Inaugurata a Milano l’interessante retrospettiva con 300 opere iconiche provenienti principalmente da collezioni private, alcune delle quali mai o raramente esposte pubblicamente.
In maggio, pochi mesi fa, la famosa Shot Sage Blue Marilyn è stata battuta all’asta per 195,04 milioni di dollari diventando l’opera d’arte più costosa del 20° secolo. Non male per un artista che inizialmente era stato snobbato da Leo Castelli (poi diventerà il suo gallerista) perché ritenuto poco interessante. D’interesse – invece – Andy Warhol continua a suscitarne parecchio. Ora, a 35 anni dalla morte, una grande e ricca esposizione curata da Achille Bonito Oliva e Edoardo Falcioni celebra alla Fabbrica Del Vapore di Milano le varie fasi della sua creazione artistica.
La mostra è davvero speciale perché il visitatore ha la possibilità di osservare dal vivo le opere più iconiche e quelle molto poco conosciute in tutta la loro matericità: i disegni realizzati con la tecnica ink blot e la matrice usata per trasferirli (a volte ricalcata da un originale fotografico), le spesse spatolate di acrilico sulla base del ritratto serigrafato di Sofu Teshigahara, i luccichii sulla foto serigrafata di Jean Barbier (sembra glitter, ma… è polvere di diamanti). Insomma una grande quantità opere, anche quelle già viste e riviste riprodotte su qualche libro, con la ricchezza e le imperfezioni che generalmente non possiamo percepire se non in presenza degli originali. È una esposizione emozionante, stimolante e concepita per accompagnare lo spettatore alla scoperta anche di aspetti meno conosciuti dell’artista.
Il percorso espositivo inizia negli anni Cinquanta, quando il giovane Andrew Warhola (classe 1928, originario di Pittsburgh) dopo la laurea nel 1949 si trasferì a New York e cambiò il proprio cognome di origine slovacca in Warhol. Nei primi anni ’60 fu un pubblicitario di successo e lavorò come illustratore commerciale per riviste come Harper’s Bazaar New Yorker, Vogue e Glamour. Sarà proprio il mondo della pubblicità ad illuminare Warhol, rendendolo consapevole della rivoluzione che avrebbe potuto innestare ispirandosi a quell’affascinante mezzo di comunicazione, sempre più presente nella vita quotidiana delle persone. Le immagini pubblicitarie vengono ripetute più volte sulle riviste, nelle affissioni, alla televisione..è la ripetizione la loro forza.
L’intuizione che renderà celebre e ricco l’artista è quella di ripetere una immagine più e più volte. Thirty Are Better Than One (1963) è la sua prima Monna Lisa ripetuta per ben trenta volte. Il trattamento utilizzato trasformò la celebre opera d’arte da dipinto di pregio inestimabile a prodotto di massa accessibile a tutti. Naturalmente non perché lo fosse da un punto di vista economico, ma perché il linguaggio visivo utilizzato era quello delle pubblicità, dei supermercati, del consumismo; la Gioconda venne stampata su tela in serie, come se si trattasse di un poster promozionale, paragonata a un qualsiasi prodotto da mercificare. In altre parole, Andy Warhol stava trasformando il linguaggio della pubblicità in arte. La sua è un’arte popular, o Pop Art.
Nel luglio del 1962 la Ferus Gallery di Los Angeles mise in mostra la celebre serie Campbell’s Soup Cans, composta da trentadue piccole tele di identiche dimensioni raffiguranti ciascuna gli iconici barattoli di zuppa Campbell’s. Nonostante l’appellativo sarcastico “Andy il pubblicitario” e il giudizio severo della critica, che bollò le opere come “piatte e provocatorie”, fu con quella mostra che Andy Warhol entrò nella storia dell’arte moderna. La tecnica della serigrafia, tanto criticata quanto rivoluzionaria, gli permetteva di realizzare molte opere riducendo i tempi di produzione.
“Il motivo per cui dipingo in questo modo è che voglio essere una macchina, e sento che qualsiasi cosa io faccia – e faccia come una macchina – è ciò che voglio fare”.
Andy Wahrol
Fotografia e serigrafia, le due componenti principali dell’inedito modus operandi, divennero in tal modo un unicum. Questa soluzione seriale, tipica della produzione industriale, permise ad Andy Warhol di tradurre in pittura la sua ossessione per il largo consumo e per il fatto che un qualcosa potesse appartenere a tutti. Ecco cosa affermò nel suo primo libro The Philosophy of Andy Warhol: from A to B and Back Again: “Tu guardi la Tv e vedi la Coca Cola, e sai che il Presidente beve Coca Cola, Liz Taylor beve Coca Cola e puoi pensare che anche tu bevi Coca Cola. Una Coca Cola è una Coca Cola, e non esiste nessuna somma di denaro che possa garantirti che berrai una Coca Cola migliore di quella che sta bevendo il barbone all’angolo della strada”.
Fu proprio il processo di democraticizzazione messo in atto dall’artista ad averlo reso una delle figure più importanti del secondo ‘900. Rappresentando su tela i principali simboli consumistici della società e della cultura di massa, egli seppe elogiare – come nessuno aveva mai fatto – la patria d’eccellenza del consumismo, gli Stati Uniti d’America, con tutto ciò che hanno simboleggiato dall’immediato dopo-guerra sino agli anni ‘80.
“Devi lasciare che le piccole cose che normalmente ti annoiano ti emozionino improvvisamente”, diceva.
Andy Warhol riuscì a trasformare in opere d’arte barattoli di zuppa Campbell, scatole di detersivo Brillo, bottiglie di Coca Cola. Ma non si accontentò di elevare oggetti quotidiani dall’ordinario al sublime, andò oltre trattando nello stesso modo visivo anche i ritratti delle celebrità dell’epoca: Marilyn Monroe, Mao Zedong, Che Guevara, Michael Jackson, Elvis Presley, Elizabeth Taylor, Brigitte Bardot, Marlon Brando, Liza Minnelli, Gianni e Marella Agnelli, le regine Elisabetta II del Regno Unito, Margherita II di Danimarca, Beatrice dei Paesi Bassi, l’imperatrice iraniana Farah Pahlavi, la principessa di Monaco Grace Kelly, la principessa del Galles Diana Spencer.
Per queste personalità essere ritratte da Wahrol diventò un imperativo a conferma del proprio status sociale. Per altri, più avanti, commissionare un ritratto ad Andy Warhol significò avere l’illusione di appartenere a quell’olimpo.
Alcuni dei ritratti serigrafati più famosi di Warhol, per esempio Marilyn Monroe, Jacqueline Kennedy, Mao Zedong o Elvis, si basavano su fotografie trovate sfogliando giornali e riviste. Ciò significava che, a volte, i fotografi rivendicavano la vera paternità delle opere. Anzi, ancora adesso c’è una importante causa in atto. Il ritratto di Prince commissionato nel 1981 da Newsweek alla fotografa Lynn Goldsmith fu usato (pagando la fotografa) come base per realizzare una copertina di Vanity Fair nel 1984. Ma la serigrafia fu poi utilizzata ancora senza riconoscere i diritti di utilizzo alla fotografa che è ora in causa con la fondazione Warhol e la prossima udienza sarà nel 2023. Fu forse anche per prevenire questi problemi che Andy Warhol prese in mano la macchina fotografica e iniziò a creare da solo il materiale da cui ricavare le serigrafie.
Sembra che tra i primi anni Settanta e la sua morte, Warhol abbia prodotto circa 130.000 fotografie in pellicola bianco e nero 35mm e 20.000 Polaroid. Ovunque andasse, portava con sé una macchina fotografica Polaroid SX70, oppure una Minox 35EL che acquistò nel 1976. Altre macchine utilizzate negli anni sono state: Konica C35EF, Chinon 35F-MA , Olympus AF-1, Minolta AF SRL.
“Avere qualche rullino da sviluppare mi dà una buona ragione per alzarmi la mattina”.
Andy Wahrol
Warhol era un fotografo compulsivo e documentava ogni evento a cui partecipava inquadrando le persone che incontrava o ciò che attirava la sua attenzione per poi – forse – servirsene per creare le sue opere.
Nelle sue immagini sono immortalate scene di vita newyorkese con artisti bohémien, celebrità, intellettuali e ricchi aristocratici, ovvero la corte che circondava Warhol quando usciva o mentre realizzava la sua arte poliedrica. Oggi le sue fotografie sono una preziosa documentazione di quegli anni.
Un’altra sua grande passione era la cabina per scattare le fototessere. A volte, accompagnava i suoi soggetti per realizzare le immagini che avrebbe poi ingrandito e usato come base per le serigrafie, altre volte non accompagnava neppure le persone che nella cabina aggiungevano la propria creatività per le 4 esposizioni creando una narrazione. Ma, anche in questo caso, avrebbero potuto esserci problemi di copyright e Warhol preferì sempre di più scattare lui stesso delle immagini simili a fototessere utilizzando la amata Polaroid.
