuba, in Messico ed ancora, a volte, nuovamente in Italia.
Come hai deciso di spostarti dalla Sicilia, portando con te ‘la fotografia’, per trasferirti, ancora giovanissimo, negli Stati Uniti?
Come ho già avuto modo di dire, la mia carriera fotografica nasce attraverso un sogno che feci nella primavera del 1977 quando stavo per terminare il liceo classico a Palermo. Ascoltai una voce che laconicamente mi disse: ‘Devi fare il fotografo’. La cosa più straordinaria del sogno fu ricordare la mattina dopo queste parole e comunicarle, con fare sicuro, ai miei genitori che, giustamente, mi presero per folle.
Nei due anni a seguire riuscì lentamente a convincerli, specialmente mio padre, che questo era il mio desiderio. Con tutto il suo amore e il cuore in gola mi dette finalmente l’ok per iniziare quest’avventura che continua a dipanarsi giornalmente quarantaquattro anni dopo. Nel gennaio del 1979, arrivai spaurito e infreddolito, a New York, dove avrei seguito per quattro anni i corsi alla School of Visual Arts. Gli inizi furono difficili, ma dopo qualche mese avendo acquisito una certa padronanza dell’inglese e avendo fatto i miei primi amici, la situazione migliorò moltissimo.
Il percorso di studi statunitense ha cambiato il tuo modo di fotografare rispetto a quando eri in Italia? Come? Che tipo di esperienza è stata sia umanamente sia didatticamente?
La mia ‘nuova’ vita newyorchese ha ‘accelerato’ le tappe iniziali della mia crescita fotografica vivendo e studiando fotografia giornalmente. Incominciai a muovere i primi passi fotografando la metropolitana di New York e la vita attorno a me, in particolar modo quella dei miei connazionali: gli italo-americani. Alcune di queste fotografie sono state ampiamente pubblicate nei miei primi due libri: ‘Il Passato Perpetuo’ (1983) dedicato alla comunità italo-americana a New York e alcune della metropolitana e del quotidiano newyorchese nel secondo libro ‘Passing Through’ (1992). L’esperienza all’università mi ha arricchito umanamente, conoscendo e diventando amico con uno dei miei professori di stampa fotografica Mike Levins che divenne una grande fonte d’ispirazione e un caro amico.
Perché, successivamente, hai scelto di trasferirti a Cuba? Provenire da un paese mediterraneo e latino ha facilitato questa scelta? Ha semplificato il tuo rapporto, anche fotografico, con la gente di Cuba?
Credo fortemente che tutto quello che accada nella mia vita faccia parte del mio destino che seguo fin da quando ero nel ventre di mia madre. Andai a Cuba per la prima volta nell’autunno del 1992 ‘per caso’. Col passare del tempo e analizzando attentamente tutto quello che mi è successo sull’isola, mi rendo conto che non c’era niente di casuale, che tutto facesse parte del mio ‘cammino’ tracciato dall’alto dei Cieli! Era apparentemente curioso arrivare su un’isola che mi ricordava la mia, specialmente nel quotidiano, della vita che si svolgeva per strada come nella vecchia Palermo della mia infanzia. La gente era amabile, calda, gentile, sempre pronta ad aprirti la porta di casa, a farti sentire a tuo agio.
Ho incontrato la mia futura compagna di vita, Sissy, grazie al mio amico Mike Levins che avevo invitato (pagandogli il biglietto) con tanto amore a viaggiare con me su quest’isola di cui aveva visto le mie prime foto. Realizzavamo il nostro sogno di poter andare in giro assieme per le strade di quest’isola di cui gli avevo parlato con tanto entusiasmo. L’ultimo giorno del suo soggiorno, una domenica pomeriggio tranquilla nel dicembre del 1995, stavamo camminando sulla calle Prado, dove c’erano musica e tanta gente ballando. Improvvisamente incominciò a muovere le braccia verso di me chiedendomi che mi avvicinassi. Notando la sua insistenza lentamente andai verso di lui.
