Franco Fratini, naturalista. Un fotografo appassionato di viaggi, di natura, di fauna. E con un palmares invidiabile in tutti questi generi come anche nella ripresa dell’avifauna. Gli abbiamo chiesto alcuni suggerimenti estremamente pratici per iniziare e per continuare sulle sue orme.
La cosa che colpisce da subito di Franco Fratini, naturalista incontrato in occasione di alcuni appuntamenti fotografici cui entrambi abbiamo partecipato, consiste nella enorme modestia e pacatezza con cui egli si propone a chi gli si trovi intorno. Volendo, potrebbe anche vantare l’esperienza fotografica in ambito naturalistico di caratura pluridecennale, piuttosto che svariate decine di piazzamenti in concorsi nazionali e internazionali o la doppia vittoria con la rappresentativa italiana alla Coppa del Mondo di Fotografia Naturalistica (2012 e 2020), ma non lo sentirete mai farlo. Eppure i suoi fotogrammi appaiono come piccoli miracoli agli occhi di noi che lo osserviamo ammirati…
Franco Fratini è dunque per prima cosa un (elegante, per quanto detto sopra) appassionato e fervente fotografo che ha fatto della fotografia un’arma personale per ritrarre la propria passione per la natura, per il mondo, per le persone e per gli animali che lo popolano. Con quel pizzico di macro flora che non guasta mai e cui difficilmente il fotografo impegnato negli ambiti di azione amati da Franco può facilmente resistere! Sono in ogni caso gli uccelli, l’avifauna, il settore per cui Franco è noto agli appassionati di settore e riguardo al quale proponiamo oggi qui una selezione delle sue opere più recenti. Genere complesso, dai soggetti intuibili ma del tutto non condizionabili. Determinabili solo se li si conosce a fondo e li si rispetta nella loro connaturata ritrosia per l’uomo. E poi, non dimentichiamolo, si tratta di creature quasi magiche perché, non scordiamolo: loro sanno volare.
Gli scatti di Franco sono, non solo come leggerete dopo, assolutamente ed indubitabilmente corretti, precisi, accurati. La preparazione tecnica che emerge dai fotogrammi che egli ci propone sul proprio sito (www.francofratini.it) parla di una lunghissima pratica sul campo e di uno studio per luoghi, tecnica e editing che oggi sono fondamentali per potersi proporre a livello globale ad un pubblico oltremodo esigente. Oggi meno di ieri la fotografia naturalistica (seria, professionale) non la si fa improvvisando in base a ciò che ci troviamo davanti durante le nostre escursioni più avventurose bensì con studio, impegno ed una buona dosa di determinazione. Anche con qualche investimento, inutile negarlo.
Ma non basta questo, certo, perché poi c’è il gusto estetico, l’interpretazione artistica, la composizione, la luce. Tutti Elementi che rappresentano la parte non scontata del saper fotografare in simili situazioni ed in generale in qualsiasi ambito ove il ruolo del fotografo, dell’artista o, meglio, dell’autore, sia parte predominante nell’ottenere un’opera che piaccia, che interessi, che ispiri qualcosa al pubblico di riferimento. Inutile dire che, sfogliando il portfolio online che Franco Fratini ci mette a disposizione, queste doti emergono, eccome.
Approfittiamo dunque di Franco per una panoramica a volo d’uccello (mai termini furono più adatti al contesto!) su come, dove, quando e perché della fotografia naturalistica con un particolare occhio di riguardo ad un genere che egli dimostra di amare ma soprattutto di padroneggiare in modo eccellente a fronte di una innegabile difficoltà (e fascino) operativi: la fotografia dell’avifauna.
I commenti agli scatti che trovate in questa intervista sono tratti in parte dal libro “Sguardi”, pubblicato da Franco Fratini con Anna Milanesi, sua moglie, nel mese di aprile 2021. Anna segue spesso Franco durante i suoi viaggi, annotando impressioni personali sui luoghi visitati e buona parte del materiale che leggerete qui sotto forma di commento alle riprese. Il libro “Sguardi” (in formato Kindle e disponibile su Amazon) nasce in periodo di lock-down al fine di ripercorrere i viaggi degli ultimi anni e raccogliere tutto in un libro fotografico che, per ora, è disponibile in versione digitale ma che presto troverà anche una sua forma cartacea su richiesta.
