Ha pubblicato oltre 10.000 immagini sul New York Times ed è uno dei fotografi di cibo con più esperienza in assoluto al mondo. Di cosa si sta occupando in questo momento e cosa consiglia ai lettori di Fotografia.it?
Andrew Scrivani ha uno stile fotografico di grande impatto ed è il professionista con cui il New York Times ha creato e sviluppato la sezione dedicata al cibo, un grande successo editoriale. Quando era uscito il suo libro “That Photo Makes Me Hungry”, gli avevo chiesto di raccontare ai lettori di fotografia.it la sua carriera e il suo stile fotografico.
Adesso, ad oltre un anno di distanza, ci sono delle novità: il vulcanico fotografo italo-americano ha aperto la Andrew Scrivani Accademy, una scuola con una impostazione molto particolare che rappresenta già un punto di riferimento per il settore. Ho voluto chiedergli di cosa si tratta e ho approfittato dell’occasione per domandargli anche tante altre cose..
Il modo di fotografare il cibo cambia e si evolve con una certa rapidità, secondo te quanto è importante per un fotografo seguire le tendenze?
Ci sono cibi che diventano di moda, per esempio l’açai o il cavolo nero hanno avuto i loro momenti di notorietà e sono stati molto fotografati. In quei casi si tratta di soggetti che è bene inserire nelle proprie immagini perché interessano. Poi ci sono le tendenze creative, come la luce dura che è stata molto utilizzata nelle fotografie di cibo ed ora la si vede meno perché abbiamo avuto una sorta di overdose visiva di quei contrasti. Quando un certo gusto estetico comincia a vedersi e piace, molti fotografi si adeguano e producono una marea di immagini che… sembrano tutte uguali!
A mio avviso è fondamentale informarsi sulle tendenze, ma occorre anche fare attenzione a non piegare troppo il proprio stile a ciò che è passeggero. In altre parole, il mio consiglio è di rimanere aggiornati, essere disponibili ad adattarsi alle indicazioni creative e, nello stesso tempo, rimanere fedeli al proprio modo di fotografare.
Nel mio caso, ho imparato ad accontentare i clienti senza snaturare la mia impronta creativa. Per fare un esempio concreto, io amo molto creare atmosfere piuttosto scure e pittoriche e quando il New York Times – il mio cliente principale – ha deciso di allontanarsi da quell’approccio per preferire uno stile più chiaro e luminoso, ho dovuto ingegnarmi. Loro volevano qualcosa più simile al modo in cui scattano i blogger e non era esattamente il modo in cui lavoro io. Ho cercato qualcosa che mi convincesse ed è lì che mi è venuta in aiuto l’illuminazione a LED perché mi ha consentito di ricreare la morbidezza della luce naturale con l’intensità delle ombre profonde: la combinazione che stavo cercando. In pratica ho trovato un nuovo ritmo per le mie immagini. Se prima c’erano molte zone scure e molte ombre con alcune punti ben illuminati, ho capovolto la proporzione e dato più spazio alla luce senza rinunciare alla plasticità e ai chiaroscuri delle mie fotografie. Il risultato è rimasto fedele al mio stile ed ha anche soddisfatto le nuove esigenze del mio cliente.
Come vedi la situazione della fotografia professionale di cibo in questo momento?
È un settore molto saturo di offerta al quale si sono aggiunti gli influencers che spesso non si fanno pagare adeguatamente. Non mi stancherò mai di ripetere quanto sia importante sapere spiegare ai clienti il valore della nostra fotografia e condurre una trattativa sui prezzi che sia realista e tenga in considerazione le nostre spese, la preparazione, i diritti di utilizzo… Altrimenti si genera una spirale al ribasso insostenibile (anche per gli influencer).
Oltre ad imparare a negoziare un prezzo adeguato,c’è qualche altro aspetto della fotografia di cibo che ti sembra venga trascurato e che, invece, avrebbe bisogno di maggiore attenzione?
A mio avviso, troppo spesso i fotografi sottovalutano l’importanza di essere accurati nel rappresentare la cultura legata al cibo che fotografano. Se, per esempio, fotografando un piatto asiatico vengono posizionate le bacchette nel modo sbagliato, il fotografo sta dimostrando di non essersi documentato e rivela una scarsa sensibilità. Purtroppo, negli ultimi tempi siamo in preda ad una specie di smania di mettere qualcosa davanti al nostro obiettivo, scattare e poi condividere subito online. Sono i social media che ci hanno ridotti così, ma se ci abituiamo a rallentare un pochino e studiare meglio le immagini che vogliamo realizzare (soprattutto se si tratta di immagini che non si riferiscono alla nostra cultura), otterremo dei risultati di maggiore qualità e che rispettano i temi trattati.
