Il bianconero di Patrizia Galia è un bianconero moderno e classico al tempo stesso, speso tra il Bianco della saline ed il Nero della notte dei Riti religiosi. Un portfolio tutto da leggere nel quale gli sguardi dei giovani, il velo della pioggia e la lama affilata del controluce sono elementi caratterizzanti degli ambiti di indagine percorsi dall’autrice siciliana.
Ho accolto le storie, gli scatti ed il bianconero di Patrizia Galia con un certo grado di ‘timore’ reverenziale, dovuto banalmente a miei trascorsi personali con la Fotografia. É difficile fare fronte al proprio passato quando di punto in bianco ti si presentano scatti ritraenti, come provenienti da un sogno lontano, scenari che costituiscono il primo, primissimo incontro, che hai avuto nella tua vita con la fotografia professionale. Da giovane.
Per me le saline di Trapani rappresentano proprio questo e all’interno del portfolio che Patrizia Galia ci mostra sul proprio sito patriziagalia.com vi trovo il riferimento esplicito ad un mondo che apparteneva sino a pochi istanti prima alla mia adolescenza. Occorre però fidarsi delle persone e, se colei che mi ha fatto conoscere il lavoro di Patrizia ovvero Roberta Pastore, mi ha detto che si tratta di un’autrice capace di dare qualcosa di proprio alla Fotografia, ebbene la mia soggettiva ritrosia verrà messa da parte…
Ed il motivo per farlo, infatti, c’è. Patrizia Galia è una fotografa siciliana che ambienta la maggior parte delle proprie vicende fotografiche proprio laddove la vita di lei si svolge. Come giusto che sia. Se la fotografia è una traccia della vita del fotografo o di coloro che tramite il fotografo vengono immortalati (possono essere vere entrambe le cose, personalmente ritengo la prima prevalere comunque), ebbene la fotografia di Patrizia Galia, il bianconero di Patrizia Galia, è una fenomenale traccia di fatti, eventi, persone, vicende appartenenti ad una Sicilia estremamente reale, incredibilmente familiare per come lei la racconta.
Un occhio evidentemente abituato che sa però cogliere quel particolare, quel dettaglio che la rende speciale ma non solo al vedere di noi, alieni provenienti da una regione, una provincia o uno stato differenti. Patrizia sottolinea atteggiamenti, pose, commistioni o anche solo coincidenze che restano speciali a prescindere. Lo fa individuando situazioni particolari che spaziano in modo estremo dalle cerimonie religiose, i Riti, sino appunto alle celebri saline trapanesi. Transitando per il paesaggio urbano e per quello rurale.
Fotografa eccezioni? No, Patrizia Galia fotografa ciò che accade, ma con una capacità di astrazione e sintesi molto acuta ed affilata. Come lo fa? Beh, qui sta il secondo elemento che mi ha fatto appassionare a queste piccole parentesi di racconto siciliano (se dico ‘siculo’ me lo perdonerà l’autrice? Mah…). Patrizia Galia racconta tutto o quasi in bianconero. Si tratta di un bianconero a cavallo tra il moderno (l’editing numerici, l’uso dei toni, il contrasto dosato e l’estetica ottenuta a posteriori, il digitale per la ripresa) ed il classico (la scelta del soggetto, la composizione ricercata e adattata al contesto, il mantenimento di una consistenza esposimetrica che va al di là dalle complessità di ripresa).
Si tratta soprattutto di un bianconero che si ripartisce tra il bianchissimo candore delle saline ed il nero della notte entro cui i Riti, le celebrazioni religiose riprese da Patrizia si svolgono. Lei si muove agevolmente tanto di giorno quanto di notte, testimoniando una pratica fotografica, e qui torniamo al principio di ciò che dicevamo, che percorre la vita del fotografo e di coloro che con esso condividono determinati momenti e situazioni. Non viceversa o almeno così pare. Patrizia è lì perché ciò che vedete all’interno dei suoi fotogrammi accade, non per cogliere un’occasione da mostrare a posteriori.