Prima fotografo o prima appassionato di viaggio, Franco? E quando è arrivata la fotografia naturalistica e l’avifauna?
Direi che avendo iniziato ad incuriosirmi di fotografia quando, a cinque anni, vedevo mio papà armeggiare con la fotocamera, è arrivata prima di tutto la fotografia. Il fotografo di casa era infatti mio papà, che ogni tanto tirava fuori dal cassetto la Zeiss Ikon. Naturalmente era proibito anche avvicinarmi a questo oggetto misterioso.
Quando iniziai la scuola, ricevetti in regalo per l’Epifania dalla Stipel (vecchio nome di Telecom Italia) dove mio papà lavorava, una Flocon, macchina fotografica di plastica che per me era fantastica. Dopo un paio di anni, visto il mio entusiasmo per le foto, i miei mi regalarono una Kodak Instamatic, formato quadrato con il caricatore monoblocco da 12 pose. Ma solo quando la scuola organizzò un corso di fotografia le cose cambiarono veramente.
Trattandosi di “scuola”, infatti, ebbi il grande privilegio di utilizzare la Zeiss e di acquisire le prime conoscenze di base su tempi, diaframmi e messa a fuoco, che mi sarebbero servite in futuro. Continuai ad usare la Zeiss fino al 1977, quando in Grecia, durante un viaggio con i miei compagni di scuola stile “zaino in spalla”, decise di abbandonarmi.
Seguirono tre anni durante i quali mi allontanai dalla fotografia, non per disinteresse, ma perchè ero distratto da altre cose, attività sportive, altri interessi. Seguivo sempre però i documentari sulla natura ed ero attratto soprattutto da quelli che mostravano i comportamenti degli animali e scene subacquee: Cousteau era ovviamente il mio mito.
Nel 1980 durante una vacanza in Sicilia un mio amico si presentò con una Olympus OM1 nuova nuova e un po’ perchè la Sicilia era una scoperta, un po’ perchè la passione era sempre lì in agguato, al ritorno riuscii a convincere la famiglia che una reflex era veramente necessaria. Essendo io ancora studente non avevo la disponibilità economica per un acquisto così impegnativo.
Acquistai una Olympus OM10 che mi seguì per 15 anni. Con amici riuscimmo anche ad allestire la classica camera oscura casalinga e, come tutti gli aspiranti fotografi, anche noi passammo molte ore a fare esperimenti di sviluppo e stampa in bianco e nero. Devo dire con risultati non molto incoraggianti.
Nel 1988, si aprì un nuovo capitolo fotografico, infatti Anna ed io ci iscrivemmo ad un corso di sub e naturalmente, ricordando Cousteau, fin dalla prima immersione, mi presentai con la OM10 in uno scafandro. Successivamente ebbi l’opportunità di comperare una Nikonos V con cui per i successivi anni, fino al 2006, scattai migliaia di diapositive in mari italiani e non.
Fino alla fine degli anni 80 la mia attività fotografica è stata molto associata ai viaggi e alle vacanze. Con qualche amico molto appassionato di natura, in quel periodo iniziammo a fare gite fotografiche brevi, con lo scopo di fotografare una volta i camosci, una volta qualche anatra rara venuta a svernare in Italia o qualunque altro animale. Questo spostò molto il mio interesse fotografico verso la natura, e mi portò, nel tempo, a dedicare molto tempo a documentarmi e a cercare posti nuovi.
Da allora, la natura non mi attira solo dal punto di vista fotografico, il coinvolgimento va oltre. Osservare con calma e passeggiare per giornate nei campi, in montagna, lungo i fiumi è rilassante, è ossigeno in tutti i sensi.
Nel frattempo, il digitale iniziava ad essere una realtà ma, nonostante il mio lavoro fosse nell’ambito digitale, ebbi delle difficoltà ad accettare la nuova tecnologia.
Volendo però usufruire delle mie immagini in forma di file, decisi di acquistare uno scanner Nikon, con cui digitalizzai molti negativi e molte dia. Ma i risultati non erano buoni, così nel 2004 decisi che anche per me era arrivato il momento del grande passo: il digitale. Dando per scontato che i principi fondamentali della tecnica fossero gli stessi, acquistai la D70 ed un 70-300 mm. Iniziai così il nuovo percorso, guidato sempre dalla passione per la natura.