Che consigli daresti ai fotografi che sono esperti, ma in aree diverse dalla fotografia culinaria?
Delle buone immagini di cibo nascono dall’interazione di tre diverse specializzazioni: fotografia, preparazione dei cibi e scelta degli oggetti di scena. Lasciamo un momento da parte l’ultimo aspetto e concentriamoci su scatti e food-styling. Molti fotografi che hanno una formazione in un altro ambito – per esempio ritratto – quando incominciano ad occuparsi di cibo cercano di applicare le proprie conoscenze alle pietanze. Presto si rendono conto di dovere cambiare approccio per quanto riguarda inquadrature, l’illuminazione ed altri aspetti tecnici. Ma non basta. Occorre acquistare una certa dimestichezza con il cibo, sapere apprezzare la sua preparazione e familiarizzare con le sue caratteristiche. Per questo motivo io consiglio sempre di cominciare dalla spesa e poi proseguire… spadellando. Si tratta di capire la differenza tra preparare una cena per la propria famiglia o cucinare per la macchina fotografica. Chi ha molta esperienza fotografica, spesso ha bisogno di impratichirsi con il nuovo soggetto per riuscire a fotografarlo meglio. All’estremo opposto, ci sono gli appassionati di cucina che non hanno una grande conoscenza del mezzo fotografico: preparano bene i piatti ma poi non riescono a realizzare le immagini che vorrebbero.
Quando insegni, hai più studenti ben preparati fotograficamente o appassionati di cucina?
Generalmente ho un buon equilibrio dei due opposti – diciamo metà e metà – ed è un bene perché posso assegnare degli esercizi a coppie o a piccoli gruppi e abbinare persone ben preparate ai fornelli con quelle molto abili con la macchina fotografica. In questo modo imparano gli uni dagli altri lavorando insieme. Ho collaudato questo metodo nei miei corsi di persona ed ora lo sto anche applicando con ottimi risultati alle lezioni che insegno online sulla mia nuova piattaforma.
Parlaci di questa novità..
Mi occupo di didattica della fotografia da oltre dieci anni. Ho insegnato nelle scuole dove mi hanno invitato e, dal momento che ho un seguito consistente, ho sempre portato io degli studenti ai corsi. Un giorno mi sono detto: perché non creo io la mia piattaforma? Così è nata la Andrew Scrivani Accademy.
Chi sono i primi partecipanti?
Ho cominciato invitando le persone che hanno già frequentato un programma di formazione con me e quelle che seguo con delle lezioni individuali. L’Accademy è prima di tutto una comunità dove ci si può incontrare, scambiare opinioni, imparare, crescere professionalmente e contare sugli altri. Il fatto che ci sia una iscrizione da pagare garantisce che tuti i partecipanti siano altamente motivati e l’atmosfera è molto diversa da quella di un gruppo su un social media. È anche particolarmente stimolante il fatto che partecipino persone da tutto il mondo con formazioni piuttosto diverse. Oltre a questo abbonamento base, presto sarà possibile acquistare dei corsi o delle lezioni individuali.
Delle buone immagini di cibo nascono dall’interazione di tre diverse specializzazioni: fotografia, preparazione dei cibi e scelta degli oggetti di scena.
Andrew Scrivani
Che cosa devono aspettarsi le persone che si iscrivono?
L’accesso alla piattaforma permette di consultare una serie di risorse, continuamente aggiornate, legate alla fotografia professionale di cibo. Settimanalmente vengono anche pubblicati degli articoli scritti da me o da altri professionisti tra cui, per esempio, un collega specializzato nella fotografia di bevande e un professore di graphic design che è anche fotografo e ci aiuta a capire meglio le esigenze dei clienti.
Ogni settimana io assegno una diversa sfida fotografica e seguo l’andamento delle discussioni della comunità moderando quando è necessario oppure aggiungendo i miei consigli di food-photography. Chi si iscrive ha la possibilità di chiedermi qualcosa in qualsiasi momento. Ci sono anche degli appuntamenti, delle discussioni a tema alle quali può partecipare tutta la comunità. Dal momento che c’è molto entusiasmo, la piattaforma è già piuttosto ricca di contenuti. E per chi desidera vendere i propri scatti sull’agenzia stock di Adobe (di cui sono ambassador) può farlo con grande facilità perché troverà la strada spianata. Ogni tanto invito anche degli ospiti, per esempio direttori creativi o altri fotografi, che incontrano la comunità della Accademy con delle lezioni e rispondendo alle domande dei partecipanti.
I tuoi articoli di cosa trattano?
