“La grande Guerra per i giovani di oggi è più lontana della Luna” scrisse Mario Rigoni Stern, militare e scrittore italiano.
A 100 anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale, cinque artisti contemporanei hanno lavorato con la fotografia e il video per riportare alla nostra attenzione un periodo storico che ha segnato la storia del nostro paese. Le fotografie e i video realizzati durante mesi di esplorazione sulle montagne del Trentino e sul Sentiero della Pace – proprio dove l’esercito italiano combatté contro quello austro ungarico- sono raccolti in un’importante mostra intitolata “Cent’anni dopo – Ricordi di guerra, sguardi di pace” curata da Giovanna Calvenzi, realizzata da Fujifilm Italia in collaborazione con Trentino Marketing ed esposta al Palazzo delle Albere di Trento fino al 2 settembre 2018.
Il percorso espositivo è davvero d’impatto sia sotto l’aspetto visivo che quello concettuale e riesce davvero a trasportare lo spettatore indietro nel tempo attraverso gli sguardi dei fotografi Nausicaa Giulia Bianchi, Gianluca Colla, Luciano Gaudenzio, Daniele Lira e Pierluigi Orler che sono riusciti a “coniugare presente e passato” come spiega Giovanna Calvenzi.
In Trentino non si festeggia la vittoria della guerra, in Trentino si festeggia la fine della guerra. Era l’ottobre del 1918 quando, ai piedi del Monte Zugna, l’esercito austro-ungarico decise di intavolare una trattativa per l’armistizio con l’esercito italiano. Prima di questa data, a partire dal 1916, i due eserciti si fronteggiarono costantemente per il controllo del territorio sottostante: posto in una posizione strategica per le sorti della guerra, lo Zugna permetteva di controllare le valli sottostanti e respingere i tentativi di sfondamento sulla dorsale della Vallarsa e sulla Valle dell’Adige.
Furono proprio gli austriaci a costruire gli accessi allo Zugna nei primi del ‘900, salvo poi abbandonare quella posizione e arretrare fino a Rovereto quando anche l’Italia entrò in guerra nel 1915. Da quella data in poi furono gli italiani a consolidare quella posizione, costruendo trincee, acquedotti, strade e abitazioni di fortuna…e il “Trincerone”, l’estremo baluardo difensivo che permise all’esercito nostrano di non cedere il passo durante l’offensiva austro-ungarica del 1916 e continuare a osservare e difendere posizioni sensibili come le catene montuose del Brenta e dell’Adamello e la città di Trento, snodo fondamentale per la Grande Guerra. Proprio in cima al monte venne eretto anche un forte completamente costruito in pietra, di cui rimane ancora oggi lo scheletro. Tutt’intorno caverne nelle quali stipare l’artiglieria. Questo è stato possibile anche grazie ai moderni equipaggiamenti dell’esercito italiano, dotato non solo di esplosivo ma anche di martelli pneumatici. Questo e altri grandi cantieri modificarono per sempre la morfologia di questi territori: vennero create strade di accesso, mulattiere e teleferiche, il tutto per permettere ai soldati la permanenza al fronte inviando viveri e munizioni. Non fu una guerra di movimento. Esclusi alcuni tentativi da parte di entrambe le fazioni di aggirare l’avversario e segnare il punto, la guerra fu uno snervante sacrificio di tempo, uomini e munizioni. Trincee distanti l’una dall’altra neanche una manciata di metri che non permettevano di mettere fuori la testa pena la morte, impossibilità di muovere un ingente numero di truppe in campo aperto (in valle per esempio) pena il sistematico bombardamento da parte dei cannoni. Una guerra statica che nonostante tutto ha visto un ingentissimo numeri di caduti, come testimoniano anche le tracce e i resti lasciati sul luogo che ancora tutt’oggi riaffiorano sui sentieri.
Nausicaa Giulia Bianchi ha svolto un lavoro fotografico spirituale, un tentativo di riavvicinamento al “Teatro di guerra” inteso come rievocazione. Il suo punto di vista si è diviso in due aspetti: quello umano fatto delle persone che “fanno” questi luoghi, dai recuperanti agli storici e quello prettamente fotografico fatto dai reperti e dal paesaggio fotografato sul Sentiero della pace. “Il sentiero mi è apparso immobile ma attivabile attraverso la narrazione della sua storia e attraverso la mia immaginazione. Ho tentato di ridargli vita e renderlo visibile. Così una parola fragile e traballante come “memoria” diventa presenza.”