Un paio di anni più tardi, alcuni amici, mi consigliarono di postare qualche scatto su un forum fotografico, cosa che feci con un po’ di diffidenza. Superato il primo impatto con le giuste critiche, capii che i molti anni passati a guardare solo le mie foto erano stati di poco aiuto.
Con i consigli raccolti in rete ottenni qualche miglioramento ma il cambio vero avvenne nel 2008, quando decisi di frequentare workshop con professionisti, scoprendo nuove tecniche e l’importanza della postproduzione. I miei maestri sono stati, tra gli altri, Carlo Pinasco, Fabio Blanco, Maurizio Biancarelli, Bruno De Faveri. Da ognuno di loro ho acquisito importanti nozioni sulla tecnica, sulla lettura delle immagini e sul “funzionamento” della natura. Fu così chiaro quanta strada dovevo ancora percorrere, ma almeno a questo punto, avevo dei riferimenti.
Dato per assodato che la condivisione è ciò che consente di migliorare e di arricchire il proprio bagaglio, nel 2009 decisi di iscrivermi ad un circolo fotografico e scelsi il San Paolo di Rho. Anche questa fu una scelta molto significativa per la mia attività fotografica.
Diamo subito qualche indicazione di riferimento pratico: con che attrezzatura scatti oggi Franco? E con quali strumenti hai scattato in passato?
La prima reflex fu una Olympus OM10, solo automatica, con classico corredo 28mm, 50mm e 80-200mm. La utilizzai tra il 1980 ed il 1995, quando passai a Nikon FM facendo apparentemente un passo indietro. Infatti la FM è completamente meccanica e funziona solo in manuale, ma proprio questo mi insegnò a valutare l’esposizione ad ogni scatto. Dopo altri nove anni passai al digitale con la D70, sostituita poi da altri modelli formato DX. Nel 2012 decisi che era tempo di provare una Full Frame ed acquistai una D700. Oggi ho ancora un corredo Nikon: Nikon D5 e Nikon D500 con ottiche che vanno dal 14mm al 300mm, tutte f/2,8 (a cui abbino i moltiplicatori di focale) più un Sigma 180 f/2,8 per macrofotografia.
Un corredo piuttosto pesante, ormai superato dalle moderne e leggere mirrorless la cui qualità non è certo inferiore. Penso che tra qualche tempo anch’io passerò alla nuova tecnologia, anche se mi spiacerà separarmi da ciò che ho desiderato a lungo e che oggi possiedo e che conosco a fondo.
Sono comunque convinto di un fatto: è molto più importante conoscere bene la propria attrezzatura che avere il modello più performante. Per quanto la tecnologia sia avanzata è sempre il fotografo che nel bene e nel male fa la foto. Un autore cambia registro nello scattare quando lo vuole fortemente e decide di farlo, mai quando cambia attrezzatura.
Tagliamo la testa al toro: si tratta di un genere economicamente oneroso da portare avanti, in termini logistici e di attrezzature coinvolte?
Inutile negarlo, la fotografia naturalistica richiede molto, sia come impegno economico, le ottiche lunghe costano, sia come impegno fisico, lo zaino medio si aggira intorno ai 15 Kg. Per quanto riguarda l’aspetto economico io ho sempre acquistato materiale usato e non ho mai avuto problemi per questo. Per il peso e l’ingombro mi sono fermato al 300mm f/2,8 e per “allungarlo” utilizzo i moltiplicatori di focale. Questo mi consente di raggiungere un 900mm f/5,6 equivalente quando utilizzo la D500 che è una DX.
So che molti sono perplessi o addirittura contrari ai TC. Io penso che non siano qualitativamente equivalenti alle ottiche pure, ma consentano una portabilità molto migliore senza grande perdita di qualità. Non credo che la perfezione tecnica sia il fattore determinante per il risultato finale. Se una foto presenta un dettaglio non perfetto o ha un po’ di rumore ma il soggetto, le luci, la dinamica, la composizione ed i contenuti sono validi, dal mio punto di vista merita più di una foto perfetta ma meno significativa.
Se dovessi suggerire a chi inizia ad appassionarsi alla fotografia avifaunistica un’attrezzatura per iniziare a riprendere che cosa gli consiglieresti? E dove si va a fotografare quando si inizia? Un safari africano forse è troppo, la gita ai giardinetti forse poco motivante, quindi? Quali sono i momenti e le stagioni migliori per dedicarsi alla fotografia avifaunistica?
Iniziamo dall’attrezzatura. Considerando l’avifauna come soggetto le distanze non sono mai piccole, quindi penso che iniziare con un’ottica inferiore ai 300mm sia frustrante e il rischio di accantonare l’idea sia alto. Oggi sono in commercio diversi zoom validi nel range 150 – 600mm, anche se per fare un esperimento sono comunque troppo costosi. Se non si ha un amico disposto a prestarli, una soluzione potrebbe essere quella di noleggiarli, così ci si rende conto anche di come sia trasportare tutto il giorno pesi a cui non si è abituati.
Ci sono però luoghi controllati in cui si possono scattare foto a distanza molto ravvicinata, grazie alla confidenza di alcuni uccelli ormai abituati alla presenza umana. L’oasi di Racconigi, ad esempio, ospita molte specie di anatidi confidenti disposti a farsi fotografare a distanza ravvicinata. Naturalmente l’aspetto “wild” manca, ma almeno si può familiarizzare con l’attrezzatura e sperimentare le tecniche con soggetti sempre in movimento.
La stagione migliore per fotografare gli animali dipende dalla specie. Per l’avifauna in particolare due buone stagioni sono quelle dei passi migratori: in primavera e autunno. Generalmente corsi d’acqua e paludi costituiscono i percorsi definiti anche “autostrade migratorie” lungo i quali molti uccelli sostano per recuperare le energie.
Molte specie fanno però eccezione, i gruccioni ad esempio sono presenti da fine aprile a metà agosto ed il mese migliore per fotografarli è maggio. Il martin pescatore è stanziale e si può fotografare tutto l’anno. Un altro buon periodo è quello da giugno a inizio luglio: cavalieri d’Italia, sterne, ardeidi ed altre specie nidificanti hanno i piccoli da nutrire frequentemente. Per gli anatidi la stagione migliore è l’inverno dato che ai primi caldi migrano a Nord in cerca di climi più freschi. Da qui l’importanza di conoscere le specie, anche solo per sapere dove e quando trovarle. Anche i “giardinetti” tuttavia possono riservare sorprese, a un occhio attento.
Oggi la vita del fotografo naturalista pare semplificata all’estremo dalle innumerevoli introduzioni tecnologiche che nel corso degli ultimi anni ci hanno messo in mano strumenti di ripresa apparentemente a prova di errore: stabilizzazione, Iso astronomici incredibilmente puliti, autonomie energetiche infinite, il Live View e l’anteprima digitale, range dinamici e Raw infiniti, un editing digitale di livello professionale a costi irrisori. Quale di questi elementi, o altri, è realmente importante a tuo parere nella fotografia naturalistica ed avifaunistica? E cosa continua a fare la differenza tra un’ottima fotografia ed una mediocre, essendo che di mediocri ancora se ne vedono parecchie?
Quello che l’evoluzione ha fatto, digitale in primis, è stato offrire agli amatori le stesse possibilità di scatto dei professionisti. Le raffiche a costo zero e la post in camera chiara sono strumenti indubbiamente potenti. Questo ha fatto elevare molto il livello medio delle immagini. Non è vero, tuttavia, che chiunque possa ottenere ottimi scatti, per questo nessun fattore tecnologico da solo è sufficiente.
Indubbiamente il progresso tecnologico aiuta, ma ogni funzionalità va utilizzata in modo corretto, altrimenti potrebbe essere controproducente. Un esempio banale ma che rende l’idea: il live view aiuta molto nelle fotografie di paesaggio e nelle macro ma non serve nelle riprese di soggetti in movimento. I moderni sensori permettono ISO impensabili anni fa, e questo è molto utile quando la luce scarseggia, per esempio al mattino presto, e si vogliono scattare immagini di uccelli in volo. Occorre però sapere come scattare con alti ISO, cioè ottenendo sempre immagini molto chiare, al limite del sovraesposto, che andranno poi scurite in post. Se si utilizzano ISO elevati ma per avere un tempo breve si sottoespone lo scatto e quando in post si recuperano le ombre compare molto rumore.
Non doversi curare molto degli ISO permette di scattare con la macchina impostata in manuale, ma con ISO AUTO. Questo sistema lascia liberi di utilizzare un diaframma adeguato alla profondità di campo desiderata ed un tempo che eviti il mosso, pur essendo sempre pronti allo scatto e lasciando che la macchina compensi la luce agendo sugli ISO.