Una fotografia narrativa, attuata con ottimo piglio estetico e selettivo, con una tecnica ‘moderna’ certamente complice ma sicuramente facilitata dall’autrice, che ha proprio nei notturni religiosi quello che io vorrei suggerire come chiave di lettura per il lavoro dell’autrice in generale. A seguire credo che sia il paesaggio, sotto la pioggia o attraverso il vetri di auto o abitazioni grondanti acqua, a rappresentare un fantastico modo di narrare queste terra. E poi, per chi come chi scrive vi è transitato, l’accecante e riconoscibilissimo contrasto della luce che ritaglia i paesaggi naturali diurni ed i dettagli che Patrizia ci mostra: il mare, le imbarcazioni, la vegetazione tipica, i piccoli segni degli insediamenti umani. Perché non parlo delle saline?
Il bianco lo troverete in questi scatti, assieme alle persone che da decenni (e li dimostrano tutti i loro volti!) le popolano. Solo che il mio legame ‘fotografico’ con esse non mi consente di dirne molto (lo svelo: ricordo ancora oggi gli scatti su lastra 10x12cm che mi mostrò tale Roberto Mineo). Ve le lascio quindi scoprire fidandovi, come io mi sono fidato di Roberta Pastore che mi ha suggerito la lettura del lavoro di Patrizia Galia, anticipando solo che, se le trovate pubblicate, un motivo evidentemente, c’è. Buona lettura di una Sicilia “Bianca come il sale, Nera come la notte dei Riti”. É il bianconero di Patrizia Galia.
Noterete come, in questo periodo, l’occasione di intervistare due autori provenienti ed attivi dalla e nella medesima area geografica abbia dato origine ad una curiosa e pregevole forma di ‘rassegna’ fotografica avente l’isola siciliana quale vera protagonista. Patrizia Galia e Pio Andrea Peri ritraggono l’isola con fare e presupposti diametralmente opposti i quali, a mio personale modo di vedere, creano proprio lo spunto a scrivere queste poche righe di postfazione.
Patrizia Galia lo fa dall’interno di fatti ed eventi, per modo di dire ‘da dentro’, con un bianconero ricco e suggestivo, curato e moderno, allo stesso modo intenso di giorno come di notte. Una fotografia più classica ma evidentemente mutuata da un gusto ed una tecnica contemporanei. Pio Andrea Peri la Sicilia, al contrario, la sorvola! Il giovane fotografo siciliano usa il drone per riprenderla. E lo fa nello splendore di un colore che nasce in ripresa e diviene maturo in editing.
E’ curioso questo parallelo ed al tempo stesso questa diversità tra i due autori che ho appena citato. Pio Andrea Peri suscita il medesimo senso di modernità nel gusto che però affonda solidissime radici in una composizione paesaggistica che più consistente non si può! Inquadrature precise, la limite della perfezione, nonostante le complessità di agire in remoto controllando, in fin dei conti, un velivolo senza quasi poterlo scorgere all’orizzonte.
Patrizia Galia con un bianconero che prende a piene mani dalle odierne possibilità di controllo estetico ma che magicamente quasi pare non necessitarne poiché la fotografa scatta in situazioni le più disparate con enorme accuratezza e precisioni. Entrambi gli autori si distinguono però per due elementi che ritengo fondamentali al fine di essere presentati ad un pubblico ampio e già formato come il nostro: sanno cosa vogliono ottenere e sanno come ottenerlo. Ovvero: un buon gusto estetico, cultura fotografica rispetto a ciò che è già stato fatto, elevate capacità tecniche.
Insomma: gustatevi entrambi i modi di interpretare la fotografia e la narrazione di un medesimo ambito territoriale ma con spunti, gusto, stili ed approcci diametralmente differenti. Fatto curioso ed al tempo stesso intrigante…
Dai suoi scatti, banale dirlo, emerge prepotente un forte attaccamento alla Sicilia. Da sempre, quando si elegge a oggetto di indagine un ambito così familiare, così prossimo a noi, le difficoltà di trovare una chiave di lettura originale, che sia stilistica o contenutistica, è complesso. Per lei questo ambito territoriale continua a rappresentare motivo di interesse e sorpresa? Che cosa la attrae, siciliana di origini, quando fotografa in Sicilia?
La Sicilia è una terra di forti contaminazioni, che offre nutrimento a chi come me è alla ricerca di suggestioni intime e profonde. Cerco di raccontare con sguardo libero da sovrastrutture una terra amara, a tratti greve, lontana dai cliché con cui viene spesso dipinta, ma senza dimenticare la sua forza e il suo spirito solare. Lo spartito è quello dell’umanità più semplice ed autentica, narrata come lo farebbe un viaggiatore in preda alla fascinazione. Provo ancora molto spesso una profonda emozione e un grande senso di appartenenza nel ritrarre un salinaio che ripete gesti antichi di centinaia di anni, ancora immutati o il misticismo di una donna durante una processione. Immagino un fil rouge che lega ogni singolo scatto, dal paesaggio invernale al ritratto più intenso, e che dando vita ad un’unica narrazione, ne esplora ogni sfumatura.
Il sale, i riti, il paesaggio (quello vero) fatto di terra ma anche di edifici e di strade. Sono tutti elementi assai differenti tra loro, ma lei trova modo di evidenziare filoni stilistici riconoscibili che rendono i singoli progetti coerenti e, non lo nego, molto attraenti da un punto di vista estetico. Ecco, la ricerca estetica a che punto arriva nei suoi lavori? Prima, dopo l’occasione di ripresa (scegliendo ed editando opportunamente) o semplicemente, in ottemperanza al reportage più puro, sul campo, improvvisando.
Ammetto che la valenza estetica è un complemento per me necessario, ed eseguire un buon editing, puntuale e accurato, per sfrondare ciò che non è funzionale alla narrazione, è parte essenziale del mio lavoro. Il caso trova poco spazio, spesso c’è dietro un’attenta programmazione che scaturisce dall’esperienza e dalla conoscenza del territorio. La scelta nasce da sopralluoghi alla ricerca della luce più efficace, del punto di ripresa più utile, dallo studio del soggetto. Questa progettualità si è resa particolarmente funzionale ad esempio nel rappresentare il lavoro delle saline, solo apparentemente semplice.
E’ stato importante studiarne la storia, comprendere il funzionamento delle vasche e di ogni attività che si svolge all’interno, i ruoli di tutti gli uomini che ci lavorano. Ciò ha permesso una buona selezione già in fase di scatto, perché in qualche modo il progetto già esisteva nella mia mente. Sul campo inoltre è essenziale lasciare sempre la menta aperta ad ogni eventuale suggestione, lasciarsi guidare dall’istinto, perché spesso è l’imprevisto a dare vita ad un scatto fuori dal comune.
Abbiamo scelto di mostrare i lavori in bianconero che meglio rappresentano quella chiave di interpretazione che abbiamo evidenziato nell’introduzione: “Bianca come il sale, Nera come la notte dei Riti”. Il suo bianconero, mi permetto una personale valutazione, è un bianconero moderno. Credo di potevi leggere una chiara impronta digitale, che non vuole essere un giudizio ma una constatazione. C’è recupero dei toni, c’è enfasi selettiva, c’è molto di quello che oggi attrae nuove e vecchie generazioni di fotografi verso il bianconero di nuova genesi. Come lo realizza? Lei scatta o ha mai scattato su pellicola bianconero? I suoi lavori nascono già per il monocromatico?
Come la maggior parte di chi si avvicina alla fotografia, il bianconero rappresenta l’approccio classico, direi obbligato e anch’io non mi sono sottratta, sperimentando con curiosità soprattutto i primi anni l’uso della pellicola in bianconero. Con il digitale e i programmi di sviluppo, prevalentemente Photoshop, ho potuto godere di maggiore autonomia creativa, e dare spazio a ciò che avevo in mente, rendendo lo sviluppo in camera chiara una parte importante e gratificante dell’intero percorso fotografico. La scelta del bianconero o del colore in genere mi viene spesso suggerita dalle stesse fotografie, ma la decisione finale è legata a ciò che intendo raccontare. Nel caso delle saline il focus era principalmente sul lavoro e sul perpetuarsi della tradizione e ho trovato il bianconero più funzionale e calzante. Nel caso di altri progetti ho preferito il colore, come ad esempio alcuni ritratti, per i quali volevo una interpretazione più intima.
Ci può rivelare, non che debba essere un segreto, che fotocamere utilizza, quali focali di preferenza ed anche che tipo di software siano coinvolti nel su flusso di lavoro tipico? Ha avuto altre esperienze di scatto con differenti strumenti? Preferisce sistemi molto compatti, come le moderne mirrorless di piccolo formato, o non si fa problemi a girare con la Full Frame ed il 70-200 f/2.8? Che spazio ha il colore all’interno del suo percorso fotografico?