Mi trovai di fronte a tre belle, giovani donne che Mike aveva appena incontrato, ma non parlando spagnolo voleva che fossi io a conoscerle. Come mi piace dire, mi stava presentando su un vassoio d’argento il mio futuro amore, la madre dei nostri gemelli a venire, Pietro e Stefano.
Decidermi di trasferirmi a Cuba fu il naturale passo successivo dopo il nostro matrimonio nel 1997. Mi sono chiesto spesso quali sarebbero state le possibilità di questo incontro se non fossi stato generoso con il mio caro Mike. Probabilmente sarebbe stato impossibile! Per questo, con il passare degli anni, non do niente per scontato in ciò che succede nella mia vita: tutto ha un suo significato.
Che cosa cercavi di trasferire e comunicare negli scatti di quei primi anni cubani? Su quali soggetti e quali situazioni ti focalizzavi e perché ti attraevano?
Come sempre cercavo di catturare momenti della vita quotidiana cubana cui mi sentivo attratto: istanti in cui si rivelava l’essenza, un’emozione, un sentimento che sentivo con il mio occhio interno. Frazioni di secondo cariche di pathos, di allegria, tristezza, gioia, smarrimento, felicità e infelicità al contempo. Camminavo tanto, chilometri e chilometri. Poi mi riposavo un po’, mangiavo qualcosa e riprendevo imperterrito. L’ho fatto per anni senza avere un obiettivo preciso: solamente cercare di entrare in profondità nel quotidiano cubano. Ho impiegato quattordici anni prima che questo lavoro tanto amato e sentito si convertisse in Bazan Cuba nel 2008.
Quanti anni sei rimasto a Cuba? E poi cos’è accaduto? Come mai, questa volta, hai scelto il Messico? Cosa ti affascina così tanto dei paesi dell’America Centrale?
Ho vissuto a Cuba per un totale di quattordici anni: prima viaggiando da New York e poi trasferendomi all’Avana una volta che scoprimmo che Sissy era in attesa dei nostri gemelli. Ritengo che siano stati gli anni più felici della mia vita nonostante il finale amaro, ma anche questo parte del mio destino. Nel 2002, avevo deciso d’impartire i miei workshop. Un amico mi aiutò a creare una pagina web e, quasi per magia, nel febbraio del 2002, arrivarono i primi studenti. Incominciai a espandere i workshop anche ad altri paesi dell’America Latina fra cui il Perù, il Messico e il Brasile, e in Sicilia durante la settimana di Pasqua. Successivamente anche a Napoli.
Tutto andava bene con il mio insegnamento fino a quando nel gennaio del 2006 mi viene detto che devo presentarmi alla stazione di polizia vicino casa. Con mia grande sorpresa, vengo accusato da uno squallido poliziotto d’impartire workshop ‘giornalistici’. Spiego che sono fotografici e che sono molto belli. Ma è come parlare ad un muro. Mi viene detto a tono di minaccia che se ne dovessi impartire un altro la mia famiglia cubana avrebbe avuto problemi. Conoscendo come vanno le cose a Cuba sapevo che non me lo potevo permettere.
Assieme a Sissy decidemmo che l’unica alternativa era di abbandonare l’isola lasciandoci dietro tutta la nostra vita, la famiglia, tutto. E così il 4 luglio del 2006, abbandonammo il paese per trasferirci in Messico. Credo che sia stato uno dei momenti più tristi della mia vita. Ma ancora una volta il destino aveva in serbo per me delle sorprese.
