Inaugura a Milano Relationships, una importante mostra dedicata a Richard Avedon. Centosei immagini per raccontare oltre sessant’anni di carriera del grande fotografo.
Durante la conferenza stampa della retrospettiva che celebra Richard Avedon a Palazzo Reale a Milano, la curatrice Rebecca Senf ha confessato di essersi emozionata ed avere pianto di mattina, mentre controllava l’allestimento. L’impatto per il visitatore, in effetti, è notevole; negli ambienti illuminati fiocamente, i faretti puntano sulle grandi stampe fotografiche valorizzandole e favorendo una visione intima e coinvolgente della mostra. Il risultato è una piacevole esperienza immersiva nell’universo fotografico dell’artista.
All’ingresso di ogni sala c’è un ritratto del fotografo con una sua citazione. Per esempio: “Penso che tutta l’arte riguardi il controllo – l’incontro tra il controllo e l’incontrollabile”. Oppure: “Spesso sento che le persone vengono da me per essere fotografate come andrebbero da un medico o da un cartomante: per sapere come stanno. Quindi dipendono da me. Devo coinvolgerli.” L’idea di questa impostazione che fa sentire la presenza costante del fotografo mentre si visita la mostra è stata suggerita alla curatrice da Skira, la casa editrice che ha realizzato il ricco catalogo della mostra. Per la verità, più che di un catalogo si tratta di un vero e proprio libro che ripercorre le tappe della carriera del celebre ritrattista in 212 pagine e 116 fotografie.
Le immagini esposte provengono dall’ampia collezione del Centre For Creative Photography (CCP). Ci sono i ritratti dei Beatles (John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr), ma anche di Bob Dylan, di Michelangelo Antonioni, Allen Ginsberg, Sofia Loren, Malcolm X, Marylin Monroe, del Dalai Lama e due di Andy Wahrol, dove il padre della Pop art americana esibisce le sue cicatrici da arma da fuoco dopo essere sopravvissuto a un tentativo di omicidio da parte di Valerie Solanas. Che si tratti di attori, ballerini, capi di stato, inventori, musicisti, attivisti per i diritti civili, artisti o scrittori, Avedon ha catturato le espressioni dei loro volti, i gesti dei loro corpi e con essi gli stili, le tensioni e i cambiamenti che hanno attraversato la nostra società.
Ma come mai la mostra si chiama Relationship? Ce lo spiega la curatrice Rebecca Senf: “Avedon dà vita a ritratti potentemente descrittivi che avvicinano l’osservatore ai soggetti effigiati. La capacità di vedere i singoli peli di un sopracciglio, i contorni di ogni ruga, o la trama di un abito pone l’osservatore a una distanza generalmente riservata a coniugi, amanti, genitori o figli. In questo spazio privato, possiamo indugiare a nostro piacimento, assimilando lentamente i dettagli che definiscono il volto di una persona, le sue mani, il suo corpo, gli abiti che indossa. Avedon offre la possibilità di esaminare i volti nel dettaglio, incoraggiando l’osservatore a fantasticare sulla vita delle persone che ha di fronte, sulla loro personalità pubblica e privata, sulle loro battaglie e sui loro successi, gioie e delusioni.”
Avedon ebbe modo di fotografare molti dei suoi soggetti a distanza di anni costruendo, per l’appunto, relazioni. Per esempio il pittore Jasper Johns nel 1965 e nel 1976, la scrittrice Carson McCullers nel 1956 e nel 1958, il politico George Wallace nel 1963 e nel 1976, il poeta Allen Ginsberg nel 1963 e nel 1970. Le immagini delle stesse persone fotografate più volte ed in periodi diversi, non solo rivelano i cambiamenti delle persone ritratte, ma lasciano anche intuire un’evoluzione dei loro rapporti col fotografo.