Ho sempre utilizzato Nikon, sia in analogico che in digitale, e molti degli scatti presentati sono fatti con una D200 ed il 18-200mm, la mia prima macchina digitale, indiscreta, poco maneggevole e piuttosto ingombrante. Questo non ha mai rappresentato un problema con le persone che ho fotografato con cui ho sempre avuto molta sintonia. In seguito ho fotografato con una D300, e con altri obiettivi che ancora uso come il 50mm. Ultimamente accarezzo l’idea di cambiare con una mirrorless perché sento l’esigenza di una fotocamera più leggera, che possa trovare spazio più facilmente anche nel quotidiano.
Sono state le persone a colpirmi principalmente quando Roberta Pastore mi ha girato il suo portfolio. Partendo dagli scatti aventi i riti religiosi come soggetto mi hanno colpito tre elementi per primi. Ad ognuno di essi vorrei destinare una specifica domanda. In primis: la dirittezza dei loro sguardi in camera e la prossimità con cui lei li riprende comunica la sua presenza sul posto, lo stretto rapporto coi soggetti, un certo grado di sintonia non solo con essi ma anche con la situazione.
Come ci riesce? Come si avvicina in questo modo a coloro che le interessa fotografare? Riesce sempre a catturare quella ‘scintilla’ nello sguardo che le interessa? Per curiosità: che percentuale di ‘successo’ ha e quanti fotogrammi scatta mediamente? Quanti ne considera in genere validi? E’ molto severa con se stessa? E’ più facile fotografare gli adulti o i molti giovani e bambini che figurano nei suoi lavori di soggetto sacro?
Una delle leve che mi spinge a fotografare l’umanità che mi circonda è la possibilità di stabilire con ognuno di loro una relazione, anche di pochi momenti talvolta, e tentare di coglierne l’essenza. Ciò vale a prescindere dall’età e dalla circostanza, perché io per prima sono stregata da questi volti così veri, ammaliata dal racconto delle rughe che segnano il tempo, o dalle espressioni di un bambino. Cerco il loro sguardo e dentro di esso la fiducia, per questo non ho mai avuto inibizioni nel puntare l’obiettivo a distanza ravvicinata, non è mai un gesto invasivo e violento, quanto un modo per scrutarne da vicino la loro realtà. Uno scambio prezioso che considero come un dono.
Credo che si percepisca il mio desiderio di ritrarli nello loro autenticità, senza mistificazione. Non ho l’abitudine di scattare in maniera compulsiva, ma in qualche circostanza cerco di scattare qualche posa in più, anche se alla fine è quasi sempre la prima che riesce meglio, forse perché l’istinto non tradisce. Sono selettiva ma non severa, a volte salvo scatti che per forma e contenuti sono poco rigorosi, perché voglio sentirmi libera nell’espressione.
In secondo luogo mi incuriosisce capire come riesca in contesti al limite del notturno, anzi direi proprio in interni di notte (!), a realizzare fotogrammi così leggibili e nella maggior parte dei casi (a meno che il mosso non sia la cifra stilistica di riferimento) privi di mosso. Tutto merito della moderna tecnologia, dei moderni sensori, o c’è ‘mestiere’ e conseguente selezione a valle dei soli risultati che la possano soddisfare? Ci sveli il suo modo di fotografare sul campo in queste difficilissime situazioni! Inoltre: estendendo questo punto anche ad ulteriori ambiti di scatto, lei fotografa sempre a mano libera o si aiuta con mono piede o treppiedi? Ci parli anche di questo aspetto molto pratico dello scatto.
Nelle situazioni estreme è bene affidarsi alle certezze, e in questo una buona fotocamera è di grande aiuto, ma anche l’esperienza che induce a fare un passo indietro quando mancano le condizioni minime per portare a casa un buon risultato. Occorre saper rinunciare o al massimo non esitare a cestinare. In genere amo fotografare a mano libera, lavorare d’istinto, e preferisco sentirmi svincolata da ciò che richiede tempo. Diverso è il caso di alcuni miei progetti che necessitavano, indispensabile in questi casi.
In ultimo ho notato che le sue inquadrature sono estremamente ponderate e curate nonostante il fatto che solo in alcuni casi poggino su una messa in bolla ineccepibile. Lei, mi pare, compone proprio con stile fotogiornalistico classico, ‘sentendo’ l’inquadratura ed i pesi quando guarda nel mirino o nel monitor della sua fotocamera. E’ come se i pesi, i chiari e gli scuri, gli importantissimi ‘bordi’ del fotogramma, vadano quasi a posto da sé nelle sue composizioni! Invero è ovvio che ci sia lei dietro. Le viene da un istinto compositivo, dallo studio, da un’ulteriore azione di rifinitura in editing o da tutte queste cose messe assieme?
Negli anni si stratificano molte di queste cose, migliaia di immagini si sommano nella memoria, attraverso lo studio, la televisione, i giornali, un bombardamento visivo a cui ognuno di noi è sottoposto più o meno volontariamente che sommato ad un naturale istinto verso la ricerca di una estetica efficace creano una ‘coscienza fotografica’. E’ da questo substrato che attingo per dare concretezza alla mia personale ricerca.
Ha dei riferimenti di autori che le piacciono, cui si ispira o verso cui si sente attratta? Come ha iniziato a fotografare e quando? Quali sono, Sicilia a parte, i suoi soggetti prediletti? Ci sono luci, contesti, situazioni in cui lei ama trovarsi per fotografare, che predilige tra gli altri?
Ero molto giovane quando sono stata attratta dai ritratti di Diane Arbus, dalla plasticità di Mapplethorpe, dai nudi sensuali di Newton, per poi rivolgere lo sguardo ai grandi che hanno saputo raccontare la mia terra, e verso i quali provo ammirazione e fonte di ispirazione, mi riferisco a Scianna, Sellerio, Battaglia, Leone solo per citarne alcuni. Ho iniziato a fotografare da bambina chiedendo la macchina fotografica a mio padre che me la cedeva fiducioso. Erano foto ricordo, ma avevo già scelto lo strumento per dare concretezza visiva a ciò che mi circondava.
Intorno ai 20 anni acquistai la prima Nikon analogica, studiando da autodidatta, perché ho sempre amato le arti visive e fotografare è stata una conseguenza naturale. I primi anni avevo una produzione abbastanza convulsa, amatoriale, che ho cercato di incanalare attraverso lo studio, la sperimentazione, il confronto con altri fotografi. Nel 2008 passai al digitale, che segnò una evoluzione importante. Cerco la poetica nei luoghi a me familiari, usando la mia geografia fotografica come mezzo espressivo, ma ciò che più mi è congeniale è ritrarre l’uomo nella sua autenticità. Per questa ragione fotografo i mercati, i lavori antichi, le processioni.
Nella sua ricerca in bianconero, è curioso, c’è anche spazio per progetti incentrati sul contesto, sull’ambiente, la strada,… ma qui la gente, le persona, entrano solo sporadicamente. Non è difficile notare questa netta ripartizione tra la folla dei riti religiosi e la desertitudine degli scenari rurali, ripresi sotto l’acqua scrosciante oppure vulcanici. Viene da pensare che, più che le singole persone, il soggetto dei suoi lavori dal maggiore contenuto antropico sia proprio il momento, l’azione. Anche nel progetto sulle saline la presenza umana è sempre accompagnata da un gesto, un’azione, il fare. Che cosa tiene uniti i lavori e l’interesse di Patrizia Galia?
Nella mia visione non c’è una vera ripartizione, uomini e territorio, lavoro e paesaggio, sono frammenti di un unicum, tessere di un puzzle che insieme formano la realtà tangibile o fantastica. Ciò che accomuna elementi così diversi è la ricerca, lo sguardo personale, l’interpretazione.
E, visto che abbiamo parlato del lavoro sul ‘sale’: qui c’è moltissimo controluce, tanta ombra e tanta luca, come per altro si confà ad una serie di riprese realizzate sotto il sole diurno della sua terra, che clemente non è. Come gestisce dal punto di vista molto pratica lo scatto in queste situazioni? Sia da un punto di vista tecnico e pratico pensando a come si possa esporre con una latitudine di posa del genere, sia a come organizzare il lavoro in un ambiente particolare come questo. Quali sono le principali complessità di fotografare nelle saline, soprattutto comprendendo i lavoratori del sale all’interno degli scatti?