Nel suo studio, che non ha caso chiamò “The Factory”, Warhol e il suo team utilizzarono mezzi di produzione seriali per realizzare una varietà incredibile di opere d’arte, film, mostre, libri ed eventi, molti dei quali sono diventati leggenda.
Quando il suo colorato lavoro pop ebbe sufficiente attenzione, Warhol cominciò ad affiancare ai suoi ritratti di celebrità soggetti di tutt’altro genere: suicidi, avvelenamenti alimentari, incidenti d’auto, sedie elettriche e bombe all’idrogeno. Cercò le immagini nella biblioteca pubblica di New York, per esempio quella per realizzare la sua opera Electric Chair del 1971. Ormai la sua fama di artista underground si era definitivamente trasformata in quella di ritrattista dell’élite americana e poteva permettersi di osare di più. La sua serie Ladies & Gentlemen ritrae 14 sconosciute drag queen newyorkesi trovate dal manager Bob Colacello e pagate $ 50 per posare. Pensando a quella serie occorre tenere presente che in quegli anni le drag queen non erano performer accettate dalla maggioranza, ma appartenevano quella America che Oriana Fallaci etichettò nel 1966 come “sporca, infelice, violenta”.
I ritratti delle drag queen, furono affiancati a quelli delle star come Marilyn Monroe, Elvis Presley o Jackie Kennedy conferendo di fatto ai soggetti uno status di celebrità. Quell’episodio contribuì a rendere nel tempo le drag queen più popolari, accettate e “di tendenza”. Andy Warhol, nel tentativo di riflettere sui suoi tempi di fatto ne modificò il corso. Naturalmente non solo nel caso di questa serie di immagini.
La mostra milanese documenta l’avvincente percorso dell’artista: dagli oggetti simboli del consumismo di massa, ai ritratti dello star system degli anni ’60; dalla serie Ladies & Gentlemen degli anni ’70, sino agli anni ’80 in cui diviene predominante il rapporto col sacro. È questa la sezione della mostra che espone le opere meno conosciute dell’artista. L’orientamento religioso di Warhol è stato approfondito solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1987. Nei suoi diari, pubblicati nel 1989, si trovano alcuni riferimenti.
Quando Andy Warhol disse “In futuro, tutti saranno famosi in tutto il mondo per 15 minuti”, non esisteva Youtube, non esistevano i social media. Non esistevano neanche gli iPhone e non era consuetudine fotografare le proprie giornate. Lui lo faceva, usava la macchina fotografica per prendere appunti come si fa oggi. Di sé diceva “Sono una persona profondamente superficiale” e ora, a distanza di tempo, ci rendiamo conto che quella sua superficialità scavava profondamente nella società americana.
Ha usato le fotografie come punto di partenza per elaborarle e trasformarle creando una nuova estetica ancora oggi modernissima.
Andy Warhol non si definiva fotografo, ma scattava molto e sperimentava nove tecniche che affinava lavorando. La sua capacità di usare il mezzo fotografico in maniera non convenzionale e innovativa sorprende ancora oggi.
“La cosa migliore di una fotografia è che non cambia mai, anche quando cambiano le persone fotografate”
Andy Wahrol
Visitando la mostra appena inaugurata a Milano, è difficile non lasciarsi ispirare dalla ricchezza della sua creatività. Sala dopo sala, capiamo come l’artista originario di Pittsburgh sia ancora un riferimento importante per noi. All’interno dell’esibizione sono presenti dipinti originali, opere uniche, serigrafie storiche, disegni, polaroid, fotografie e altri veri e propri cimeli come le cover originali disegnate e autografate da Warhol. C’è anche una ricostruzione di un ambiente della Factory con le pareti argentate e macchine Polaroid appoggiate casualmente tra bottiglie di Coca Cola e bombolette di vernice spray. Il suo approccio alla fotografia ha molto da insegnarci: le innovazioni introdotte da lui influenzano ancora oggi il nostro gusto, i suoi ritratti hanno fermato nel tempo lo spirito di un’epoca e i suoi protagonisti.
Andy Warhol. La pubblicità della Forma
Dal 22 ottobre 2022 al 26 marzo 2023
FABBRICA DEL VAPORE
Via Giulio Cesare Procaccini n°4
Milano