Uno dei temi più complessi e difficili è la messa a fuoco. Se per i soggetti fermi non ci sono molti problemi, quando si fotografano uccelli in volo non è mai semplice regolare le impostazioni della messa a fuoco in modo corretto. Io utilizzo sempre la messa a fuoco continua, un solo punto coadiuvato dai circostanti attivato solo dal tasto AF posteriore. Ho spento l’attivazione dell’autofocus con il tasto di scatto. Questo mi consente di non dover mai cambiare le impostazioni dell’AF ed essere sempre pronto sia con soggetti fermi che con soggetti in movimento.
Per rispondere all’ultima domanda penso che le cose importanti siano quelle di sempre: esporre correttamente (per il digitale si intende) osservando attentamente l’istogramma, mettere bene a fuoco il soggetto e comporre in modo efficace. Lo scatto che esce dal gruppo, oltre a queste caratteristiche, deve rappresentare un momento particolare, deve presentare una buona interpretazione della luce, deve comunicare l’attenzione, la preparazione dello scatto, la passione dell’autore per la natura e per la fotografia. Deve raccontare l’emozione di quell’attimo.
Che importanza attribuisci e come si ottimizza, secondo te, la resa di questi importanti elementi della ripresa naturalistica: luce, contesto, soggetto, momento, composizione? A quale di questi sei portato ad attribuire la maggiore importanza quando prepari gli scatti utili a partecipare ad un concorso fotografico o quando osservi, per esempio, uno scatto di altri presentato in contesto concorsistico di cui sei giudice?
Tutti gli elementi che citi sono importanti, difficile fare una classifica. In certe immagini è fondamentale la luce, ma in altre l’assenza di ombre, che fa pensare ad un appiattimento, produce una morbidezza molto apprezzabile. Certe volte il soggetto, contrariamente a quanto si può pensare, potrebbe non essere l’elemento determinante per la qualità finale, se composizione e luce sono ben gestiti.
Alla lista aggiungo un elemento che secondo me è di fondamentale importanza: lo sfondo. Una foto con un bel soggetto in buona luce, ritratto nel momento giusto potrebbe essere compromessa da uno sfondo confuso, troppo leggibile o cromaticamente non adatto. Un consiglio che mi sento di dare in caso di appostamento è scegliere il luogo in base alla luce che si vuole ottenere, ma anche in funzione dello sfondo. La presenza di una macchia chiara o scura, di un colore non adeguato, un elemento di disturbo potrebbe essere evitata spostandosi di pochissimo, salvando così gli scatti di un’intera sessione.
Nessuno di questi elementi (luce, contesto, soggetto, momento, composizione) è di per sé determinante. Il valore dello scatto è dato da ciò che riesce a comunicare, magari anche contravvenendo alle classiche regole della “buona fotografia”. Una forte sotto- o sovra esposizione (low- high key), un mosso intenzionale (panning), una particolare dominante cromatica esprimono la creatività dell’autore. Di tutto questo tengo conto quando valuto una foto.
Il premio che hai maggiormente apprezzato quando ti è stato riconosciuto? Perché?
Sicuramente il premio più gradito è stata la prima Coppa del Mondo Natura vinta nel 2012 con la Nazionale Italiana. Era la prima volta che inviavo immagini per la selezione e già sapere che una mia immagine era stata scelta era stato come avere vinto. Quando poi mi ha telefonato il commissario italiano per dirmi che avevamo vinto la Coppa e che io avevo contribuito con due foto ho avuto bisogno di un certo tempo per capire che non si trattava di un malinteso. Partecipavo a concorsi federali solo da tre anni e non mi sembrava possibile essere arrivato così in alto.
Quali sono le principali complessità nella fotografia dell’avifauna selvatica e come si superano? E’ possibile indicare quali siano le principali tecniche di ripresa nell’ambito di questo genere fotografico? Grandi appostamenti e manuale? Trappole fotografiche e automatismi? Altre ancora?
Per tutti gli animali selvatici, avifauna inclusa, la cosa più importante è conoscere la specie e le sue abitudini. Sapere quali siano i comportamenti tipici aiuta molto nel prevedere cosa succederà. Non è ovviamente predicibile con certezza, ma molte specie sono abitudinarie, seguono percorsi ripetitivi, hanno tempi di azione prevedibili. Per esempio, quando una femmina di gruccione sul posatoio fa vibrare la coda è perché ha visto volare in zona il maschio e lo sta richiamando, quindi se lo si vuole fotografare in atterraggio è il momento di stare pronti.