Luciano Gaudenzio con “Lo sguardo oltre” presenta il lato paesaggistico e ci mostra come la natura, insensibile alle tragedie umane, si stia lentamente riprendendo il territorio lasciato agli orrori della guerra: “Ho cercato di lavorare lentamente, come mi è sempre piaciuto anche in passato. In molti casi ho cercato di immedesimarmi nei soldati: molti paesaggi che ho fotografato erano come si presentavano ai soldati chiusi nelle trincee. Punti panoramici incredibili ad altezze di oltre 3000 metri.” Queste, anche se il paesaggio è fondamentalmente cambiato nel corso degli ultimi 100 anni, sono testimonianze di come era, com’è adesso e come potrebbe essere in futuro. Grotte e scavi che tornano a noi solo con lo scioglimento dei ghiacci: le brande dove dormivano i soldati, le pareti incise, la paglia dove si riposavano, gli effetti personali abbandonati. “Luoghi nei quali è stato difficile anche pensare di fotografare.” Le immagini sono scattate in medio formato, alcune stampate in dimensioni naturali, altre in formato panoramico.
Daniele Lira, esperta guida alpina oltre che fotografo, ha lavorato a stretto contatto con Luciano Gaudenzio. Hanno percorso e scalato queste cime assieme, per dare due spaccati diversi degli stessi luoghi: attraverso “Mutazioni” cerca di comunicare cosa resta, a cento anni di distanza, di quel tempo sciagurato. Il filo conduttore è la frequentazione della montagna, luoghi teatro di tragedie che ora vengono vissuti in maniera completamente diversa, in molti casi turistica. Luoghi che ora sono anche meta di pellegrinaggi grazie a militari che fanno dimostrazioni e rievocazioni. È anche riuscito a cogliere dei momenti quasi teneri che ha cercato di raccontare, l’altra faccia della medaglia – sentieri di arroccamento con i quali le truppe venivano portate al fronte che ora vedono invece una nuova frequentazione: una madre incinta, forte simbolo della vita, un padre con i propri figli, giovani coppie. Sentieri che sono quasi dei capolavori se pensiamo che per i parametri alpinistici dell’epoca erano considerate delle vere e proprie imprese sovraumane.
“Sentimenti dolci e amari” è invece il lavoro di Pierluigi Orler, fotografo nato e cresciuto nella Val di Fiemme, che con la macchina cerca di far rivivere le tragiche esperienze della guerra nella magnificenza dei paesaggi. “Ho scattato a 3000 metri, a temperature pazzesche..e solo lì ti rendi conto di quello che potevano provare i soldati”. Molti luoghi erano a lui già conosciuti, in altri si è fatto accompagnare da esperte guide alpine. Tutti luoghi accessibili e assolutamente da visitare, contraddistinti da un grande interesse paesaggistico, da Moena per poi scendere a sud verso i Lagorai. “Tutt’ora quando cammini in questi luoghi puoi trovare di tutto”.
E poi il video, Gianluca Colla, fotografo ed esperto videomaker che ha “volato” sopra questi luoghi. Ha descritto il suo lavoro con parole molto profonde: “È qui, camminando tra queste valli e tra questi sentieri che si disegnano sugli impossibili versanti montani, che finalmente si comprende cosa abbia osato l’insana ambizione umana. È solo rivivendo e toccando con mano le vestigia di chi cento anni fa donava la propria vita alla libertà e alla propria patria, ma soprattutto a un’utopia, che si può comprendere cosa abbia realmente rappresentato la Grande Guerra: una grande parola che non fa altro che suggerirci, una volta di più, che non ci sono mai vincitori, solo vinti. È nel momento esatto in cui si realizza questo basico ossimoro che non si parla più di io, tu o lui, ma si parla di “noi”. Ed è questa la grande forza del Sentiero della Pace, quella di trasformarsi e di trasformarci. Un incontro collettivo con il nostro passato, il nostro presente e soprattutto il nostro futuro.”