Migrant Mother (1936) di Dorothea Lange è una delle fotografie più celebri del secolo scorso – e protagonista indiscussa della fotografia documentaria del Novecento.
Curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, la mostra si compone di oltre 130 scatti che raccontano dieci anni di lavoro fondamentali nel percorso di questa autrice; il percorso espositivo si concentra sugli anni Trenta e Quaranta, periodo nel quale documenta gli eventi epocali che hanno modificato l’assetto economico e sociale degli Stati Uniti.
All’inizio degli anni Trenta, la visione di una folla che aspetta per ottenere un po’ di cibo e del lavoro, convince Dorothea Lange a uscire dal suo studio per dedicarsi interamente alla documentazione dell’attualità: così la fotografa abbandona il mestiere di ritrattista per diventare la narratrice delle conseguenze della crisi economica successiva al crollo di Wall Street.
Nel 1935 parte per un lungo viaggio con l’economista Paul S. Taylor, che sposerà alcuni anni dopo, per raccontare le drammatiche condizioni di vita in cui versano i lavoratori del settore agricolo delle aree centrali del Paese, colpito dal 1931 al 1939 circa da una dura siccità.
Il fenomeno delle Dust Bowl, ripetute tempeste di sabbia, rende impossibile la vita di migliaia di famiglie costringendole a migrare, come racconta anche John Steinbeck nel romanzo Furore del 1939, seguito nel 1940 dal film di John Ford ispirato anche dalle fotografie di Lange.
Il lavoro documentario della fotografa fa parte del programma governativo di documentazione Farm Security Administration, nato con lo scopo di promuovere le politiche del New Deal, e permette a Lange di sperimentare e di raccontare al suo Paese e al mondo i luoghi e i volti di una tragedia della povertà. Dalle piantagioni di piselli della California a quelle di cotone degli Stati del Sud, dove la segregazione razziale porta a forme di sfruttamento ancor più degradanti, Lange realizza migliaia di scatti, raccogliendo storie e racconti riportati nelle dettagliate didascalie che le accompagnano.
È in questo contesto che realizza Migrant Mother, il ritratto iconico di una giovane madre disperata che vive con i sette figli in un accampamento di tende e auto dismesse.
Lo scoppio della II guerra mondiale
Questo lavoro termina con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, che per gli Stati Uniti comincia nel 1941, con il bombardamento giapponese di Pearl Harbor; proprio alla popolazione americana di origine giapponese è dedicato il secondo grande ciclo di immagini esposto in mostra: dopo la dichiarazione di guerra, infatti, il governo americano decide di internare in campi di prigionia la comunità nativa giapponese negli Stati Uniti, assumendo vari fotografi per documentare l’accaduto.
Anche in questo caso Lange lavora su incarico del governo, nonostante lei e il marito abbiano espresso pubblicamente il proprio dissenso. I suoi scatti documentano l’assurdità di una legge razziale e discriminatoria e di come questa abbia stravolto la vita di migliaia di persone ben inserite nella società, costringendole ad abbandonare le proprie case e le proprie attività. Lange, eccelsa ritrattista, riesce ancora una volta a raccontare il vissuto emotivo delle persone che incontra, sottolineando come le scelte politiche e le condizioni ambientali si ripercuotano sulla vita dei singoli.
Crisi climatica, migrazioni, discriminazioni: a quasi un secolo dalla realizzazione di queste immagini, i temi trattati da Dorothea Lange sono di assoluta attualità e forniscono spunti di riflessione e occasioni di dibattito sul presente, oltre a evidenziare una tappa imprescindibile della storia della fotografia del Novecento.
La vita. Dorothea Lange (Hoboken, 1895 – San Francisco, 1965) si avvicina alla fotografia nel 1915, imparandone la tecnica grazie ai corsi di Clarence H. White alla Columbia University. Nel 1919 apre il proprio studio di ritrattistica a San Francisco, attività che abbandona negli anni Trenta per dedicarsi a una ricerca di impronta sociale e a documentare gli effetti della Grande Depressione. Fra il 1931 e il 1933 compie diversi viaggi nello Utah, in Nevada e in Arizona. Nel 1935 si unisce alla Farm Security Administration (FSA). All’interno di questo progetto epocale realizza alcuni dei suoi scatti più famosi, nonostante alcuni contrasti con Roy Stryker (a capo della divisione di informazione della FSA) in merito alle proprie scelte stilistiche. Nel 1941 ottiene un Guggenheim Fellowship (un importante riconoscimento concesso ogni anno, dal 1925, dalla statunitense John Simon Guggenheim Memorial Foundation a chi ha dimostrato capacità eccezionali nella produzione culturale o eccezionali capacità creative nelle arti.). All’inizio degli anni Cinquanta si unisce alla redazione di Life e si dedica all’insegnamento presso l’Art Institute di San Francisco. Muore nel 1965, a pochi mesi dall’importante mostra che stava preparando al Museum of Modern Art di New York. Fra le esposizioni più recenti si ricordano “Politics of Seeing” al Jeu de Paume di Parigi nel 2018 e Words & Pictures al MoMA nel 2020.
La mostra
A cura di Walter Guadagnini e Monica Poggi.
Fino al 23 marzo 2025 la città di Perugia ospiterà la mostra “Dorothea Lange” organizzata dal Comune di Perugia in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino e con il gestore dei servizi per il pubblico e le attività di valorizzazione del circuito museale comunale, Le Macchine Celibi soc. Coop.
Palazzo della Penna – Centro per le arti contemporanee
Via Prospero Podiani 11, Perugia