Una delle cose più difficili è avvicinarsi ai soggetti. Bisogna considerare che la fauna selvatica si sente sempre minacciata dall’uomo cacciatore ed inoltre l’uomo ha la cosiddetta vista frontale, tipica dei predatori. In natura i predatori vedono di fronte (felini,rapaci, ecc) dove si trova la preda, mentre le prede vedono lateralmente e posteriormente perché devono sorvegliare l’intero perimetro.
Osservare quindi un animale direttamente è sintomo di minaccia, come lo è avvicinarsi ad esso in linea retta. Avvicinarsi lentamente e secondo linee oblique senza osservarlo aiuterà a non allarmarlo troppo presto. Anche con i capanni non è semplice perché certe volte non vengono accettati e suscitano diffidenza.
Occorre anche stare molto attenti alle conseguenze che possiamo provocare con la nostra presenza. Ogni nostro movimento è osservato come una minaccia e già questo provoca stress negli animali. Se poi è in corso la nidificazione i danni possono essere anche maggiori, fino ad indurre l’abbandono del nido. È quindi sempre buona regola informarsi sulla specie che si va a fotografare prima di organizzare una uscita.
Le tecniche fotografiche utilizzate vanno dalla fotografia itinerante, in cui occorre avere sempre l’attrezzatura pronta con le impostazioni corrette per essere pronti in ogni occasione, alla foto di appostamento in cui si ha maggior controllo ma si è più limitati nel campo di azione. L’utilizzo del treppiede, oltre a garantire una buona stabilità, permette di utilizzare un posatoio per preimpostare la messa a fuoco ed essere pronti alla raffica quando il soggetto arriva. In questo caso meglio utilizzare un comando remoto e osservare la scena dal vivo. Attraverso il mirino, infatti, non si vedrebbe arrivare il soggetto con sufficiente anticipo.
Io raramente scatto in manuale, utilizzo prevalentemente l’automatismo a priorità di diaframmi oppure il manuale con ISO auto, che a tutti gli effetti è una modalità automatica, agendo sulla compensazione dell’esposizione. Utilizzo la priorità di tempi solo quando voglio esattamente quel tempo, quindi in situazione di panning o di mosso controllato, come ad esempio per una cascata con effetto seta. Ma questo non è da intendersi come regola.
Ognuno infatti, dopo un po’ di pratica, troverà la modalità migliore per il suo modo di scattare. Le fototrappole sono senz’altro utili in certe situazioni, soprattutto con animali notturni, anche se personalmente non le ho mai utilizzate.
Negli ultimi anni uno degli elementi ricorrenti che abbiamo visto spesso ricercati da fotografi dedicati alla fotografia naturalistica è il ritrarre soggetti animali in posture o gestualità tipiche della specie umana più che non delle specie cui essi appartengono. Una ricerca di antropizzazione fine a rendere gli scatti più appetibili sul fronte del pubblico ma forse meno condivisibile da un punto di vista naturalistico. Cose ne pensi? E’ così anche per l’avifauna?
Personalmente non sono molto attirato da questo genere di immagini, penso che il bello sia ritrarre ogni specie nei suoi atteggiamenti più tipici, che spesso nascondono motivi non del tutto conosciuti. In natura difficilmente viene fatto qualcosa senza un motivo. Si può spaziare dalle tecniche di caccia alle cure parentali, tutto avviene con uno scopo preciso. Mi sembra bello documentare questi aspetti e capirne il motivo. Per l’avifauna le similitudini con l’uomo sono minori. Come esempio di questo genere potremmo pensare ai doni nuziali che in alcune specie, come gruccioni, martin pescatore ed altri, vengono scambiati nel periodo del corteggiamento. In questo caso, dato che il gesto è tipico della specie, concordo sul fatto di ritrarlo.
Che ruolo ha oggi l’editing digitale nella preparazione di uno scatto naturalistico destinato alla diffusione a anche alla presentazione all’interno di un ambito concorsistico? Ho la sensazione che la preparazione odierna di molti appassionati sia, sotto questo punto di vista, ancora carente. Cosa ne pensi?
