La nascita di una nuova pellicola oggi sorprende, ma è un progetto molto interessante perché interpreta lo stile neo-realista del cinema italiano del dopoguerra. Abbiamo sperimentato a fondo la Ferrania P30 e vi proponiamo la tecnica di sviluppo che meglio valorizza i pregi di questa pellicola. A qualcuno il nome Ferrania potrebbe non dire molto, ma è un nome importante nella storia della fotografia. Ferrania era il produttore dei materiali sensibili usati dai celebri studi cinematografici italiani degli anni Cinquanta e Sessanta, quelli dove sono nati i capolavori di registi come Pasolini, Rossellini, Visconti, De Sica e Fellini. Facendo un passo indietro, durante il Ventennio fascista il regime imponeva il prodotto nazionale e questo favorì un’imponente produzione filmica e lo sviluppo di prodotti all’avanguardia. E facendo un ulteriore passo indietro scopriamo che durante la prima guerra mondiale Ferrania produceva esplosivi e che solo al temine del conflitto si trasformò in produttrice di laminati sensibili per l’impiego cinematografico. L’azienda prese il nome di Fabbrica Italiana Laminati Milano, da cui l’acronimo FILM che da solo basta a rendere la portata di ciò di cui stiamo parlando. E se ve lo chiedete, sì, anche il termine anglosassone trova proprio qui la sua origine. Negli anni tra le due guerre mondiali si diffusero gli apparecchi a telemetro (Leica e simili) che usavano la pellicola di piccolo formato derivata dalle bobine ad uso cinematografico e Ferrania approfittò di questo nuovo mercato. In pratica il nome Ferrania divenne sinonimo di fotografia e cinema. Ancora oggi il marchio è conosciuto a livello internazionale e questo ha consentito all’azienda di riproporre i propri prodotti, a cominciare dalla Ferrania P30, la pellicola che abbiamo sottoposto a prova.