Il caso più eclatante è forse quello che riguarda l’amico Truman Capote. Avedon fotografò per la prima volta Capote nel 1949. Poi, nel 1959, i due collaborarono al primo libro di Avedon, Observations, una raccolta di ritratti di personaggi celebri, tra cui la cantante lirica Marian Anderson, il pittore Pablo Picasso e lo scienziato marino ed esploratore Jacques Cousteau. Il volume era corredato da un saggio di Capote e da suoi commenti alle fotografie, mentre la grafica era curata da Aleksej Brodovič, il leggendario art director di “Harper’s Bazaar”. Capote e Avedon lavorarono di nuovo insieme l’anno seguente. Mentre lo scrittore si trovava a Garden City, in Kansas, per la stesura di A sangue freddo, Avedon lo raggiunse in quattro diverse occasioni per fotografare i presunti assassini Perry Smith e Richard “Dick” Hickock, in attesa di giudizio.
In mostra si possono osservare due immagini vicine: una scattata il 10 ottobre 1955 quando lo scrittore aveva solo trentun anni, l’altra risale al 1974. La flessuosa vulnerabilità della prima foto, nella seconda è ormai scomparsa. Avedon si focalizza ora sul volto segnato dall’età di un Truman Capote cinquantenne, così diverso dal ritratto della versione più giovane di sé.
Molte sono anche le top model con cui Avedon lavorò intensamente, da Dovima a China Machado, da Suzy Parker a Jean Shrimpton, da Penelope Tree a Twiggy, a Veruschka, a Benedetta Barzini. Dalla straordinaria affinità che aveva con Dovima, ad esempio, scaturirono immagini spettacolari, come l’iconica Dovima con gli elefanti (in mostra) scattata nel 1955 al Cirque d’Hiver di Parigi con un abito da sera Dior. Dovima descrisse così questo rapporto speciale: “Diventammo un po’come fratelli siamesi e io intuivo che cosa voleva prima ancora che me lo spiegasse”.
L’ultima sezione della mostra è dedicata alla collaborazione tra il fotografo e Gianni Versace, iniziata con la collezione che ha decretato l’esordio dello stilista nel 1980 fino alla prima firmata da sua sorella Donatella nel 1998. Questo lungo sodalizio ha permesso alle immagini di Avedon di travalicare i confini della mera fotografia commerciale per diventare parte della cultura visiva contemporanea. Non a caso, nel gennaio 1979, Susan Sontag scriveva: “Molti fotografi hanno prodotto immagini, ma nessuno come Avedon ha un corpus di lavoro che rivela in maniera così intelligente tutte le astuzie e le ironie della fotografia di moda”.
“Per Avedon le relazioni erano tutto”, spiega Donatella Versace, “la relazione con noi colleghi e amici. La relazione con il soggetto della foto e la storia che raccontavamo. La relazione con lo spazio mentre costruivamo forme incredibili usando abiti e corpi. Ma soprattutto la relazione con l’osservatore. Guardate negli occhi i protagonisti dei suoi ritratti e perdetevi in una relazione immaginata. Le foto di Avedon ci raccontano una storia senza bisogno di parole. Colgono un momento nel tempo eppure rimangono eterne.”
La fotografia scelta per la comunicazione della mostra è stata scattata nel 1981 e ritrae una giovanissima Nastassja Kinski nuda con un serpente, un’immagine che Avedon decise di distribuire come poster e che vendette 2 milioni di copie. Nel documentario del 1995 Darkness and Light, dal minuto 21:20, la fashion editor Polly Allen Mellen (il cui ritratto è anche in mostra) racconta i retroscena di quello scatto unico. Tutto il documentario è molto interessante, racconta in modo non lineare e con tante testimonianze, inclusa quella del fotografo stesso, la storia di Avedon e il suo approccio alla fotografia. La sua visione può senza dubbio aiutare a prepararsi all’esplorazione della mostra.
Ai visitatori, in ogni caso, la curatrice Rebecca Senf consiglia di fare un respiro profondo all’ingresso e rallentare il ritmo frenetico a cui siamo abituati per immergerci con calma nella visione del mondo del grande fotografo scomparso: “Sarà un’esperienza molto piacevole”, assicura.