Negli anni, molti clienti importanti hanno chiesto ad Andrew Scrivani di interpretare fotograficamente il cibo. Ha anche cominciato ad insegnare e, recentemente, ha scritto un libro sul suo modo di fotografare.
Le fotografie di Andrew Scrivani hanno aiutato a sviluppare una delle sezioni del New York Times di maggior successo: quella dedicata alla cucina. Il suo approccio fotografico fresco e d’impatto ha incontrato il gusto dei lettori e oggi, a realizzare i numerosi contenuti di New York Times Cooking, insieme a lui ci sono molti altri fotografi.
Quando, circa vent’anni fa, un redattore del New York Times gli chiese se sarebbe stato in grado di cucinare e fotografare delle ricette per una consegna urgente, lui rispose: “Certo!”. Non aveva mai fotografato cibo prima, ma gli piaceva cucinare e accettò la sfida. Non si immaginava che quelli sarebbero stati solo i primi scatti per il prestigioso quotidiano americano e che a quella pubblicazione ne sarebbero seguite ancora molte altre: ad oggi circa 10.000.
Negli anni, altri clienti importanti gli hanno chiesto di interpretare fotograficamente il cibo. Ha anche cominciato ad insegnare e, recentemente, ha scritto un libro sul suo modo di fotografare. L’ho letto, mi è piaciuto e ho deciso di fare qualche domanda all’autore.
Perché hai deciso di scrivere That Photo Makes Me Hungry?
È una decisione che ho preso in un momento nel quale stavo riflettendo sulla mia carriera. Mi ero reso conto, tra le altre cose, che l’insegnamento stava diventando una parte davvero importante di ciò che faccio professionalmente. Sempre più studenti, soprattutto quelli che frequentano i miei corsi online, avevano cominciato a chiedermi “Quando scriverai un libro?”.
Per la verità negli anni ci sono state diverse case editrici che mi hanno proposto di pubblicare, ma si aspettavano che scrivessi dei manuali con approcci molto tecnici e pedanti e alla fine non ho mai accettato. A me piaceva l’idea di scrivere qualcosa che riflettesse il modo nel quale insegno, con molti aneddoti e storie.
L’opportunità per concretizzare la mia idea si è presentata dopo avere realizzato le foto per due libri di grande successo di Kate MCdermott, The Art Af The Pie e Home Cooking. Lavorando ai due progetti ho sviluppato un’ottima relazione con la casa editrice, Countryman Books. Quella è stata l’occasione per ipotizzare la realizzazione un mio libro. Quando me l’hanno proposto io ho detto subito: “Sì, sono interessato ma voglio farlo a modo mio”. L’editore non solo ha accettato, ma è stato davvero entusiasta di produrre un libro scritto nello stesso modo nel quale insegno, cioè facile da seguire, con un po’ di tecnica e un po’ di racconti e aneddoti della mia carriera. Qualcosa tra una guida da consultare e un libro di belle immagini da sfogliare. La formula si è rivelata fortunata e ore il libro è anche un compagno per le mie lezioni online.
Hai studenti italiani?
Ho studenti da ogni parte del mondo ed è veramente interessante che sia così perché c’è molta interazione durante le lezioni. L’unico requisito per partecipare è riuscire a seguire la lezioni in inglese. Il mio cognome è italiano, ma sono nato a New York e, sfortunatamente, la mia conoscenza della lingua italiana è limitata a un dialetto di oltre 100 anni fa. I miei nonni siciliani sono arrivati negli Stati uniti all’inizio del secolo scorso e credo che il loro Italiano non sia più utilizzato in Italia. Dunque, se i miei studenti italiani parlano inglese credo che ci guadagnino perché temo che non saprei farmi capire!
Chi sono i tuoi studenti solitamente?