Mi dedico principalmente alle mie due rubriche fisse: una si chiama Outtakes (come quella che pubblicavo sul New York Times ed esplora fotografia e creatività) e l’altra si chiama Anatomy Of A Shot nella quale ogni volta pubblico un’immagine creata da me e spiego come ho fatto a realizzarla tecnicamente. In pratica racconto una difficoltà che ho dovuto risolvere e descrivo come ho trovato una soluzione. Naturalmente, la programmazione degli articoli che pubblico viene influenzata anche dalle domande degli studenti. Se c’è il desiderio di approfondire un certo argomento io posso andare incontro alle loro esigenze.
Recentemente sei stato in Sicilia, che cosa hai fatto e che impressioni hai avuto?
La Sicilia! Un viaggio estremamente importante per me, ho insegnato ad un gruppo di studenti ed ho girato un documentario. Incontrare così tante persone interessanti nel giro di tre settimane mi ha ispirato molto sia da un punto di vista professionale che personale. Infatti ho cominciato a studiare Italiano, ogni giorno! E ho un piano: vorrei tornare l’anno prossimo con mia madre e farle scoprire la Sicilia perché lei non c’è mai stata, ma è cresciuta sentendone parlare da sua madre e sua nonna. Dunque, qua a New York continuerò a studiare e il mio obiettivo è riuscire a conversare in Italiano al più presto. Ci vediamo l’anno prossimo!
Condivido volentieri quelle che considero delle buone pratiche per fotografare il cibo e desidero fare una premessa importante per chi si aspetta “i trucchi del professionista”: non esistono trucchi. Esiste solo studio, pratica e duro lavoro. Con l’esperienza si impara ciò che serve, non ci sono scorciatoie. Chiarito questo punto, ecco i miei consigli.
Per diventare bravi “food-storyteller”, considero veramente importante imparare prima di tutto a descrivere con le immagini il cibo che ci è familiare e le storie che lo riguardano. Per esempio: le ricette della nostra infanzia, il modo di preparare i piatti della nostra famiglia, l’amore che abbiamo per certi cibi, la cultura alimentare della nostra città e così via. Ognuno di noi ha un rapporto con il cibo unico.
Esplorare fotograficamente gli aspetti della nostra storia legati al cibo ci permetterà di sviluppare la capacità di descrivere anche le storie che riguardano il cibo degli altri. Potremo avventurarci a raccontare i piatti preparati da un cuoco, i prodotti di un’azienda, le tradizioni alimentari e i rituali legati al cibo di altre culture e le richieste dei nostri clienti.
Se ogni volta che abbiamo del cibo di fronte al nostro obiettivo ci abituiamo a fotografarlo in diversi modi, avremo più contenuti da utilizzare anche in un secondo momento. Per esempio, quando dobbiamo realizzare un’immagine specifica per un cliente possiamo sfruttare quel cibo così ben presentato anche per degli scatti con altre ottiche e inquadrature diverse. In questo modo avremo anche delle fotografie per lo stock, per i nostri social media e la nostra promozione o addirittura immagini di fine-art.
Noi tutti amiamo la luce naturale e, anche utilizzando fonti artificiali, cerchiamo di avvicinarci il più possibile a quel risultato. Negli ultimi anni, i LED si sono evoluti molto tecnologicamente e, personalmente, li utilizzo parecchio perché mi permettono di illuminare sia quando scatto fotografie che quando realizzo dei video. Avvicinando o allontanando le luci al soggetto, il risultato può cambiare notevolmente. Incoraggio chi non li utilizza ancora a sperimentare un po’ la versatilità di queste luci o di altre soluzioni.
Oltre a tenere d’occhio lo stile, le tecniche di ripresa e l’impatto visivo delle immagini più attuali nell’editoria o nella pubblicità, per un fotografo di cibo è fondamentale sapere contestualizzare i propri soggetti a seconda di ciò che accade nell’industria alimentare e nel mondo in generale.
Per esempio, in questo momento si parla molto di sostenibilità e di diversità, anche i cibi vegani sono una tendenza in grande espansione e rispecchiano una sensibilità che va oltre le ricette. È importante incorporare questi temi nei nostri scatti, capire che anche la presentazione dei piatti deve rispecchiare la cultura in cui viviamo. Il cibo è molto collegato con le nostre abitudini e, per rappresentarlo bene, è importante capire il suo ruolo nelle nostre vite e nel nostro immaginario.
Per essere coerenti nelle immagini che creiamo, dobbiamo prendere l’abitudine di documentarci bene e riconoscere che anno dopo anno, stagione dopo stagione, mese dopo mese, ci sono evoluzioni che è bene seguire. Quando fotografiamo il cibo di altre culture, è importante fare ancora più attenzione perché è facile fare qualche errore nel modo in cui rappresentiamo qualcosa con cui abbiamo poca dimestichezza. In ogni caso, prevediamo sempre una preparazione accurata degli scatti e la qualità delle nostre immagini ne trarrà giovamento.
Aspettando che Andrew torni in Italia, questi sono i suoi riferimenti: