Ha fotografato sui set della moda e del cinema prima di decidere che la sua strada sarebbe stata un’altra. Oggi Hasnain Soomar ama utilizzare le sue immagini per generare serenità e pace interiore perché, per lui, la fotografia è fatta di momenti contemplativi, quasi una pratica spirituale.
“Il tuo compito non è cercare l’amore, ma semplicemente cercare e trovare tutte le barriere che hai costruito dentro di te contro di esso”. Con questa citazione del poeta sufi Rumi, il fotografo indiano Hasnain Soomar apre il catalogo di The Meeting Point (il punto d’incontro), una mostra che contiene anche molte fotografie scattate durante la pandemia. L’esposizione ci ricorda, tra l’altro, il momento in cui l’umanità si è improvvisamente resa conto dell’importanza degli spazi personali e della solitudine.
Nelle sue immagini, individui solitari sono ritratti in ambienti ampi le cui strutture architettoniche dividono spesso i soggetti dagli osservatori. Eppure l’isolamento non sembra essere rappresentato come limitazione e sconforto, piuttosto come serenità e pace.
Incontro Hasnain alla galleria Nine Fish proprio il giorno in cui è appena rientrato a Mumbai da un ritiro di meditazione durato una settimana. Che cos’è il punto di incontro, gli chiedo. “Per me”, spiega, “il punto d’incontro è il luogo in cui gli opposti si uniscono e si fondono in modo che l’oscurità lasci il posto alla luce, la paura alla speranza e il movimento alla quiete. Quelle che ci sembrano polarità sono in realtà due facce della stessa medaglia, una che spesso si fonde con l’altra e una che spinge l’altra a trascendere oltre il conosciuto, verso l’ignoto vasto e inesplorato.”
Hasnain Soomar, 42 anni, ha scattato le sue prime immagini a 8 anni. Sebbene non avesse ancora chiaro in mente che crescendo sarebbe diventato fotografo, aveva già una forte spinta creativa e da adolescente dipingeva, disegnava, intrecciava macramè, creava gioielli, si esercitava con la calligrafia e con gli origami. Quando cominciò a frequentare il Chelsea College of Art and Design a Londra, ebbe modo di approfondire la sua formazione fotografica studiando le luci, la tecnica e lasciandosi ispirare da autori come David LaChapelle o Henri Cartier-Bresson. “Londra è stata un’esperienza meravigliosa per me. Essere esposto ad una cultura diversa da quella dove sono nato continuava a sorprendermi con nuove ispirazioni. Andavo al cinema ogni giorno, visitavo mostre e ho anche lavorato alla mostra di Star Trek dove avevo il compito di immortalare i visitatori. Un’avventura molto formativa.”
Rientrato in India, prima di intraprendere una carriera artistica, Hasnain ha esplorato la fotografia commerciale ed editoriale facendo prima da assistente sui set di Elle o di Vogue e poi scattando immagini promozionali per i film di Bollywood. “Ma il mio cuore non era lì. Per quanto potesse essere affascinante fotografare in quegli ambienti così esclusivi, preferivo puntare il mio obiettivo sulla realtà quotidiana di persone comuni. È lì che riuscivo ad individuare ciò che volevo condividere”. Fu in quel periodo che Hasnain scoprì di potere usare la fotografia anche in altri modi: “Cominciai a fare il volontario in alcuni orfanotrofi e scuole di bambini disabili. C’era molta povertà, miseria e dolore. Eppure, in quella desolazione, i bambini dimostravano di avere un ottimismo straordinario e anche di apprezzare particolarmente i momenti dedicati alla fotografia. L’esperienza con loro mi ha confermato che un’immagine ha la potenzialità di migliorare l’umore. Infatti, una fotografia può generare un momento temporaneo di felicità o anche qualcosa di più: speranza, ispirazione…”
Oggi Hasnain sta progettando di portare le sue immagini in alcuni ospedali perché chi le osserva possa trovare del sollievo: “Mi piace usare la fotografia per invitare negli spettatori uno stato d’animo sereno. Come esseri umani abbiamo la capacità di sperimentare momenti di grande sconforto e io voglio portare un sorriso sui volti delle persone.” Già, il sorriso. Ma come è possibile sentirci in pace quando c’è così tanta sofferenza nel mondo e – spesso – nelle nostre vite?
È proprio questo il tema sul quale si interrogava la mostra Missing Peace/Piece (un gioco di parole che significa Pace/Pezzo Mancante) che ha cominciato ad essere ideata durante la pandemia ed è poi stata esposta nell’agosto del 2023 alla galleria Nine Fish di Mumbai. Insieme ad Hasnain Soomar c’erano anche altri due fotografi indiani, Masood Sarwer e Vishal Bhutani. La mostra esplorava la ricerca del “pezzo mancante” dell’esistenza umana che ci fa sentire completi. Che cosa potrebbe essere?
Hasnain ha la sua risposta: “I nostri momenti di veglia sono affollati di immagini, parole, rumori e pensieri che cambiano continuamente. Siamo dipendenti dagli schermi dei nostri telefoni cellulari, dobbiamo affrontare continuamente nuovi problemi. Il pezzo mancante è la pace. È quello il frammento di cui abbiamo bisogno per sentirci completi e possiamo trovarlo solo dentro di noi, riuscendo a guarire da i nostri traumi e dalle nostre paure”.
La prossima mostra di Hasnain alla galleria Nine Fish è in preparazione, ci saranno altre foto intese come “memoria di momenti contemplativi e gioiosi. Sono tracce della nostra impermanenza e, allo stesso tempo, della permanenza della luce. Ciò che rimane è una fotografia come lezione di vita”.
Enzo Dal Verme
Workshop Ritratto