Ci sono fotografi professionisti che desiderano migliorare il proprio stile e acquistare più fiducia, oppure principianti che hanno appena incominciato e stanno cercando di imparare le cose tecniche di base e vogliono capire meglio com’è la professione. Tra questi due opposti c’è un po’ di tutto. Credo che il motivo per cui i miei corsi hanno tanto successo sia il mio stile di insegnamento che è facile da seguire per studenti ad ogni livello. Non mi focalizzo troppo sul lato tecnico, ma parlo molto di stile e di approccio fotografico in modo che ognuno possa poi applicare le proprie capacità a quello che insegno. Se parlo di illuminazione, impostazioni, profondità di campo, fuoco… anche quando la classe è avanzata tendo ad insegnare le basi in modo che tutti possano seguirmi.
Qual è la cosa più complessa da trasmettere ai tuoi studenti?
Il fatto che la visione della fotografia non è la stessa per tutti.
Loro mi vedono come un fotografo di successo con uno stile riconoscibile. È facile confondere il successo con la soddisfazione, ma non sono la stessa cosa.
Ci sono persone che trovano appagamento fotografando, ma non hanno successo. Ci sono anche persone che hanno un grande successo commerciale, però non si sentono veramente realizzate nella loro produzione creativa. Sono due cose diverse che possiamo ricercare indipendentemente e che, a volte, si sovrappongono. Capita che si riescano a scattare delle foto che davvero ci soddisfano e che qualcuno ci paghi anche per farlo. Ma, spesso, si fanno dei lavori per pagare le bollette e poi si scattano altre foto per piacere personale. Capita anche che i fotografi si sentono intrappolati nelle richieste dei clienti, cercano di accontentarli e poi fanno fatica a trovare un proprio stile.
Cosa consigli in questi casi?
Di osservare il lavoro di altri fotografi e lasciarsi ispirare. Non bisogna copiare gli altri, ma osservando tante foto si possono trovare ispirazione e piano piano il proprio stile trova una strada per emergere. Purtroppo non è una cosa facile da spiegare e non c’è un manuale per sviluppare il proprio occhio fotografico…
C’è un argomento particolare sul quale ti chiedono consigli?
Mi chiedono spesso suggerimenti su come calcolare i prezzi. In effetti non è una cosa semplice perché occorre conoscere il proprio mercato, capire i propri clienti, sapere quanto si spende, che cosa si è in grado di consegnare… tutte queste cose devono essere calcolate.
C’è una mia amica e collega, Joanie Simon, che cura un canale di grande successo su Youtube dedicato alla fotografia di cibo. Lei ha creato una tabella che elenca tutte le voci da tenere in considerazione per elaborare un preventivo. Non suggerisce dei prezzi, il suo è un pro memoria per essere sicuri di non dimenticare nulla. Ogni fotografo lo potrà compilare a seconda della propria esperienza e dei propri clienti.
A parte il prezzo, lo stile è un altro argomento sul quale vertono molte delle domande e, infatti, allo stile dedico molto spazio nel corso delle lezioni.
Una ricetta inizia dagli ingredienti crudi e prosegue fino al piatto vuoto. Tutto ciò che sta in mezzo è un’opportunità fotografica.
Andrew Scrivani
Nel tuo libro sei molto generoso nel condividere consigli e citi dei fotografi che sono stati generosi con te ti hanno aiutato quando eri alle prime armi. Non tutti i fotografi amano condividere i propri segreti. Lo trovi difficile a volte?
No, perché di base io sono un educatore. Prima di diventare fotografo, ho insegnato per tanti anni ai ragazzi nelle scuole medie. Ora che i miei studenti sono principalmente adulti continuo ad insegnare cercando di essere molto disponibile e dedicando a tutti l’attenzione che meritano.
La mia formazione mi ha aiutato a creare delle lezioni stimolanti. Per esempio, durante i miei workshop in persona preparo il cibo sul tavolo con le luci già fatte. Prendo la macchina fotografica e scatto una foto. Poi passola mia macchina ad uno studente che scatta un’altra foto, e poi ad un altro… In pratica ognuno di noi scatta una foto con la stessa macchina che ha le stesse impostazioni. Tutto è assolutamente uguale, ad eccezione di una cosa: il fotografo. Ripetiamo questo esercizio molte volte per capire che, indipendentemente dalle impostazioni tecniche, la differenza è determinata dagli occhi del fotografo, dalle sue intenzioni e motivazioni. Le immagini scattate saranno simili, ma non saranno mai le stesse.