Il Messico ci ricevette a braccia aperte. Da anni conoscevo e frequentavo il paese per i miei workshop, ma farlo diventare la nostra casa è qualcosa che non dimenticherò mai. E’ un paese che amo e dove mi sento a casa. Pietro, uno dei nostri gemelli, sta studiando medicina a Veracruz. Con i paesi che frequento, trovo delle similitudini o dei motivi che mi aiutano con il mio lavoro. La vita ancestrale, le antiche tradizioni e la vita quotidiana in Perù, il tema della schiavitù in Brasile, la festa dei morti In Messico sono alcune delle fonti d’ispirazione. Se Dio vorrà, negli anni a venire pubblicherò una serie di libri chiamati Cantos Latinos Americanos in cui condividerò alcuni dei lavori svolti in Brasile, Messico e Perù.
Il bianconero nelle immagini incluse in ‘Bazan Cuba’ è caratterizzato da forti contrasti, da un grande dinamismo e da una composizione che si adegua spontaneamente al soggetto senza mai attendere per catturare l’attimo perfetto. Chi ti ha ispirato o insegnato questo modo di fotografare? E’ stata la scuola o, per citare colui che anche tu citi spesso, il lavoro di Robert Frank e dell’epopea di cui egli ha fatto parte?
La mia è stata una crescita naturale che si è andata dipanando poco a poco. La scuola ha aiutato a far crescere la mia visione del mondo. Poi nel 1983, grazie al premio di giovane fotografo vinto ad Arles, Francia, ebbi l’opportunità unica di viaggiare per otto mesi in tutta l’Asia: dalla Cina alle Filippine, dall’India alla Thailandia. Fu un viaggio unico in cui ampliai enormemente la mia visione del mondo, del suo quotidiano e delle emozioni che sono parte intrinseca del nostro vivere. Parte di queste immagini fanno parte di ‘Passing Through’, il mio secondo libro.
Cosa hanno rappresentato per te Robert Frank ed i suoi scatti? Cosa ami di lui? C’è uno scatto di Frank che ti è rimasto nel cuore, rispetto a tutti gli altri? Ho letto che lo hai incontrato…
L’amico Robert Frank è stata una fonte d’ispirazione enorme. ‘The Americans’ è una pietra miliare della street photography. Ammiravo molto l’uomo nella sua grande semplicità e poi il fotografo personale con il suo sguardo melanconico. Ebbi il piacere di conoscerlo e di ascoltare la sua voce. Gli avevo portato una copia in regalo di Bazan Cuba. Dopo averla scorsa lentamente senza dire niente, improvvisamente fece una considerazione/ domanda: ‘Ci hai lavorato a lungo?’ Risposi: ‘Quattordici anni.’. Mi guardò e sorrise. Lo scatto di Frank che amo profondamente è quello della finestra con la bandiera americana in cui si intravede una signora.
Il secondo volume della cosiddetta trilogia cubana è ‘Al Campo’. 88 fotografie a colori: un bel cambiamento! Da dove nasce questa scelta stilistica per un fotografo che è sempre stato noto per il suo bianconero? Che sensazioni ti ha lasciato questo lavoro ed il suo svolgimento a colori? Ce ne parli?
Al Campo nacque da un suggerimento di una curatrice che nel 2001 mi chiese di scattare delle foto per un progetto di libro a colori. L’esperimento mi piacque e continuai a fotografare la campagna e i miei amici contadini per sei anni. Sapendo di avere un rullo a colori in camera, mi portava a sentire e a vedere la realtà davanti a me con un atteggiamento e approccio diverso. Mi parve naturale scattare con due obiettivi: il 35 e il 50 millimetri che alternavo a seconda della situazione.
Incomincia a fotografare, per la prima volta, nature morte, ad avvicinarmi maggiormente ai soggetti, a sentire i colori come paletta espressiva delle mie emozioni! Venne fuori un progetto sui generis di cui sono molto fiero, totalmente indipendente dai miei lavori cubani in bianco e nero. Rimane ancora per il momento l’unico progetto di libro esclusivamente colori, anche se in ’25 de Noviembre’ sono ritornato a usare il colore ma in maniera molto diversa.
Con ‘Isla’ sei poi tornato al bianconero, in un formato fotografico panoramico ancora nuovo ma affascinante per la resa della viste che compongono il volume. Com’è nato questo progetto e di che fotogrammi si compone?