La post produzione è una parte della fotografia digitale che fa molto discutere: alcuni la considerano una scorrettezza, altri, come me, la vedono come un naturale complemento alla fase di scatto. In ogni caso che la macchina restituisca la verità è un mito da sfatare. Basta infatti cambiare macchina che il risultato cambia. Quindi dato che non possono esistere più verità diverse tra loro, il fatto è che la verità è ciò che il fotografo vuole esprimere, non quello che legge la macchina.
Che per raggiungere il risultato desiderato si utilizzino le impostazioni in fase di scatto o si rifinisca poi in post mi sembra del tutto irrilevante.
Basti pensare a quando si realizzano dei low key in controluce: il profilo del soggetto è disegnato solo da una linea, ma certamente l’occhio vedeva una scena completamente diversa. Quindi già in fase di scatto abbiamo (giustamente e volutamente) alterato la realtà.
I sensori, per quanto avanzati, vedono diversamente dai nostri occhi, e i fotografi sfruttano questa caratteristica per ottenere immagini sorprendenti. Accadeva già con la pellicola. Nei concorsi a tema natura la post ha delle regole che non permettono di cambiare il contenuto dei pixel, non si possono aggiungere o togliere oggetti se non con il ritaglio. È permesso regolare i toni, il bilanciamento cromatico, agire moderatamente sulla rimozione rumore e sulla nitidezza, purché il risultato appaia naturale.
Personalmente adotto queste regole anche per le immagini che non invio a nessun concorso. Mi sembra un buon metodo in generale. Nei concorsi si vedono immagini molto ben post prodotte e anche foto molto valide che sono però penalizzate da una post non adeguata.
In effetti la capacità di modificare le immagini non ha molto a che vedere con la cultura fotografica in sè, occorrono competenze diverse che prima del digitale non erano richieste. Per contro il primo passo della post è identificare le debolezze dell’immagine, cosa molto difficile ma molto utile perché spinge ad una lettura critica della propria foto.
Provvedi da solo alla post produzione dei tuoi fotogrammi? Quale è un tuo tipico flusso di lavoro in editing?
Si, come ho detto la post produzione fa parte del processo fotografico, in ambito amatoriale penso che sia giusto che un’immagine sia realizzata completamente dall’autore senza interventi esterni. Oltre a questo devo dire che la post mi piace, vuoi perché vedo emergere dalle foto i particolari e le luci che ho in mente, vuoi forse per la mia estrazione tecnica, legata alla formazione e al lavoro che svolgevo.
Per migliorare le mie capacità ho frequentato l’Accademia di Postproduzione, corso molto interessante e completo che mi ha fornito molti elementi utili, sia sotto il profilo tecnico che per la lettura delle immagini.
Il mio flusso di lavoro è piuttosto classico, sviluppo il RAW con Capture One e quando è il caso ricorro a Adobe Photoshop per una rifinitura dei colori o per enfatizzare alcuni aspetti dell’immagine. Non faccio ricorso a filtri e plugin. Per un periodo ho utilizzato la suite di Nik Soft ma ultimamente preferisco lavorare solo con gli strumenti di Photoshop. Sento parlare bene dei filtri che si basano su Intelligenza Artificiale (come Luminar AI di Skylum, ndr) ma personalmente non li ho mai provati.
Solitamente chiediamo ai nostri autori intervistati due tipi di intervento ‘collaterali’. Il primo: puoi dare a chi leggerà questa intervista 5 esercizi o 5 suggerimenti utili a migliorarsi nel complesso ambito della fotografia naturalistica?
Sicuramente per ottenere buone immagini, ma anche per tenere un comportamento corretto in natura, la cosa più importante è conoscere gli ambienti e gli animali che li abitano. Cosa non semplice e non attuabile in breve. Io ho appreso molto da altri fotografi, leggendo articoli, libri e pubblicazioni, ascoltando conferenze, ma so di conoscere ancora pochissimo sul funzionamento della natura.
Altro consiglio che mi sento di dare è fare domande agli altri fotografi, sia tecniche che sui soggetti. Da questi scambi io ho imparato molto, chiedere non significa dimostrare di non sapere, ma di voler imparare. Per quanto possa sembrare strano un altro consiglio è pubblicare scatti sui forum fotografici. Certo, su molti se ne sentono di tutti i colori, cose giuste ed altre meno, ma dopo poco si capisce come leggere i commenti e si impara a distinguere quelli giusti. Il confronto critico è un fattore molto potente, a patto di mettersi in gioco e accettare critiche alle proprie foto. Anche iscriversi ad un circolo fotografico è una esperienza interessante ed arricchente.