Dopo questa esperienza, generalmente i partecipanti si sentono più liberi perché acquisiscono la consapevolezza che, al di fuori di ogni aspetto tecnico, è la propria visione che fa la differenza. Dunque le cose che si sono imparate nel tempo, il gusto sviluppato e i propri propositi definiranno l’unicità dello scatto. Tutti elementi essenziali ai quali prestare attenzione per trovare il proprio cammino e imparare il mestiere.
Per te come è stato? Come hai sviluppato il tuo stile personale?
Quando ho incominciato a fotografare ricette, non c’erano molti altri fotografi di cibo a cui ispirarmi, però dei colleghi mi hanno sicuramente influenzato. Ho anche trovato molta ispirazione nella pittura che considero un precursore della fotografia. E poi mi piace l’architettura e se non fossi diventato un fotografo forse sarei diventato architetto. Ma non è tutto, la poesia rappresenta una parte importante del mio sviluppo creativo. A volte le poesie sono molto visive nelle loro descrizioni e sanno essere fotografiche proprio come una foto può essere poetica. In altre parole, le influenze per me sono venute da tante fonti diverse ed è così per tutti (anche se non sempre se ne è consapevoli).
A proposito del tuo stile, c’è una cosa piuttosto unica: il cibo che fotografi sembra appoggiato lì per caso, ma tutto è molto ben bilanciato. Diciamo che è casualmente perfetto. Come sei arrivato a questo risultato?
Una ricetta inizia dagli ingredienti crudi e prosegue fino al piatto vuoto. Tutto ciò che sta in mezzo è un’opportunità fotografica.
Io cerco di fare percepire a chi guarda le mie foto l’esperienza di stare vivendo da qualche parte in quel continuum.
Molto spesso ci si focalizza troppo sull’immagine finale, la presentazione del piatto pronto. Sicuramente la perfezione di un piatto intatto ha un aspetto molto accattivante, però a me piace fare vedere quando il commensale comincia ad interagire con il cibo perché così porto lo spettatore nel mio mondo. Invito chi osserva la foto dicendo “ecco la forchetta, questo manicaretto è già stato tagliato e incominciato. Siamo seduti al tavolo c’è un bicchiere di vino e qualche gocciolina è fuoriuscita…” Perché è così che mangiamo. Non siamo perfetti. Mangiare è un’esperienza un po’ caotica. Nella foto per me è importante creare un’atmosfera rilassata ma non sciatta, in altre parole ricreare un’esperienza di qualcosa che vive nel mondo.
Com’è per te lavorare per il NYT?
È un’organizzazione gigantesca. Quando ho cominciato io, il cibo non era certo l’obbiettivo primario del loro progetto. Anzi, nemmeno fotografare le ricette era una grande parte della sezione cibo. Più che altro c’erano recensioni di ristoranti e qualche articolo sull’alimentazione…non investivano soldi, tempo o energie per fotografare pietanze. All’inizio del 2000, però, le cose hanno cominciato a cambiare. Io sapevo cucinare e fotografare. L’opportunità di aiutare quella sezione a crescere fu un incredibile stimolo che mi portò a sviluppare uno stile fotografico riconoscibile.
Ora, a 20 anni di distanza, le ricette costituiscono un immenso propulsore economico per il New York Times. La sezione cibo ha anche una App di cucina che può contare su tutte le ricette che sono state fotografate nel tempo. In pratica, si tratta di una sezione che è estremamente redditizia in modo autonomo, indipendentemente dal resto del giornale.
Un tempo, la colonna portante della sezione cibo era costituita da me e altri due o tre fotografi. Adesso tutto è cambiato, ci sono parecchi fotografi, food stylist, prop stylist, studio manager…è diventata un’industria, un’entità molto più grande di quello che io avrei potuto immaginarmi.