Sempre nel 2001, un fotografo cubano mi propose di acquistare una X-Pan. Gli dissi di prestarmela per una settimana. Fu un amore a prima vista. Mi resi conto della bellezza del formato che mi costringeva a scattare foto totalmente diverse da quelle con la 35 mm. Iniziai ad andare in giro per l’isola con tre macchine: due 35 mm una per il bianco e nero e l’altra per il colore, e la X-Pan per le foto panoramiche in bianco e nero. Il formato mi costrinse a trovare ‘momenti’ ben diversi. Le foto sono più sottili e le inquadrature molto più aperte e con situazioni diverse occorrendo allo stesso tempo.
Ai tempi l’unica cosa che m’importava era scattare e godermi la vita, senza pensare tanto a cosa avrei fatto con queste immagini. Avevo una vaga idea che le foto in bianco e nero con cui avevo iniziato il mio progetto cubano nel 1992 potevano forse trasformarsi in un libro, ma del colore e degli scatti panoramici non avevo la benché minima idea che un giorno sarebbero diventati dei nuovi libri.
A un certo punto della tua vita fotografica è arrivato l’insegnamento. A giudicare da come lo racconti pare che sia stata una rivoluzione nella tua vita. Hai iniziato a condurre workshop a Cuba. Poi è finita, ma continui a frequentare l’America Centrale in qualità di ‘classe allargata’. Anche l’Italia a dire il vero… Cosa ti dà il rapporto con i tuoi studenti? Che tipo di esperienze cerchi di fargli vivere per formarli fotograficamente in queste zone? Quale è la cosa più importante che ritieni di poter insegnare loro?
Spesso si instaura con queste persone un rapporto di profonda amicizia che perdura negli anni. Alcuni dei miei studenti sono diventati alcuni dei miei migliori amici. I miei studenti hanno giocato e continuano a giocare un ruolo importantissimo nella auto-pubblicazione di tutti i miei libri cubani (4 ad oggi) e anche dell’album di famiglia sui generis ‘Before You Grow Up’. Molti di loro pre-acquistano edizioni limitate dei mie libri per il valore di $1,000 e oltre che mi permettono di poter finanziare questi libri i quali, con il passare del tempo, si trasformano in rari libri di collezione come ‘Bazan Cuba’.
Ci troviamo spesso in situazioni intime, spirituali e, spesso, piene di magia. Basta guardare le gallerie degli studenti per capire meglio le mie parole. L’insegnamento è una missione per me. Svariate volte ho impartito workshop con un solo studente piuttosto che cancellarlo. Da queste esperienze sono nate amicizie profonde. Parliamo di vita e di fotografia, poco di teoria o di tecnica.
I workshop nascono ‘per caso’, nel 2002. Dopo oltre vent’anni di committenze commerciali per le riviste, sentivo che ero stanco e che volevo indirizzare la mia conoscenza fotografica all’insegnamento. Il mio rapporto con gli studenti è di rispetto reciproco. Spesso si sono trasformate in profonde amicizie. Gli insegno a ‘sentire’ la vita cercando di cogliere momenti di vita unici. Arrivano generalmente spaesati, senza sapere bene cosa potranno imparare. Poi col passare del tempo lo capiscono. Molti di loro hanno appreso negli anni che per continuare a crescere si deve ritornare numerose volte allo stesso workshop o frequentare i workshop con continuità. Lo intuiscono vedendo me tornare negli stessi luoghi da quasi vent’anni.
10 anni dopo la tua partenza sei quindi riuscito a tornare sull’isola.
Che sensazioni hai avuto nel fotografare nuovamente quei luoghi e quella vita? Cosa è cambiato e che progetto fotografico è ’25 de Noviembre’?