La raccolta del sale avviene nei mesi estivi, quando la luce è molto forte. Le saline non sono un posto aperto al pubblico, ad eccezione di qualche ambito turistico dove si entra in tour organizzati. Io ho avuto il privilegio di poter entrare grazie al rapporto che negli anni si è creato con i proprietari che sono anche gli uomini che tramandano l’attività di padre in figlio. Con loro si è creato un legame speciale di fiducia, grazie al quale ho potuto avvicinarmi e sostare il tempo necessario, cercando di non essere d’intralcio anche quando ero davvero molto, forse troppo vicina, rischiando spesso che il sale centrasse il mio obiettivo durante una ripresa, o di cadere dentro le vasche piena d’acqua salata.
Ho usato la luce a mio favore, scegliendo a volte il controluce, o rendendola protagonista in alcune pose, prediligendo le prime ore dell’alba e la luce del tramonto per riuscire ad esporre con meno difficoltà. Ma credo che la difficoltà maggiore non sia stata la tecnica, quanto riuscire ad entrare in sintonia con il luogo e con le persone, diventare una di loro, ritrovarli anno dopo anno con la stessa emozione.
Patrizia Galia: che cosa vi è di speciale, dal punto di vista fotografico, nella sua Sicilia? Dove ci suggerisce di porre lo sguardo quando verremo nella sua terra per fotografare?
Prima di cercare con lo sguardo, suggerirei di chiudere gli occhi e ascoltare i suoni: il vento di scirocco che brucia sulla pelle, le cicale assordanti, lo sciabordio dell’acqua, le voci dei venditori ambulanti. Poi si dovrebbe dare spazio ai profumi, quello degli scogli in riva al mare, della pioggia estiva nei campi, del gelsomino nelle sere afose, delle pasticcerie dei centri storici. Solo dopo questo e molto altro ancora, si può trovare la propria narrazione e non sarà mai banale.
Come chiedo a tutti gli autori che intervisto, ci farebbe piacere poter pubblicare uno scatto, un singolo fotogramma, che per lei sia particolarmente importante, cui tiene molto o che per lei è annoverabile al complesso ruolo di ‘fotografia preferita’. Ci racconti, se esiste, qualche cosa di essa, come è nata, perché vi è affezionata?
Ho scelto non senza difficoltà una fotografia, fra le mille a cui sono legata per significato o memoria. Si tratta di una formazione salina, un cristallo attraversato dalla luce. All’interno delle saline, esiste una chiave di lettura che va oltre il lavoro e gli uomini e che appartiene alla natura, e che è quella a me più cara. Se si volge lo sguardo alla ricerca dell’essenza, ci si imbatte in mille forme e colori che danno vita a capolavori di astrattismo, dove gli elementi della natura si uniscono creando autentici gioielli.
Grazie mille Patrizia, complimenti per il suo lavoro e la sua ricerca.
Gli elementi danzano sulle note di una storia così antica da non riuscire ad immaginare, danno vita a forme astratte eppure materiche, coaguli di mare profondo, respiri salati di ammalianti sirene. Vaporose bave, spumose come meringhe, si arenano sfinite dove finisce il mondo. Croste croccanti di sole furibondo, cristalli come saette abbaglianti di luce, piccole onde smerlate di pizzo e una conchiglia a segnare un tempo infinito. E’ l’essenza, l’origine della magia, ragione e dono.
La partecipazione dei bambini alle processioni religiose, è un vero battesimo sociale, per lo più inconsapevole, in cui prevale l’indottrinamento e il travestimento. Per compiacere gli adulti e riuscire a partecipare attivamente alle loro tradizioni, i piccoli camminano per ore, anche di notte, portando ceri, simulacri, croci, e vestendo abiti da adulti. Affidare i bambini alla potenza divina è un modo per proteggerli nel loro percorso di vita appena cominciato.
Mi sono ritrovata anni fa a fotografare questa processione ad Agrigento, con alcuni amici fotografi. Come spesso accade al Sud, enorme è la partecipazione dei cittadini, in questo caso per un Santo che non è il loro Patrono, ma che venerano come se lo fosse. I bambini sono issati pericolosamente verso il cielo, a toccare la statua del santo mentre percorre le strade del centro, come forma di benedizione. Tamburiate, bande musicali, carri , rendono questo evento allegro e popolare, una vera festa collettiva.
Salanitro è un progetto a lungo termine che porto avanti da oltre 10 anni e che non si è ancora concluso. Si sviluppa all’interno della Riserva naturale orientata delle saline di Trapani e Marsala, in un percorso che attraversa vasche colme d’acqua, mulini a vento fra i più belli d’Europa, canali e montagne di sale. I canti dei salinai accompagnano ritmicamente i gesti, in una tradizione antica che si tramanda identica da generazioni. L’acqua di mare, raccolta nelle vasche, lentamente evapora sotto il cocente sole estivo, e giorno dopo giorno, il sale si incrosta sul fondo, pronto per essere frantumato e raccolto con pale e carriole, ma soprattutto forza e sudore.
Negli ultimi anni il mercato ha messo in difficoltà molte famiglie di salinai a seguito dell’importazione di un sale meno pregiato dalla Tunisia, e alcune saline sono state costrette a chiudere. Quando mi sono trovata a fotografare il loro lavoro, non è stato un semplice reportage, ma un ritorno alle mie origini, ai colori e profumi che hanno connotato la mia infanzia, un legame con la mia Terra, indissolubile.
Mi conforta l’intimo sollievo di una giornata di pioggia, come se tutto intorno a me si raccogliesse in posizione fetale, ad assorbire la vita. Una dimensione privata, delicatamente silenziosa, permeata di ombre profonde e riflessi scintillanti. Respiri fuggenti di drammatici temporali e schiarite cristalline, respiri profondi, ancestrali, infiniti. Acqua che ripara ferite nascoste, che leviga le croste, acqua che rigenera, che lava le memorie. Inconsueta e provvidenziale, mi restituisce attimi di pace, filtra e confonde.
Non bisogna avere fretta. Come in un sortilegio ciò che appare non è. Mura anonime, piccoli negozi sgraziati, vicoli insignificanti, un tranello spiazzante accoglie lo straniero. Solo un passo più in là si compie la magia, vigneti di uva passa da strappare a morsi e alberi di fico zuccherini, ossidiane luccicanti e vapori di zolfo, ‘dammusi’ a strapiombo sul mare. Paradiso è nuotare nelle acque nere, lucide, stranianti, a Pantelleria.
Sono siciliana, vivo e lavoro a Trapani. Dopo studi classici mi sono dedicata alla fotografia. Dare concretezza visiva alla mia immaginazione e alle mie percezioni non è stato un desiderio, piuttosto una necessità. Ho cominciato a guardarmi dentro attraverso una lente, e ho trovato i frammenti con cui il mio essere, la mia vita, la mia cultura erano stati costruiti: ho trovato la mia terra e la mia gente, ogni luogo che ho visitato, tutti i libri che ho letto. Tessere fragili, le une intrecciate alle altre in un sottile ricamo, che si sono rivelate parte di me e la cui fisicità, a volte cruda e amara, si è svelata in bellezza ed emozione. Guardarsi attraverso i propri scatti è un percorso difficile, a volte gioioso, più spesso pieno di riflessioni: un sentiero impervio di cui non scorgo mai l’epilogo.
La prima mostra nel 2008 nella mia città natale a Trapani, a cui seguirono anni di studio e ricerca, con numerose pubblicazioni su magazine come Photo Vogue, ICONIC Artist Magazine, L’Oeil de la Photographie, Witness Journal, Italy Photo Award, ArtAbout Magazine, 101 ZONE, Photoimaginart, nonché svariate selezioni su Instagram su portali di fotografia.
Nel 2019 dopo una mostra collettiva al Med Photo Fest di Catania, entro a far parte della prestigiosa Mediterraneum Collection.
A Ottobre 2020 due mie opere sono state selezionate per il progetto “Sospesi in casa” creato da GT Art Photo Agency e sono state esposte alla Galleria d’Arte Moderna di Catania.
Sito Web www.patriziagalia.com
Instagram www.instagram.com/patriziagalia
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Patrizia Galia: “Bianca come il sale, Nera come la notte dei Riti.”
Pio Andrea Peri: “Il paesaggio, i droni, la Sicilia. Come si deve.” (a breve su Fotografia.it)
Steve Panariti: “Ritratti antigraziosi fatti di periferia e di fotografia.” (a breve su Fotografia.it)