Le fotografe professioniste Anastasia Taylor-Lind e Tasneem Alsultan cercano di dare qualche consiglio per mantenere il benessere mentale, condividendo le loro esperienze sul campo e parlando di come riescono a gestire lo stress anche nelle situazioni limite.
Oggi è la Giornata mondiale della salute mentale. Canon, sul suo podcast Canon Shutter Stories, ha intavolato una interessantissima discussione su stress e ansia con la conduttrice Lucy Hedges e le fotografe professioniste Anastasia Taylor-Lind – fotoreporter londinese che ha coperto conflitti in tutto il mondo per media internazionali e ONG, e Tasneem Alsultan – documentarista americana/saudita che si occupa di diritti umani e questioni sociali per New York Times e National Geographic.
“Se non mi prendo cura della salute mentale, non posso svolgere il mio lavoro in modo efficace. Senza autoconsapevolezza e stabilità mentale, non possiamo essere in grado di elaborare e raccontare le storie di altre persone” – Anastasia Taylor-Lind
Due ospiti d’eccezione quindi per parlare di una grave problematica che molto spesso è passata sotto traccia nel mondo della fotografia. Lo stress è un compagno di viaggio che accomuna tutti i professionisti. Molti sono restii a parlare della loro salute mentale, derubricando il loro possibile stress a “normalità”: i reportagisti, da sempre in prima linea a documentare guerre e diritti umani, molto spesso convivono con lo stesso disturbo da stress post-traumatico tipico dei soldati al rientro dal fronte. Molti altri si nascondo dietro la “disillusione” che il loro mestiere li ha portati ad avere circa la loro professione e l’impatto/utilità sociale delle loro immagini, leggasi altrimenti depressione. Le casistiche sono molteplici. E sono complesse. Ma la soluzione c’è..e come sempre è quella più ovvia, anche se forse la più difficile: parlarne.
In questa intervista a Canon Shutter Stories Anastasia Taylor-Lind e e Tasneem Alsultan discutono delle loro esperienze e delle loro tecniche per far fronte allo stress – nella speranza che quella che a tutti gli effetti è ormai diventata l’industria dell’immagine diventi più attenta a queste problematiche.
Il settore fotografico è già molto complicato ma la pandemia di Covid-19 ha portato ulteriori sfide, finanziarie ed emotive. Come avete trascorso gli ultimi mesi?
Tasneem Alsultan: Non è stato per niente facile, soprattutto all’inizio quando non avevamo abbastanza informazioni. Mi sentivo talmente svuotata ed esausta tanto che ho temuto di aver preso il Covid. Ho quindi fatto il test ma stavo bene, lì ho capito che la risposta del nostro corpo è strettamente legata al nostro stato emotivo. In Arabia Saudita c’era il divieto di circolazione, quindi ogni città era in stato di lockdown. Noi eravamo ai confini dell’Arabia Saudita nella provincia orientale, in quella che era la sede dell’esercito americano durante la Guerra del Golfo: rientrare nel nostro vecchio quartiere mi ha innescato vari ricordi, è stato un po’ come tornare all’infanzia quando i movimenti erano altrettanto limitati. Così ho trovato un modo per lasciare quella che era la mia città e sono andata a Riyadh, la capitale, con una sola delle mie figlie pensando che sarebbe stato più facile trovare lavoro..ma non ha funzionato. Mi sono ritrovata rinchiusa in altra città diversa nella quale non ero mai stata, per giunta con una delle mie figlie. L’unico modo di uscirne era tenermi occupata senza pensare alla fotografia, ho iniziato a leggere libri sulla meditazione, ho imparato a calmarmi e ed essere più consapevole di ciò che mi circonda. Mi sono connessa di più con la mia famiglia.
Anastasia Taylor-Lind: Quando è iniziata la pandemia tutti gli incarichi che avevo programmato per i mesi successivi sono stati annullati o sospesi. Nella mia testa ha cominciato ad insinuarsi la domanda “Se non sono un fotografo, allora chi sono?”. Ovviamente essere un fotografo non significa solo uscire e fare foto, è molto di più. Mi sono buttata sulle dichiarazioni dei redditi, ho aggiornato il mio sito web, sono andata a cavallo, mi prendo cura del cucciolo di mio fratello, vado a fare lunghe passeggiate e yoga. Cerco solo di essere presente.”
Voi siete freelance, questa incertezza lavorativa contribuisce allo stress?
TA: Recentemente ho iniziato ad essere più consapevole e a riflettere sul mio lavoro. Sono sempre di corsa da un assignment all’altro, da un progetto personale all’altro. Ho capito che è normale essere ansiosi o preoccupati e non bisogna essere per forza in una zona di guerra per dare di matto, per avere dei crolli. E più lo condivido con i miei amici, più mi rendo conto che siamo tutti sulla stessa barca.
ATL: Tratto ogni offerta di lavoro come se fosse l’ultimo lavoro retribuito che riceverò, perché non si sa mai: vivere nell’eterna incertezza ti porta a non riuscire a rifiutare mai nulla. Questo purtroppo significa anche abituarsi a vivere e lavorare in un ambiente molto più frenetico e stressante.
Il settore si prende cura dei propri freelance?
ATL: Sono ottimista e vedo un lento ma inesorabile cambiamento nel nostro settore. Il mito del fotografo, in particolare del fotografo di guerra, come “eroe tragico” è quello prevalente nel nostro settore. Celebriamo e idealizziamo l’assunzione dei rischi e rendiamo affascinante l’idea che, come veri artisti maledetti, dobbiamo soffrire per fare al meglio il nostro mestiere. Ma man mano che ci si allontana da queste narrazioni tradizionali, grazie alla diversificazione del settore, vedo più apertura. Più dico “Queste sono le cose per cui lotto”, più sento la gente dire “Anch’io”. Nel 2017 ho coperto la crisi dei Rohingya in Bangladesh. Sono stata inviata da Human Rights Watch per documentare e registrare le storie dei sopravvissuti al massacro all’interno dei campi profughi: quando sono tornata, per la prima volta nella mia carriera professionale, mi è stata offerta una sessione di debriefing con un consulente. Mi ha ricordato quanto devo essere attenta a prendermi cura di me stessa, ma anche quanto sia importante. È un impegno professionale oltre che personale.
Che consiglio dareste ai vostri colleghi che stanno lottando per far fronte ai disturbi dati dallo stress?
TA: Renditi conto che non sei solo. Cerca di condividere parte delle tue vulnerabilità, è giusto farlo anche se è difficile: gli altri lo apprezzeranno e ti potranno aiutare. Non dobbiamo seguire i passi delle persone prima di noi se non sono corretti. Possiamo e dobbiamo rimediare. Soprattutto durante questo periodo, penso che sia davvero importante rimanere umili.
ATL: Esercizio. Usa il tuo corpo per guarire, calmare e aiutare la tua mente. Alcune persone credo che troverebbero giovamento con lo sport o comunque con qualcosa che ti coinvolge fisicamente e non intellettualmente: quello del fotografo non è solo un mestiere che si fa con gli occhi, ma soprattutto con la testa.
C’è qualcosa che avresti voluto fare diversamente in passato?
TA: Parlare prima con un terapista. Nella mia cultura è davvero è disonorevole affermare di avere problemi emotivi. È qualcosa di cui le persone si vergognano.
ATL: Il cambiamento che voglio vedere non è lasciare che i giovani capiscano da soli queste problematiche ma che si crei una comunità di fotografi premurosa: i traumi e lo stress che hanno sperimentato le generazioni precedenti non devono trasmessi alle generazioni successive.
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