Una mattina nel 2014, Sissy mi rivela che ha sognato che potevo ritornare a Cuba, che avrei potuto impartire nuovamente i miei workshop. Rimango sorpreso dalle sue parole. Ma essendo anche una persona molto pratica Sissy andò al consolato cubano a chiedere se fosse possibile per me ritornare. Bisogna ricordare che dalla nostra partenza il 4 luglio del 2006, ero diventato persona non gradita e per questo non ero più tornato.
Dopo questa conferma ufficiale, mi feci coraggio e nel luglio del 2016, esattamente dieci anni dopo, ritornai con tre amici/studenti nell’isola. Fu un viaggio incredibile dove i ricordi passati si mescolarono con quelli presenti, una sorta di dejà vu con tante sfumature velate da tristezza e felicità. Inizia timidamente a scattare ma l’Ernesto che stava dietro la macchina fotografica non era più quello di dieci anni prima: ero più vecchio, la mia sensibilità fotografica era cambiata; avevo sostituito il 50 mm al 28 mm degli anni cubani.
Al mio ritorno dopo aver sviluppato e provinato i rullini mi resi conto che le foto erano diverse, avevano un sapore ben differente. Pensai di essere folle che mi piacessero. Come faccio spesso in questi casi, le sottoposi al parere severo della mia compagna che mi confermò che erano interessanti e ben diverse dalle foto precedenti. Feci lo stesso con il gruppo di studenti che costituiscono il nocciolo duro dei miei editori. Tutti mi incoraggiarono a ritornare e a proseguire.
Qualche mese dopo, il 25 novembre, del 2016, al mio risveglio trovo un messaggio di testo della mia amata che mi scrive testualmente: ‘Amore mio Fidel è morto. Vai a Cuba!’. Il 25 Novembre del 2015, infatti, Fidel Castro muore e Cuba pare svegliarsi attonita, come per altro il resto del mondo per il quale Cuba era Fidel e Fidel era Cuba. Senza pensarci tanto ritornai a Cuba qualche giorno dopo la sua scomparsa.
Arrivammo la sera del 30 novembre assieme al caro amico messicano Juan de la Cruz. Ricordo che andammo a piedi fino alla piazza della rivoluzione che era stata gremita di gente fino a qualche ora prima e la trovammo deserta. Scattai il grande murale del Che avendo in primo piano degli alberi scuri. Nei giorni a seguire continuammo a girovagare per la città alla ricerca di segnali che ricordassero la sua morte nel vortice della vita quotidiana ‘habanera’.
Negli anni successivi continuai a viaggiare a Cuba, a impartire nuovamente i miei workshop come aveva rivelato il sogno. Andavo in giro con una 35mm con il 50mm e con la fedele X-Pan. Come strumento addizionale incominciai ad utilizzare il cellulare. Andando per le strade dell’Avana incominciai a raccogliere per strada oggetti che mi ispiravano senza sapere bene il perché e che cosa avrei fatto con loro. Di ritorno a New York riguardando questi oggetti mi resi conto che potevo fotografarli in studio e trasformarli in semplici nature morte.
Poco a poco il libro incominciò a prendere forma quasi per miracolo. Nel gennaio del 2020 riuscimmo a stamparlo prima che scoppiasse la pandemia. ’25 de Noviembre’ è un libro che racconta un momento storico importante nella storia del paese attraverso il mio ‘nuovo’ sguardo, le foto intrise dei ricordi vecchi e nuovi di quasi tre decadi dedicati a quest’isola che ha cambiato la mia vita per intero!
Ernesto Bazan, nonostante l’impegno d’insegnante, ama ancora fotografare? Che tipo di fotografie ricerchi oggi? Il bianconero resta il modo prediletto di raccontare il tuo mondo?
Continuo a fotografare in bianco e nero per i miei canti Latino Americani di cui ho parlato sopra e, rivedendo il mio archivio, ho scoperto il mio interesse per paesaggi di natura incontaminati e quelli contaminati dall’uomo. Progetto in panoramico che ha come titolo ‘Il Concetto Di Natura’.