Anche la mia posizione è cambiata. Dieci anni fa il mio lavoro era identificabile come lo stile della sezione cibo del New York Times. Oggi, dopo avere pubblicato circa 10mila immagini, so che le mie immagini continueranno a vivere nel giornale per un bel po’ di tempo, ma ci sono tanti altri fotografi.
Cosa è cambiato nella direzione artistica del New York Times da quando hai incominciato tu ad oggi?
Per molti anni, all’inizio, io non ho mai avuto la direzione artistica di nessuno. Ero il mio art director e decidevo io come fotografare il cibo, nessuno lo metteva in dubbio. Il mio photo editor si fidava che io sapessi qual era lo stile da rispettare perché era stato creato da me. Ora, però, con tanti fotografi diversi non sarebbe possibile mantenere una coerenza stilistica delle immagini senza una direzione dall’alto.
Per fare in modo che la maggior parte delle fotografie abbiano lo stesso impatto, ora ci sono linee guida da rispettare. Inevitabilmente, è diventato un ambiente molto diverso da quello che avevo conosciuto io.
Il mio approccio è sempre stato fotografare una ricetta nel modo nel quale mi sembra abbia bisogno di essere fotografata, non è un mio punto di forza riuscire ad adeguarmi a delle linee guida. Sono convinto che alcune cose stiano bene fotografate chiare, altre con una luce scura e più drammatica. C’è una stagionalità, ci sono colori diversi. Per me ogni piatto ha un suo carattere. Ora la personalità del cibo fotografato è in secondo piano rispetto alla personalità del contenitore. La sezione cibo e l’App di cucina hanno uno stile molto identificabile e non sono i singoli fotografi che lo influenzano, piuttosto si tratta del contrario.
Artisticamente la cosa mi intristisce, ma capisco che da un punto di vista commerciale sia inevitabile. La sezione cibo è un prodotto che ha bisogno di mantenere la sua identità e una certa continuità.
Tornando al tuo libro, come mai hai scelto proprio quella foto per la copertina?
Volevo un’immagine che si notasse da lontano, qualcosa di rappresentativo del mio stile che è spesso scuro e un po’ drammatico con una luce laterale.
E, a proposito di luce, nel libro parlo di quella che io chiamo “la finestra magica”, cioè la finestra orientata verso sud ovest dalla quale entra una luce magnifica nel mio studio. In questa foto, proprio sulla punta del cucchiaio, si vede la finestra magica riflessa. In altre parole, la foto di copertina racchiude molto di ciò che ho fatto nella mia carriera ed è emblematica de mio stile e del mio spazio.
Progetti per il futuro?
Sto preparando un breve film documentario per il New Yorker su uno chef di New York di origini indiane. Ci siamo conosciuti tempo fa, quando eravamo stati invitati a parlare di sostenibilità ad un congresso. Lui aveva parlato di ciò che riguarda i ristoranti e io di come rendere più sostenibile una produzione di fotografia di cibo. Siamo diventati amici e il progetto è nato così.
La sostenibilità è un argomento di cui vorrei occuparmi maggiormente. Sto anche scrivendo un libro con un collega che invita a mangiare meno carne. Ci rivolgiamo ad un pubblico che non vuole necessariamente prendere la decisione di diventare vegano o vegetariano, ma riconosce i grandi benefici di un orientamento in quel senso. Tutto ciò che può aiutare a consumare meno carne va bene.
Presto sarò anche su ClubHouse dove, insieme a Joanie Simon, discuteremo di fotografia di cibo nei suoi vari aspetti. Pubblicherò i dettagli su Instagram appena disponibili.
Website andrewscrivani.com
instagram/twitter/facebook/clubhouse @andrewscrivani
Andrew Scrivani
This Photo Makes Me Hungry
Countryman
184 pagine
Workshop online
Speakeasy
Creative Live