Anche se gli altri soci non sono fotografi naturalisti potranno dare importanti indicazioni sulla qualità delle immagini, si tratta dopotutto sempre di fotografie. Ad esempio, ed arriviamo al quinto consiglio, potranno certamente dare indicazioni sulla post. L’ultimo suggerimento è infatti quello di migliorare la post produzione, magari iscrivendosi ad un corso o seguendo consigli di esperti.
Il secondo: potresti scegliere dal tuo archivio quella che puoi ritenere ‘la tua fotografia preferita’ e raccontarci qualche cosa in più su di essa? Quando ed in che contesto l’hai scattata? Che cosa rappresenta per te e perché ti è cara?
Non posso dire di avere una fotografia “preferita”. Ci sono foto che mi sono care perché sono associate a momenti particolari: appostamenti lunghi o in condizioni difficili, in situazioni emotive particolari…
…in ambientazioni suggestive…
Altre immagini mi hanno sorpreso rivelando dettagli che non avevo colto in fase di scatto, ad esempio a causa della velocità con cui si era svolta la scena…
Per parafrasare Nazim Hikmet, la foto migliore è quella che non ho ancora scattato.
Ultimissima, al di là della fotografia: cosa ami dei soggetti che fotografi?
Sono sempre stato attratto dagli animali, selvatici o domestici che fossero. Mi piace osservare i comportamenti, rimango stupito ogni volta che vedo come fanno a costruire il nido, sono incredulo pensando a tutti gli stratagemmi che mettono in atto per difendersi dai predatori. A esempio il fatto che i gruccioni scavino il nido nelle pareti verticali di sabbia per evitare che entri il biacco a predare le uova e che facciano anche dei falsi cunicoli a fondo cieco per depistare il predatore ha dell’incredibile. Ma anche che una coppia di rondini a distanza di un anno torni dall’Africa e ritrovi lo stesso nido dell’anno precedente è fantastico.
Insomma, come si fa a non ammirarli?
Grazie mille Franco, complimenti per il tuo lavoro e per il tuo modo di approcciare la fotografia.
L’idea di poter ritrarre ciò che mi circondava mi ha affascinato fin da ragazzo. La fotografia è così diventata una vera e propria passione. All’inizio era più un interesse per la “tecnica fotografica”, ma nel tempo è cresciuto l’interesse per gli aspetti legati alla rappresentazione e all’interpretazione del soggetto. Dapprima mi sono dedicato alla fotografia di viaggio e, successivamente, mi sono avvicinato alla foto naturalistica che richiede lunghi appostamenti, spesso in condizioni disagevoli, ma che regala grandi soddisfazioni, soprattutto quando ci si imbatte in qualcosa di inaspettato. Fino al 2004 ho utilizzato attrezzatura a pellicola, poi sono passato al digitale che, unitamente ad Internet, mi ha offerto la possibilità di confrontarmi con altri fotografi, di affinare la tecnica e scoprire nuovi aspetti della fotografia. Dal 2009 faccio parte del Gruppo Fotografico San Paolo di Rho e nel 2016 ne sono stato eletto presidente.
Ho all’attivo pubblicazioni su riviste di foto natura (Foto Cult, Asferico ed altre) e libri di ornitologia. Mie immagini sono presenti su diverse edizioni dell’“Annuario Fotografico“ della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche.
Nel 2012 e nel 2020, con la nazionale italiana ho vinto la COPPA DEL MONDO di Fotografia Naturalistica.
La FIAP mi ha conferito le seguenti onorificenze per i risultati conseguiti in concorsi internazionali:
AFIAP (Artista della Federation Internationale de l’Art Photographique) nel 2012
FIAP (Eccellenza internazionale) nel 2015
EFIAP/b (Eccellenza internazionale livello bronzo) nel 2017
EFIAP/s (Eccellenza internazionale livello argento) nel 2019
EFIAP/g (Eccellenza internazionale livello oro) nel 2020
Nel 2018 mi sono diplomato alla ACCADEMIA di post produzione di Fotografia Professionale.
Nel 2021, con Anna, mia moglie, abbiamo pubblicato il libro fotografico “SGUARDI”.
Ho fatto parte di giurie in concorsi nazionali ed internazionali.
www.francofratini.it
www.facebook.com/francofratinifoto
www.instagram.com/franco_fratini