Cosa pensi del fatto che, oggi, la street photography sia assurta a genere fotografico prediletto di moltissime nuove generazioni di fotografi armati di ogni tipo di dispositivo? In fin dei conti la street c’è sempre stata solo che non si è mai chiamata così…
Si, la street photography, con diverse sfumature, continua a essere uno dei generi fotografici più frequentati.
Vorrei porti due domande dettate da una mia curiosità personale molto pratica: oggi con che strumenti fotografa Ernesto Bazan? E con che fotocamera sei partito dall’Italia per gli Stati Uniti a 19 anni? Inoltre: ci sono fotografi che, oggi, t’ispirano alla stregua di coloro che ti hanno ispirato quando iniziasti la tua grande avventura fotografica e di vita?
Utilizzo ancora oggi una Canon T-90 con il 50 mm e la X-pan, e, a volte, il cellulare. Se ricordo bene partì con una Canon F1. Guardo poco il panorama attuale. Alcuni dei miei studenti continuano a sorprendermi ma preferisco non fare nomi.
Grazie mille per la tua enorme disponibilità Ernesto. Io credo che l’atto di insegnare ad altri fotografi, nel modo in cui i risultati che essi ottengono testimonia, sia una grande manifestazione di capacità, di lungimiranza, di modestia e di umanità. Ancor più che l’indubitabile valore artistico dei tuoi scatti che tutti abbiamo ammirato sin da quando abbiamo iniziato a fotografare.
Ernesto Bazan è nato nel 1959 a Palermo, in Sicilia, Italia. Ha ricevuto la sua prima macchina fotografica all’età di 14 anni, quando iniziò a fotografare la vita quotidiana della sua città natale e le zone rurali della Sicilia. La fotografia è stata molto di più di una semplice professione: una vera e propria passione nella sua vita.
Bazan ha pubblicato cinque monografie: Il Passato Perpetuo (1983), Passing Through (1992) e tre cataloghi I Primi Vent’anni, Isola e Molo Nord. Nel 2008, ha lanciato la sua nuova casa editrice BazanPhotos Publishing che ha pubblicato tre libri BazanCuba (2008) che racconta 14 anni di vita e fotografia nell’isola. Il libro ha vinto il premio come miglior libro di fotografia al festival di fotografia di New York nel 2009.
Al Campo (2011) con fotografie a colori sulla straordinaria campagna cubana. Le immagini sono un ritratto intimo dei suoi amici contadini, scattate negli ultimi cinque anni della sua vita nell’isola. Isla (2014) una sorta di love affaire e un addio finale all’isola con 83 fotografie panoramiche in bianco e nero.
Bazan ha esposto in Europa, in America Latina e negli Stati Uniti.
Le sue fotografie fanno parte di collezioni private e musei fra cui il MoMA e l’ICP (New York), il SFMoMA, Santa Barbara Museum of Art, il Museo di Fine Arts Houston, il Center for Documentare Studies (Durham), il South East Museum of Photography (Daytona), la Fondazione Italiana della Fotografia a Torino, la Biblioteque Nazionale (Parigi) e il Musée Réattu (Arles).
Dal 1992 fino 2006, ha documentato il Periodo Speciale a Cuba. Questo lavoro gli ha dato il privilegio di vincere alcuni fra i più prestigiosi premi internazionali fra cui: il W. Eugene Smith, il Mother Jones Foundation for Photojournalism, la Dorothea Lange-Paul Taylor prize, il World Press Photos, due borse di studio delle Fondazioni Alicia Patterson e una dalla fondazione Guggenheim.
Nel 2002 Ernesto Bazan ha creato i BazanPhotos Workshops dando una speciale enfasi all’America Latina. L’insegnamento è diventato una vera missione. Diverse centinaia di studenti hanno studiato con lui negli ultimi dodici anni.
Vive assieme alla moglie Sissy e ai suoi gemelli Pietro e Stefano e la loro cagnolina Diva a Veracruz, in Messico.